«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

venerdì 23 dicembre 2016

Il Giro d'Italia numero 20

Tenutosi dal 14 maggio al 5 giugno 1932, il Giro numero 20 viene vinto da Antonio Pesenti. Partenza e arrivo sono sempre a Milano.
Il Giro d’Italia tocca la ventesima edizione quando l’arrivo dell’ultima frazione viene raccontato alla radio, con le parole di Nello Corradi ‘voce’ dell’allora EIAR oggi RAI. Sono gli anni di Alfredo Binda e di Learco Guerra, conosciuto come la ‘locomotiva umana’. Questi vincerà ben sei frazioni su tredici totali. Pesenti, il vincitore, si aggiudica il Giro alla media di 30.5 km/h ed il distacco dall’ultimo classificato, Tullio Vincenzi, sarà di “sole” nove ore e quattro minuti. Per non danneggiare troppo le gambe dei corridori in vista del Tour de France, quella edizione della corsa rosa non presenta le grandi montagne. Antonio Pesenti, gregario di Binda, costruirà quella vittoria anche sui problemi…….intestinali di un suo avversario, il ciclista tedesco Hermann Buse.
La maglia rosa era già nata. L’anno prima venne indossata da Learco Guerra il 10 maggio in quel di Mantova. Le tappe a cronometro invece sarebbero arrivate soltanto l’anno successivo, quando si sarebbe svolta una prova di 62 chilometri, da Bologna a Ferrara, vinta da Guerra. Sempre l’anno dopo il Giro avrebbe iniziato ad assegnare il GPM (Gran Premio della Montagna). Sarà Alfredo Binda ad indossare quella che oggi è la maglia azzurra. L’Italia sta vivendo il momento centrale dell’epoca fascista. I chilometri totali furono 3.525 per una media giornaliera di 271 chilometri al giorno. i partecipanti furono 109, i corridori che conclusero della edizione furono 66.

sabato 17 dicembre 2016

Il Giro d'Italia numero 10

A causa della Grande Guerra, il decimo Giro d’Italia arriva solo nel 1922. Il vincitore è Giovanni Brunero. La stella del ciclismo è Costante Girardengo.
Un secolo addietro il mondo del ciclismo viveva sotto le insegne di uno dei più grandi ciclisti di ogni tempo: Costante Girardengo. Il suo periodo migliore abbracciò tutti gli anni ’20. Va ricordato che il Giro e la carriera di Girardengo – con relativo e potenziale palmares – patirono tre anni di non svolgimento, a causa della Prima Guerra Mondiale. Il Giro cresce tra le macerie di un Italia devastata dal conflitto bellico, e cresce tanto da costringere la Gazzetta dello Sport a dover depositare il marchio Giro d’Italia, causa il sentore di altre iniziative simili in arrivo. La 10^ edizione si corre dal 24 maggio all’11 giugno, i corridori alla partenza sono 75, termineranno il Giro in 15. Le tappe sono 10, partenza e arrivo sono a Milano, i chilometri totali sono 3.095 per una media di 309 chilometri a frazione. Giovanni Brunero vince per la squadra Legnano alla media di 25.8 km/h, il secondo classificato è Bartolomeo Aymo staccato di 12 minuti e mezzo, l’ultimo è Romolo Valpreda staccato di quasi un giorno: 23h 38’14”.
Quella edizione del Giro fu prodiga di discussioni. Brunero, poi vincitore, sostituì una ruota in maniera irregolare nella prima frazione: Milano-Padova. Arrivò al traguardo con 17’ minuti di vantaggio. La Giuria squalifica il corridore, ma consente allo stesso di correre “sotto giudizio” la tappa successiva. Tutti aspettano la decisione della UVI (Unione Velocipedistica Italiana) e viene deciso che il ciclista può continuare la corsa, con una penalizzazione in classifica di 25 minuti. Questa decisione fa imbestialire le formazioni Maino e Bianchi, che si ritirano dalla corsa. La prima squadra è capitanata da Tano Belloni, la seconda da Costante Girardengo. Senza più questi due campioni in gara, la vittoria di Brunero diventò così meno difficile da portare a casa. In quegli anni un giovane ciclista iniziava a farsi conoscere. Soprannominato “Il trombettiere di Cittiglio”, stata iniziando l’era di Alfredo Binda.

domenica 11 dicembre 2016

Il primo Giro d'Italia

Nel cuore della notte del 13 maggio 1909, sono le 2:53, prende il via il primo Giro Ciclistico d’Italia. I partenti sono 127 e si parte da Milano.
Il primo Giro d’Italia è vinto da Luigi Ganna, ciclista originario della frazione di San Cassiano. La classifica generale è a punti e Ganna vincerà quella prima edizione pedalando su di una “macchina” Atala del peso di 15chilogrammi. La bicicletta del primo vincitore del Giro ha il rapporto unico, il pignone fisso e il suo bel fanale. Il Giro si chiude con una volata vinta dal ciclista romano Beni. A fare da cornice in quella volata, oltre al pubblico di incuriositi spettatori, sono presenti a bordo strada 230 lancieri con i loro cavalli. A causa della grande bagarre del momento gli animali si spaventano ed uno di loro, impennando, travolge il ciclista Rossignoli.
Le tappe di quel Giro furono otto, la gara si svolse dal 13 al 30 maggio, partenza e arrivo si tennero a Milano, dei 127 partiti ne arrivarono 49, la media di Luigi Ganna fu di 27.2 km/h, il tempo impiegato dal vincitore fu di 89 ore, la frazione più corta fu quella finale da Torino a Milano di “soli” 206 chilometri, i chilometri totali furono 2.448. La media fu perciò di 306 chilometri per tappa. Come si evince dalla data di partenza a quella di chiusura e dal numero di tappe, le frazioni non si correvano ogni giorno.Quando parte il primo Giro d’Italia (1909) la Gazzetta dello Sport esiste da 13 anni (3 aprile 1896). La sua nascita arriva dalla ‘fusione’ giornalistica tra due periodici: “La Tripletta” di Torino e “Il Ciclista” di Milano. Vi lavorano 5 persone, costa 5 centesimi, esce due volte alla settimana. Il primo numero vende 20.000 copie, il suo colore cambierà diverse volte: verde all’inizio, bianca successivamente, poi gialla, ritorna verde, fino al 1899 quando diventa la ‘rosea’ in maniera definitiva.

sabato 12 novembre 2016

In cosa sono cambiati i telai delle biciclette?

Un tempo era l’acciaio, quello che tra gli anni ’60 e ’80 ha reso grandi in ogni angolo del pianeta i nostri artigiani ciclistici. Il telaio per la bicicletta costosa, di marca importante, costruito con acciaio di gran qualità, lo sentivi ‘cantare’ diversamente rispetto a quello della bicicletta buona, ma non di marca rinomata. Lo tamburellavi con l’unghia sul tubo orizzontale e ascoltavi la differenza. Negli anni ’80 arrivò l’alluminio che dava bici più leggere, più rigide, ma soprattutto allontanava lo spettro della ruggine. Finita di lavare la bici l’operazione di asciugatura viveva di meno pathos. Tra i ciclisti della domenica l’alluminio fu signore assoluto dalla metà degli anni ’90, quando l’acciaio iniziò a sparire. Tantissime biciclette venivano costruite in alluminio, magari con la forcella in acciaio, tante con la forcella in carbonio. Le griglie di partenza delle GF erano strapiene della coppia per eccellenza: alluminio/carbonio.
Negli anni ’90 le biciclette con la forcella in carbonio erano considerate quasi da signori, per via dei costi alti di quest’ultimo. Però permisero a un numero sempre crescente di cicloamatori di avere tra le gambe (beh, effettivamente si può anche dire così senza timore di dire sconcezze), un velocipede ottimo per affidabilità e leggerezza, senza costi pesanti. L’acciaio era ormai visto come roba vecchia, superata, da poveri cristi, mancava solo che dicessero che puzzava ed eravamo a posto. Viveva e vive solo grazie a telai di alta qualità, ma ridotto a pochissimi esemplari. Vi era poi la bicicletta da miliardari. Ne vedevi pochissime: carbonio ovunque, leggerissime, costosissime. E poi sentivi nominare il titanio. Materiale eterno che costa ancor di più perché sgrezzarlo e lavorarlo ‘consuma’ gli stessi macchinari che servono per creare quei pezzi che poi devono essere saldati da artigiani di alta bravura. Ma per sommi capi questi benedetti metalli che cosa sono?
L’acciaio è un insieme di ferro, nickel, vanadio, cromo e altri compagni di viaggio, che a seconda della presenza di più o meno di questi svariati materiali diventa acciaio di più alta o più bassa qualità. Medesimo discorso per l’alluminio, noto come una lega, costruito con determinate ‘dosi’ di rame, silicone, magnesio, zinco e altro. Il titanio costa perchè ve n’e poco: balle! Dopo alluminio, magnesio e ferro è il quarto elemento più abbondante sul pianeta. Costa moltissimo il raffinamento, per via di procedimenti estrattivi lunghi e complicati. Arrivò nel ciclismo negli anni ’60 con Luis Ocana che si presentò ad un Tour de France per le tappe di montagna. Il telaio in carbonio è fatto di ‘fogli’ di carbonio sovrapposti incrociando la direzione delle fibre, come il legno multistrato, e poi incollato con resine che vengono ficcate dentro a forni che incollano a caldo. I primi ad usarlo furono i francesi. Arrivarono poi negli anni ’90 i telai monoscocca, con stampi da cui uscivano in unico pezzo – eccezion fatta chiaramente per la forcella – i singoli telai. Niente giunzioni, quindi niente saldature. Esteticamente perfetti.
Non esiste un materiale migliore di tutti, per via del fatto che ogni materiale ha almeno una caratteristica positiva che altri non anno. In più, cosa impossibile da sottovalutare, ogni persona ha una sensibilità alle vibrazioni tutta sua. Come sta la vostra schiena dopo quattro ore di bicicletta? Se l’acciaio non fa sfruttare come l’alluminio la forza impressa sui pedali quando effettuiamo uno scatto, perché il primo dei due più ‘morbido’ ed elastico quindi dispersivo, ecco che dall’altra parte, alla lunga, la ossa della nostra schiena ci ringrazieranno. Un giorno poi decidiamo di acquistare una macchina da corsa per andare a fare la spesa del sabato pomeriggio. Arrivano i telai “sloping” (copiati dalle Mountain Bike) che rimpicciolendo il triangolo principale della bici rendono la stessa più rigida, borsaiola, reattiva quando si scatta perché pensato proprio per quegli scattisti che devono inchiodare gli altri ciclisti sul posto. Domanda; ma durante una granfondo, quanti scatti veri si vedono? Su 100 ciclisti partecipanti quanti hanno un modo di correre da scattista? Facciamo 20 su cento (e penso d’esser molto generoso)? Bene, lo sloping sta ‘tra le gambe’ di almeno un facciamo 70% di ciclisti. Che te ne fai? Aiuti ad incrementare la percentuale di ciclisti che lamentano fastidi alla schiena perché la bici deve essere rigida e rigida e rigida e rigida e rigida e rigida…..
Oggi le bici sono assemblate su telai che – costando un occhio e mezzo della testa – rappresentano un concentrato di altissima tecnologia metallurgica sempre più raffinato. Il colore sempre più dominante è il grigio scuro (il vecchio “grigio canna di fucile”) che fa un po’ elegantemente funereo quando opaco, ma pare piaccia. Un po’ come quando, negli anni ’90, le strade di riempirono di macchine color argento. I telai escono squadrati che sembrano sagomati a colpi di accetta, e hanno misure quasi standard a cui – nonostante ti costi una Madonna – devi ancora lavorarci con attacchi manubrio più o meno lunghi per farti andar bene la bicicletta. Eh si, sei la nostra bicicletta è cambiata dai tempi dell’acciaio, della pompa che incastravi tra il movimento centrale e appena sotto il collarino stringi-sella, delle forcelle completamente cromate, dalle placchette metalliche spesso stupendamente cromate con il marchio del costruttore appena sotto il manubrio e le lettere scritte in rilievo. Ok, adesso basta leggere. Piglia la tua bici e fatti una pedalata (magari col casco), e magari pensa alla tua prima bici da corsa.

martedì 1 novembre 2016

Novembre; l'editoriale

In Italia un professionista su tre paga per correre. Ma non per formazioni World Tour. Lo fa per correre in squadre di secondo piano a livello nazionale.
“Tutti a nanna. Finita la stagione ciclistica le bici si ripongono. Spazio a cose che riguardano la bicicletta quindi, e vai a sapere come continuerà la questione riguardante la scoperta che in Italia si paga per fare il ciclista. Ragazzi che davanti alla richiesta di una ‘collaborazione’ sul fronte economico hanno fatto le valigie per l’estero, Accordi pluriennali a parole, ma stabiliti sulla carta da contratti annuali, eventualmente rinnovati di stagione in stagione. Si consegna la copia relativa al primo anno e per i successivi buona fortuna. Risultato? Che alle corse prendono il via formazioni di modesta caratura, rappresentate da corridori figli di famiglie facoltose, ma che dal punto di vista tecnico vivacchiano nella mediocrità ciclistica rendendo l’anima su una salita di due chilometri, o ritirandosi da un Giro dopo quattro tappe, di cui un prologo, due per velocisti e un giorno di riposo dopo la terza frazione. Ecco, questo ciclismo difficilmente verrà raccontato all’appassionato, perché quest’ultimo non deve sapere che la ‘grande famiglia del ciclismo’ ha tanta roba che viene ammassata sotto al tappeto.”

venerdì 28 ottobre 2016

Il basso profilo RAI e Gazzetta

Senza pretendere Venezia come nel 2009, per essere la 100^ edizione del Giro d’Italia – gara che nel 2017 sarà l’evento ciclistico più importante, dato lo speciale traguardo raggiunto come numero di edizioni – la Gazzetta e la RAI hanno mantenuto quel che si chiama un basso profilo. La tivù di stato da un paio d’anni a questa parte tratta la presentazione della corsa rosa con servizi veloci come una volata, stabilendo forse un record con il minuto (se non meno) di collegamento con il CT Cassani, al TG sportivo delle 18:30, che ha fatto in tempo a dire giusto delle due cronometro e del doppio Stelvio, poi saluti veloci e buonasera. Il tutto chiaramente nella fase finale del programma, non sia mai. La Gazzetta dello Sport – i cui giornalisti sono quasi scomparsi dal proCESSO alla tappa, dove fino a pochi anni fa recitavano parte importante come frequenza – ha dedicato alla presentazione dell’evento Gazzetta più importante dell’anno nientemeno che 4 pagine, di cui una con un articolo su Coppi e Bartali per scrivere cose lette centinaia di volte sui due campioni del nostro ciclismo. Interviste ai protagonisti? Ce n’erano? Se un lettore avesse dovuto basarsi a quello riportato dal giornale, erano presenti soltanto Aru e Nibali. Con tutto il rispetto per gli ex Indurain, Gimondi, Basso, Moser, non vi erano altri corridori in attività presenti in sala? Nessun diesse? Non è mancato un articolo del direttore della rosea, Andrea Monti, appassionato di ‘pezzi’ che a ogni presentazione sfiorano il copia-incolla. Nemmeno a pagina 2 troviamo molto dal punto di vista tecnico, con Ciro Scognamiglio che spiega ben poco, e allungando il brodo citando di chi era presente in sala tra presidenti di questo e quest’altro (Di Rocco, Malagò), ex ciclisti, e una menzione al Signor Mediolanum per ricordarci di come storia e tradizione abbiano colorato di azzurro la maglia verde per onor di assegno staccato. Meno male ch’era la presentazione del Giro numero 100. Dal 101 dovremo prepararci a cercar notizia tra le ‘brevi’ della cronaca milanese e nei TG delle 23?

martedì 4 ottobre 2016

Ottobre; l'editoriale

Invisibile dall’esterno, costoso ma non a livello impossibile, grande come una batteria della torcia elettrica che usiamo in casa. Il motorino è arrivato, ma non solo sul mercato. In strada c’è già.
“Nel vedere tutte le novità dei vari saloni ciclistici, la bici a pedalata assistita la fa da padrona. Il motorino elettrico è sempre più acquistato, apprezzato, nascosto. Si, nascosto. Perché nel vedere quale sia ormai il livello di precisione raggiunto anche nel ficcarlo dentro letteralmente al telaio della bicicletta, l’ammirazione per il risvolto tecnologico sconfina nella preoccupazione. I modernissimi motorini elettrici si possono nascondere benissimo dentro il telaio ed esteriormente sono invisibili. Costano tanto? Si, ma non tantissimo, se paragonati ai prezzi di alcune ruote che appaiono sulle bici di certi ciclo-amatori nelle granfondo. Con la fondamentale differenza che rispetto alle ruote di alto livello, il motore nascosto ti fa volare anche se le gambe non sono in giornata. Rilevarli? Possibile, ma solo con apparati tecnologici molto sofisticati e molto costosi. Biciclette da corsa falsate se ne vendono, se ne vendono già tante, e se ne vendono in Italia. Il doping tecnologico pare ormai realtà.”

giovedì 1 settembre 2016

Settembre; l'editoriale

Miliardari di tutto il mondo unitevi e preparatevi a salire in sella, che continuando di questo passo le strade saranno affar vostro.
“Il ciclismo delle riviste amatoriali: bello, vario e dannatamente costoso. Ma quanto sarebbe ancor più bello poter leggere che per una bicicletta non serve tirar fuori almeno tre stipendi, che non serve spendere 180 euro per degli occhiali da sole, che non serve cacciar fuori 100 euro per una coppia di pneumatici, 250 per una giacchetta da mezza stagione (figuriamoci quella per l’inverno…), 350 per dei contachilometri che oggi hanno tante di quelle funzioni che vai a sapere se i chilometri li contano ancora, 70 per dei guanti invernali e altro tutto bellissimo, ma che ti fa piangere il portafogli. Vogliamo dare al ciclismo l’immagine del golf, dell’automobilismo, dell’ippica, cioè uno sport che sembra solo per ricchi che vogliono trovare qualcosa con cui riempire il fine settimana? Allora avanti così. Se invece vogliamo incentivarne la pratica scriviamo magari che spendendo la metà di tutti quei soldi puoi trovare dei buonissimi prodotti che permettono di pedalare con tranquillità e in ogni stagione per anni.”

mercoledì 17 agosto 2016

Tutto suo e di pochi altri

L’oro di Viviani ha un valore semplicemente gigantesco, se consideriamo in quale deserto tecnico e dirigenziale questo atleta ha ‘costruito’ il suo titolo.
Elia Viviani è un gigante. Perché questa medaglia sarà pure d’oro, ma il suo peso supera quello del piombo. La pista italiana ha versato per anni in uno stato semi-comatoso. Questo per puro merito di dirigenti e tecnici che la consideravano, e probabilmente continueranno a considerarla, un pianeta ciclistico di emeriti rompiballe. Per questo Viviani ha portato a casa un qualcosa di grande. Perché attorno a se aveva ben poche persone che in lui e nella specialità ci credevano davvero. Certo, adesso non mancheranno quelli che vorranno risplendere di luce riflessa. Dirigenti che dal silenzio salteranno fuori, tecnici che (a telecamere accese, sia chiaro) esalteranno la specialità dell’anello veloce. Ma tolti Villa o Salvoldi, quanti davvero hanno merito di poter salire sul carro dei vincitori? Il quartetto azzurro maschile ha corso una prova oltre le aspettative, e solo per una doppiaggio ad un quartetto, quello cinese, non poteva ritrovarsi a giocarsi la possibilità di una medaglia di bronzo. Le ragazze – ricordiamo la loro storica qualificazione per l’evento a cinque cerchi – hanno dato il meglio che attualmente possiamo dare in quel settore e anche loro rappresentano una robusta speranza. Ma le speranze finiranno ancora nello scarico, se questa Olimpiade verrà considerata un punto di arrivo, e i dirigenti lasceranno ancora soli Viviani, Villa, Salvoldi.

mercoledì 13 luglio 2016

Il rosa le piace e se lo porta a casa

Con qualche spunto di Casa-Italia, si chiude con la vittoria di Megan Guarnier il Giro-Donne 2016. Le atlete straniere fanno la voce grossa, con la Stevens protagonista assoluta, e noi cerchiamo ancora (invano?) una ragazza per la generale del domani.
Megan Guarnier (voto; 8) vince il Giro edizione 2016, e lo fa dopo aver vestito la maglia rosa per cinque giorni su nove (lasciamo da parte il piattissimo mini-prologo), dopo che nell’edizione 2015 l’aveva vestita per sette giornate su una corsa strutturata nello stesso modo: totale, dodici giorni su diciotto. Il rosa le piace. In questa edizione non ha mostrato l’acuto, se non due secondi posti nelle frazioni 1 (Gaiarine-San Fior) e 6 (Andora-Alassio). Meglio fece l’anno scorso con una vittoria nell’allora proposizione della medesima Gaiarine –San Fior e con ben 4 secondi posti consecutivi nelle tappe 5, 6, 7 ed 8. Visto che ha vinto, i telecronisti RAI hanno ovviamente iniziato a parlare di un’affermazione un po’ di casa nostra, per via delle pare origini italiche della ragazza. La vittoria ha cento padri. La vincitrice del Giro ha passato qualche difficoltà nella Tarcento-Montenars cercando di non lasciar scappar via Evelin Stevens nel finale di corsa, ma che tenesse alla rosa lo si è visto poi nella Grosso-Tirano e di più nella Andora-Alassio, quando e arrivata sulla piazza d’onore di giornata, forse nella miglior giornata della Stevens. Niente vittoria di tappa quindi, ma una vittoria ostruita sulla continuità di rendimento. Sono passati gli anni in cui vi era Marianne Vos a stravincere la corsa.
Del Giro televisivo e delle nostre ragazze scrivo in altro articolo. In linea di massima vive però la forte sensazione che tra le nostre fila abbiamo ormai abbracciato un’altra generazione ciclistica dedita alle classiche. Se alla fine la migliore azzurra in classifica è ancora una buona Guderzo (voto; 6) – con la Bronzini (voto 9) che riesce a vincere due tappe – vuol dire che in casa nostra il famoso ricambio per le gare di più giorni guardando alla classifica pare lontano dal venire. Nove frazioni corse (sempre senza contare il prologo), ci danno 9 vittorie straniere. Oltre alla vittoria finale della Guarnier, Giro di altissimo livello per la statunitense Evelin Stevens (voto; 9), che accompagnata sempre da un sorriso perfetto per uno spot da pasta dentifricia vince la 2^ tappa (Tarcento-Montenars), la 6^ (Andora-Alassio) e la 7^ (Albisola-Varazze). Aggiungiamo tre giorni di rosa vestita e il Giro si chiude con un bilancio esemplare – e che per certi versi si rivela un po’ assurdo, visto che non ha vinto la corsa – per quello che è il suo miglior Giro: tra un anno arriverà da favorita? La regina 2015, Anna Van Der Breggen (voto; 5) riesce a spuntare qualcosina, un terzo posto nella Andora-Alassio e un secondo nella cronometro Albisola-Varazze. Forse anche lei come quasi tutte, italiane e non, pedalava già con la testa verso il Brasile.
Pedalando in maniera un po’ casuale qua e la nel gruppo, abbiamo visto una Emma Pooley che rientra fra le “non giudicabili”, se non nel fatto che nelle ultime stagioni ha fatto uscite di scena e rientri in gruppo con molta scioltezza. Questa volta le gambe erano in Italia, ma lo scricciolo britannico aveva la testa già in Sud America, destinazione Rio. Potenza dello spirito d’Olimpia e la Vos ne sa qualcosa. Dispiace del ritiro ‘programmato’ di Elena Cecchini, freschissima tri-campionessa nazionale con un’azione di alto livello nella prova tricolore. Ma delle italiane si scriverà a parte. Il percorso del Giro (voto; 8 alla varietà, 7 nel complesso) ha ripresentato per il secondo anno consecutivo una cronometro degna di tal nome. Dopo i 22 chilometri della Pisano-Nebbiuno della scorsa edizione, altri 22 quest’anno con la Albisola-Varazze. Si è guardato alle velociste con diverse frazioni per loro, peccato che la tappa del Mortirolo non vedeva quest’ultimo come arrivo. Per il resto poco altro, questo grazie alla maniera sbrigativa e superficiale con cui la RAI (voto; 3) ha liquidato in molte frazioni questo Giro. Ecco, se non fosse che la RAI ti da una visibilità che per il ciclismo rosa è vitale, viene voglia di chiedersi se non varrebbe la pena provare a cercare un accordo con qualche altra rete tivù in chiaro. Tanto, cronaca registrata per cronaca registrata, nessuna pubblicità nei giorni precedenti l’evento, sintesi e interviste castrate in malo modo, non viene la voglia di tastare il terreno in tal senso?

martedì 12 luglio 2016

E tocca tenersi una roba del genere?

Erano diversi anni che il Giro femminile non veniva preso a calci in questa maniera dalla RAI, che come fa un passo avanti forse per ‘par condicio’ ne ha fatto subito uno indietro.
Inizio da una cosa positiva: la new entry Giada Borgato come spalla tivù di Piergiorgio Severini, che ci consente di sentire i nomi delle atlete straniere che non vengono storpiati, che parla italiano e non un qualcosa che tenta di assomigliarli del tipo; “Uniti Stati America”, che in pratica non dice le fesserie che diceva Sgarbozza. Niente più angolino all’ora di cena per il Giro-Donne, che almeno aveva un suo orario di messa in onda e quindi una sua “dignità televisiva”, chiamiamola così, all’interno del palinsesto. La RAI sceglie il ‘traino’ del Tour, ma con risultati semplicemente irritanti. Prologo di Gaiarine: 40 minuti di ritardo per la messa in onda, tanto che va in seconda serata. Prima frazione, Gaiarine-San Fior: sintesi cortissima perché “la RAI tiene molto al ciclismo femminile” come dice ogni benedetto mese di maggio Suor Alessandra al suo proCESSO del Giro. Seconda frazione, Tarcento-Montenars: intervista per Elisa Longo Borghini ‘tagliata’ in maniera indecente a fine sintesi. Quarta tappa, Costa Volpino-Lovere: sintesi ben stringata, tanto che in due minuti di servizio siamo già ai meno 9 dalla fine. Impossibile seguire una corsa ciclistica in questa maniera. Sesta tappa, Andora-Alassio: Francesco Pancani annuncia la imminente ‘finestra’ in diretta del Giro femminile, e visto che il Tour (badate bene la strana casualità) ha un ritardo sulla tabella orario di almeno 30 minuti, linea alla coppia Severini/Borgato. La “diretta” è un bidone perché siamo sempre a una sintesi che salta di palo in frasca, e l’unica diretta è quella relativa al commento dei due telecronisti, ma le immagini sono sempre registrate. È infatti cosa nota che le tappe del Giro-Donne terminano spesso a metà pomeriggio e non certo nel tardo quest’ultimo. Una balla, e confezionata anche male, credendo (o fermamente convinti?) che il telespettatore sia imbecille. Mi ricorda qualcuno…… Non è finita. Ultima tappa in quel di Verbania Pallanza. Quella che chiude il Giro femminile, quella che riguarda la consacrazione sportiva della vincitrice: in 5 minuti si passa dalle firme delle atlete alla partenza ai saluti e ai ringraziamenti dei telecronisti. Nessuna intervista, nemmeno alla vincitrice. Uno schifo. La corsa più importante del calendario rosa UCI che viene trattata come fosse una trasmissione in replica che fa da tappa-buchi tivù alle sei di mattina. Qualcuno alzerà la voce o tutti zitti?

sabato 4 giugno 2016

Pagelle del Giro 2016

Ognuno di noi vede ogni anno un suo Giro. Come sempre proviamo a metter giù quello visto da chi scrive, sapendo che qualcosa fuori resta sempre.
VOTO 10 – STEVEN KRUIJSWIK (e come diavolo si pronuncia); con una costola scricchiolante e tre montagne da superare riesce a perdere soltanto un minuto e mezzo da Nibali nella penultima frazione. Due palle così! VOTO 9 – VINCENZO NIBALI; in due giorni fa un quarantotto in classifica e tirando calci da mulo a tutti i migliori. Quando sembrava con un pedale nella fossa ha zittito quasi tutti, tranne i giornalisti che lo davano per morto tre giorni prima. Unico italiano nei dieci della generale, dove persino la Colombia ha fatto meglio con tre corridori. VOTO 8 – ALEJANDRO VALVERDE; Sbandierato come uno dei favoriti, poteva vincere solo per debacle di Nibali. Non dimentichiamo che l’unico Gran Tour vinto è del non troppo vicino 2009. Fa rabbia pensare che un talento come il suo ha buttato un pezzo di carriera per attaccarsi alla rogna Operation Puerto. Altro podio a 36 anni con probabile prossimo futuro da gregario nel mese di luglio per Quintana. ESTEBAN CHAVES; il talento c’è, tutto il resto deve maturare, ma la sua generazione ciclistica annovera Quintana e Aru. Stai a vedere che mi arriva nel posto giusto negli anni sbagliati? VOTO 7 – DIEGO ULISSI; anche quest’anno due tappe al Giro e vinte bene. Adesso però dovrà lasciar la firma anche fuori dagli italici confini. Non vorremmo un Visconti-Due. DAMIANO CUNEGO; se l’ex bocia avesse portato a casa la maglia azzurra, alla Nippo avrebbero tirato su un festone di tre giorni, che forse avrebbero pure chiamato Zandegù a cantare. Il veronese non si smentisce nemmeno da ‘vecchietto’ rispetto a 10 anni addietro, quando capitava che se non gli veniva chiesto niente, spesso tirava fuori le cose migliori. Doveva fare due stagioni e finire quest’anno, ma pare che voglia aspettare ancora un po’. VOTO 6 – PERCORSO 2016; va bene che la testa della Gazzetta era già lanciata al 2017 e tre quarti del Giro numero 100 sono già disegnati, ma i primi dieci giorni di questo…. VOTO 5 – DOMENICO POZZOVIVO; qualche anno fa cambiò squadra per provare a diventare grande. Passano le stagioni e forse gli anni migliori potrebbero essere già passati. VOTO 4 – RIGOBERTO URAN (URAN); al Giro lo aspettiamo da qualche anno. Lo stiamo ancora aspettando. VOTO 3 – GREIPEL; e ai vari Greipel del gruppo. Ormai si sa che il Tour fa gola a tutti, ma qui si esagera. Il prossimo Giro sarà il numero 100. Verrebbe voglia di dire no a qualcuno. E se non fosse per questioni di soldi da incassare e vetrina (atteso un cast ciclistico stellare), scommettiamo che Mauro Vegni lo farebbe volentieri con più di qualcuno? LANDA; poca roba e tante chiacchiere. Da un Giro del Trentino a quello d’Italia non v’è paragone. VOTO 2 – INDOVINA CHI; microfonare (e stipendiare) un ex ciclista espulso dal Giro per questioni doping come spalla tecnico/ciclistica per il commento del dopo corsa, un giornalista pensionato che ormai parla di Balmamion, Massignan e l’arrivo a Triste a ogni piè sospinto, la scomparsa totale dalla trasmissione di altri giornalisti, ricambiata dalla grande novità come opinionista; Davide Cassani! VOTO 1; visto che Bartoletti non c’era (davanti le telecamere, perché era comunque in carovana a spassarsela con RCS che paga), e che di Sgarbozza non abbiamo sentito la mancanza, il voto basso lo diamo agli spettatori deficienti che ogni tanto sbucano tra i tornanti delle salite.

mercoledì 1 giugno 2016

Giro 5: Trentin brucia un Moser 'vittima' del ciclismo d'oggi?

Tanti anni fa, ha un gruppo tecno-pop tedesco di nome “Kraftwerck” diede alle stampe musicali una canzone intitolata “We are the robots”. Giovedì 26, tappa numero 18, la più lunga del Giro con 244 chilometri e arrivo a Pinerolo. Vince Matteo Trentin, dopo aver ‘fucilato’ Moreno Moser a 250 metri dal traguardo. “Non ho visto Trentin arrivare” spiegherà Moser nel primissimo dopo-tappa. Il trentino della Cannondale ha fatto riferimento all’aver perso l’auricolare dall’orecchio nel finale di corsa. Moser è rappresentante di quella ormai 2^ generazione ciclistica che corre in maniera praticamente radio-comandata. Ma non è possibile giustificare questa disattenzione con l’inconveniente unito all’apparecchio radio scollegato. Sarebbe bastato girare il capo un solo secondo e forse l’istinto del corridore avrebbe acceso nelle sue gambe quella reazione ch’è costata una possibile vittoria. Radio o non radio un’occhiata veloce devi darla.

Giro 4; come sta Vincenzino mio?

Queste righe vengono scritte un tardo pomeriggio, quasi ora di cena, dopo la tappa numero 16 di martedì 24 maggio. Vincenzo Nibali esce di classifica per la vittoria, causa ennesimo ritardo maturato dal leader. Come passa il traguardo gli inviati RAI si catapultano verso il siculo, ma non riescono a fermarlo per chiedergli il motivo di una ennesima debacle. Nibali è nero e pare comprensibile. Allora scatta il piano “B” che è quello di fermare Paolo Slongo, preparatore Astana, più facile da raggiungere causa stazza, per saperne di più. Slongo spiega che faranno degli esami al corridore per capire se eventualmente si tratta di un problema di salute, oppure di semplice e umana stanchezza, e che comunque ogni ipotesi è abbastanza prematura. Visto che ogni ipotesi è abbastanza prematura, un minuto dopo ci pensa la reggente del CSO (Convento della Sacra Omertà) a iniziare col dire che Nibali ha problemi di salute, perché ne ha parlato Slongo. Ecco, chi scrive ha sempre creduto che il giornalista fosse una persona che di mestiere raccontava al mondo quello che in quest’ultimo succedeva. Invece si tratta, pare, di una persona con licenza di potersi autorizzare da sola nel far diventare una propria interpretazione una notizia vera e propria.

Giro 2: parlare di doping si, e senza trattarci da cretini, grazie

Nella puntata di giovedì 19 maggio al proCESSO alla tappa ‘spiegamento di forze’ per parlare di doping e di Danilo Di Luca, senza nominare il doping e senza nominare Danilo Di Luca. Suor Alessandra invita alcuni ciclisti per difendere l’immagine della categoria dalle cose che sono riportate nel libro dell’ex scalatore abruzzese. Se da una parte si può certo condividere il bel sentimento di voler difendere i corridori dando loro la parola, con Manuel Quinziato come voce principale del gruppo in questa occasione, è apparsa abbastanza penosa la scelta di non voler nominare Di Luca per nome, ma come un’entità denominata “un ex ciclista che non ha lasciato un bel ricordo”. Nota positiva, o almeno di buon gusto, il fatto che non è stata data la parola a Garzelli, espulso dal Giro 14 anni addietro per questioni doping, e oggi opinionista RAI. Ma se si vuole difendere il ciclismo non serve a niente non fare nomi, solo per non fare pubblicità al libro di Danilo Di Luca, con il ‘rischio’ così di dargli la possibilità ce gli permetta di riflesso di vendere ancora di più. E se la gente ha sempre un alone di sfiducia, Suor Alessandra convochi tutti i ciclisti (basterebbero solo gli italiani, e ve ne sarebbe un buon gruppo per riempire lo studio) che hanno avuto magagne doping nella loro carriera. Perché la sfiducia della gente non nasce con il libro dell’ex dopato Di Luca, ma da ben prima, con troppi ex che sono purtroppo finiti a guidare un’ammiraglia, o con un microfono addosso per spiegare come si fa il ciclista. Meglio Martinello, che come ‘previsore’ del tempo fa pena, che continuare a spiegare le cose dosando le cose da dire, e soprattutto quelle da NON dire con nomi e cognomi.

Giro 1: il 'bunker' televisivo del dopo-tappa RAI al Giro

Vediamo di farci qualche amico. Il Giro RAI ha espresso cambiamenti in positivo e altri che purtroppo sono ancora ancorati agli ultimi anni, senza credo possibilità di variazioni. Non buona ma buonissima la fuoriuscita dal palinsesto Giro del programma “Bar-Toletti”, insulso angolino che Bartoletti si era costruito a sua misura per ospitare l’amico procuratore di turno (turno per modo di dire visto che c’era sempre Pasqualin), e con le fesserie di Sgarbozza di cui non si sente la mancanza tecnico/ciclistica. Siamo tornati a parlare di ciclismo senza una conduzione che dopo 10 minuti ti faceva cambiar canale per il mielismo sparso a quintali sulla balla colossale del tutti-che-stimano-tutti. Sulla sponda acclesiastica paratie chiuse in maniera ermetica per il proCESSO alla tappa di Suor Alessandra, dove abbiamo Davide Cassani (novità assoluta!) che è tornato forse per correre in aiuto dal punto di vista del commento tecnico nelle analisi dei momenti post-tappa. Per il resto più spazio ai corridori e questo non dispiace, ma sono spariti totalmente i giornalisti delle altre testate e così anche i direttori sportivi. Ogni tanto torna qualche ex (una rosa ormai ristretta a pochissimi eletti). Ipotesi al vaglio fino a questo momento; 1) i giornalisti si sono semplicemente rotti le balle; 2) Suor Alessandra vuole condurre a suo piacimento gli argomenti proposti, per fare a Garzelli lo stesso tipo di domande che faceva con Beppe Conti; “Beppe, diciamo ai nostri telespettatori che oggi ha vinto Tizio, e Caio è arrivato secondo?” con Beppe Conti (e oggi Garzelli) che le rispondono pure. Stesso stile per Pancani che continua a rivolgersi a mister “Assolutamente” al suo fianco con annotazioni del tipo; “E io credo Silvio, dimmi se sei d’accordo, che una ruota sgonfia gira certamente, ma è meglio averla gonfia per fare meno fatica nel farla girare”.

venerdì 6 maggio 2016

La parola "sistema" non basta da sola

Torna a far parlare di se Di Luca, noto ex dopato-bis del nostro ciclismo. Lo fa per lanciare un suo libro e per farlo è riapparso alla trasmissione “Le Iene”. Non è stato l’unico ex prò che Le Iene sono andate a cercarsi, ma senza star qui a guardare chi ha parlato davanti alle telecamere, il “sistema” è stato l’argomento centrale. Per “sistema” s’intende una specie di regola non scritta dove capita che se confessi, mettendo nei guai altre persone che lavorano nell’ambiente ciclistico, intorno a te si forma il deserto. A meno che uno non segua il ciclismo solamente a livello superficiale, questa cosa si sa. Quindi tirare fuori il discorso su questo benedetto “sistema” serve a poco, forse a niente, se non fai nomi e cognomi. Che il “sistema” esista è la scoperta dell’acqua calda. È impossibile infatti che giornalisti o giornaliste dell’ambiente ciclistico non sappiano cose che sono note tra gli appassionati. Se accendi la tivù e ti ritrovi tal ex ciclista – espulso dal Giro per doping nel 2002 in maglia rosa – che ti dice cosa sia il ciclismo e come si deve correre, capisci che qualcosa non va ma chi è la fa finta di niente per puro opportunismo professionale. Come trovare un giudice che viene sbattuto fuori dal tribunale per corruzione, che si ripresenta in tivù come nuovo giudice di Forum. Il “sistema” esiste certo, ma senza nomi e cognomi non cambierà niente, perché continueremo ad avere giornalisti e giornaliste, commentatori e telecronisti, direttori sportivi e tecnici che sapranno sempre cosa NON dire davanti alla telecamera, ed il mondo dello sport sarà sempre il mondo magico e fatato che riempie delle cose più belle i sogni dei nostri bimbi più buoni.

lunedì 25 aprile 2016

Il 'motorino', questo sconosciuto (o no?....)

Prima con piccoli sporadici sospetti, sensazioni, poi con stralci di filmati video che arrivano nel web, finché spunta l’atleta che cerca di fare la turbata (a un Mondiale per di più!) e adesso ecco la tecnologia che si dichiara pronta a beccare ogni tentativo di frode. Stavolta il doping non è biologico ma meccanico, e si tratta del famigerato motorino nascosto nel telaio della bicicletta. Spettro delle ultime stagioni, il sospetto esplose lungo uno dei muri di un Fiandre vinto da Cancellara, dove il fuoriclasse elvetico fu autore di un’accelerazione spaventosa, e la storia si irrobustì nei sospetti con la ruota posteriore di Hesjedal che girava e girava e girava, con la bici del canadese stesa sull’asfalto, causa caduta ad una Vuelta di pochi anni fa. In conclusione i sospetti su biciclette che sono state usate in corsa alla Settimana Coppi&Bartali e Strade Bianche. Hai poco da girarci attorno sul fatto che questa tecnologia, seppur avanzata, forse da un pezzo gira per le strade tra i ciclisti, e di sicuro certe strumentazioni UCI – telecamere termiche – arrivate da poco ed atte alla scoperta di questi prodigi tecnologici, non sono appannaggio di ogni organizzatore di gare professionistiche minori o amatoriali. Speriamo bene, ma ricordiamo che l’anti-doping, per trovare l’imbroglio, doveva per forza arrivare sempre un minuto dopo per sapere cosa e dove dovesse cercare la cosa che non doveva esserci.

giovedì 31 marzo 2016

Aprile; l'editoriale

“Pare che questa volta la disgrazia sia capitata senza delle colpe veramente imputabili a qualcuno. Pare che la parola ‘disgrazia’ stavolta possa veramente trovar posto. Pare ci siano troppi ciclisti in corsa e allora riduciamoli. Pare che invece siano le moto a essere troppe, ma non è questo. Pare piuttosto che sia necessario partire dal sapere chi guida i veicoli perché il loro comportamento a volte è pericoloso. Pare che però nemmeno questo è il giusto registro perché le gare di oggi sono tirate fin dalle prime battute e quando devi rimontare pare sia sempre più difficile perché in pochi minuti devi essere due chilometri più avanti. Pare che non sia facile perché oggi le strade sono più pericolose perché vent’anni fa non avevi spartitraffico e rotonde in questa quantità. Giornalisti, addetti ai lavori, ciclisti, dirigenti vari hanno già emesso non solo le sentenze ma anche le soluzioni, le alternative, le cose da fare. Pare abbiano tutti le idee chiare. Antoine Demoitiè era nato a Liegi nell’ottobre del 1990.”

lunedì 21 marzo 2016

Ma che bello il ciclismo femminile (se ce lo fan vedere)

Venti minuti di trasmissione – ovviamente registrata – per raccontare il Trofeo Binda 2016 che si è corso domenica 20 marzo. La seconda corsa rosa per importanza che abbiamo in Italia dopo il Giro-Donne. Questo l’immane sforzo della RAI cha ha permesso di seguire a colpi di singhiozzo la netta vittoria dell’iridata Elizabeth Armitstead della Boels Dolmans. Peccato che tra cicliste non partite casa influenze di stagione e altre ritirate causa caduta la gara abbia perso per strada molti nomi importanti. Resta il dubbio che se ci fossero state comunque tutte, il ‘taglio’ della messa in onda non sarebbe cambiato molto. Sintesi tivù che come da tradizione salta di palo in frasca, con ‘buchi’ di oltre 50 chilometri a botta, e con il nuovo supporto tecnico di Monia Baccaille che al microfono affianca Piergiorgio Severini. L’ex tricolore avrà bisogno di tutta la stagione per sapere come districarsi davanti al video, ma perlomeno dovrebbe sapere di cosa parla, a dispetto di Sgarbozza che dopo anni ancora non sapeva come pronunciare i nomi delle cicliste, o coniando frasi del tipo “….atleta della Uniti Stati America!....”. Interviste alle protagoniste nemmeno a parlarne, e quindi godiamoci il ciclismo femminile targato RAI, ricordandoci di sorseggiare qualche caffè durante la trasmissione.

martedì 1 marzo 2016

Marzo; l'editoriale

”Il ciclismo non è la mia vita, è la mia passione”. Ognuno ha il suo senso della misura, ma molti lo stravolgono convinti nel loro io che pur avendo tutto non è – e forse non sarà – mai abbastanza.
“Alla fine di questa stagione lo svizzero Cancellara si ritirerà quasi certamente. Uno degli atleti più forti dell’ultimo decennio, trentaquattrenne, vincitore di diverse classiche storiche, diverse volte re del cronometro. Si ritirerà perché non sente più la possibilità di essere ai vertici come prima, e perché i doveri di papà incombono. La sua frase è riportata in un intervista della nuova rivista (per l’Italia) “Cyclist – The thrill of the ride”, che arriva nelle nostre edicole con questo mese di marzo. Il senso della misura è una cosa soggettiva. Se ti accontenti di quello che hai puoi essere visto come una persona che non vale molto, perché non vuoi osare nel tuo quotidiano e hai paura di fare sbagli. Se non ti accontenti puoi essere visto come una persona che sembra ingorda verso tutto quello che ha intorno, rappresentando l’egoismo duro e puro. Il senso della misura lo puoi trovare rappresentato nella persona che ha un lavoro, e se ne cerca un altro (magari a nero) per alcuni mesi, giusto il tempo per mettere insieme trecento euro in più al mese, che diverranno la bici da sogno di lì a poco tempo, mentre il tetto di casa è mezzo marcio, ma sotto quel tetto hai una bici che costa come una discreta utilitaria usata, e pare sia quella la cosa che conta. Oppure il senso della misura è quello di Fabian Cancellara, che pare aver capito che la passione è una cosa che trova posto dentro una scatola chiamata vita, e non il contrario. Se così sarà, se Cancellara non sarà uno Schumacher, un Armstrong, un Cipollini, gente del torno-non-torno-torno-non-torno che non accettavano un vivere quotidiano fatto di quella normalità chiamata portare mio figlio a scuola, ricordarmi di comprare due scatole di piselli al supermarket, cambiare la lettiera al gatto e passare in farmacia per mia suocera, allora questo ragazzone svizzero ci mancherà ancor di più. La stagione riparte. Divertitevi.”

sabato 20 febbraio 2016

"Non sempre si vince, ma si può sempre correre bene con dignità"

Cinque anni e due mesi addietro moriva Aldo Sassi, ucciso da un infarto nei mesi in cui stava lottando contro un tumore al cervello. Aldo Sassi è la persona che aveva fatto del Centro Studi Mapei il cuore della sua passione professionale. Un centro di altissimo livello dove, tra le migliaia di atleti ed atlete che vi si appoggiavano, entrarono anche Ivan Basso e Riccardo Riccò. Sassi era certo che Basso poteva tornare ad alto livello e così fu, riuscendo a rivincere il Giro d’Italia nel 2010, successivo alla squalifica doping per i grossi guai scatenati dalle sacche di sangue dell’Operation Puerto, caso che scoppiò nel 2006. Basso si affidò a lui nel 2007, chiedendo di poter essere seguito nel suo “come back” ciclistico. Fu un caso senza precedenti per il fatto che mai, prima di allora, un atleta di così alto livello e talento ciclistico si affida ad un allenatore vero. Fu il calcio al formicaio, tanto che a Castellana la fila si allunga. Vi giungono anche Cunego e Riccò; il primo per capirci qualcosa, dopo alcune stagioni in cui la sua preparazione variava ogni anno, tanto da non raccapezzarcisi più, il secondo per riuscire a riemergere dal fango del doping. Doping su cui ricadrà, e l’unica cosa buona è che Sassi se n’era già andato, per risparmiare a quest’ultimo una delusione che sarebbe stata amarissima da sopportare. Aldo Sassi è il primo ad entrare nelle università italiane a insegnare ciclismo. Una cosa che molti suoi colleghi mal sopportano, non tenendo conto che si parlava di una persona che aveva conoscenze sull’allenamento che stavano facendo scuola. Uno che non si accontentava di basarsi sull’esperienza, ma vi aveva unito competenza estrema. Se conoscete persone che vi fanno una testa così con discorsi interminabili su allenamenti forza/resistenza, sulle salite “di forza”, che vi rompono le balle con discorsi infiniti sull’acido lattico, sul sovrallenamento, chiedete loro se sanno dirvi chi è stato l’uomo che ha concepito, perfezionato e approfondito più di chiunque altro queste cose.

lunedì 1 febbraio 2016

Febbraio, l'editoriale

“Ti fa bene, stati a contatto con la natura, ti diverti…..” e chi più ne ha più ne metta. Ma che in bicicletta puoi farti male si può anche dire, senza paura di rovinare l’immagine di uno sport.
“Il mese di gennaio ha registrato situazioni ciclistiche che hanno scritto e descritto di ciclisti finiti all’ospedale, ossa rotte, terapie intensive e cose di questo tipo. Questo perché lo sport ciclistico può essere uno sport molto pericoloso. I caschi spezzati (e meno male solo i caschi) non sono però un esclusivo appannaggio delle corse professionistiche. E non bisogna nascondere la pericolosità di una disciplina cercando di girare intorno alle cose, per paura di penalizzare una specialità sportiva impaurendo ragazzi e genitori che così ‘virano’ per altri lidi sportivi. La bicicletta, come altre discipline non per forza motoristiche, può rivelarsi uno sport pericoloso. Il casco si usa, il pneumatico usurato lo si cambia, gli occhi devono essere sempre svegli lungo le strade. Consigli che sono roba dozzinale, niente di chissà quanto nuovi, anzi. Cose che si dovrebbero applicare su cento momenti che viviamo nel quotidiano. Con il ciclismo ti puoi ammazzare, come con l’automobilismo, con una caduta da cavallo, con il motociclismo, con lo sci di velocità o scivolando mentre esci dalla doccia. Un praticante consapevole di quello che fa ha più probabilità di rimetterci solo un casco e una maglietta che forse non la testa. Se invece vogliamo raccontare solo le storie del Mulino Bianco buonanotte”.

venerdì 1 gennaio 2016

Gennaio; l'editoriale

“Parliamo di una cosa di cui frega a quasi nessun appassionato di ciclismo: il ciclismo rosa. Con l’inizio della stagione 2016 il ciclismo femminile dovrebbe fare un grosso salto in avanti. Almeno questo sarebbe il progetto targato UCI che pare inizierà proprio con l’avvio di questa stagione. A casa nostra spariranno alcune (più di alcune) magagne del passato? In queste ultime tre stagioni abbiamo avuto corse che sono scomparse, altre stanno in piedi per il rotto della cuffia, altre sono state ridimensionate pur di farle a ogni costo. Questo ha fatto si che alcune gare siano state ‘promosse’ forse più per necessità di mettere in piedi un calendario decente in maniera da offrire alle nostre cicliste un minimo di giorni di gara. Nonostante i bei discorsi che ogni tanto saltano fuori, mondiale a parte non vi è nessuna corsa che in Italia venga mandata in onda con la diretta. A livello continentale le cose potrebbero forse cambiare in meglio, ma se partiamo da casa nostra la situazione vede tutte le nostre migliori atlete correre con squadre estere. La speranza è che questo rilancio, questa riorganizzazione del ciclismo femminile a livello mondiale, non crei un divario ancora più grosso”.