«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

mercoledì 23 gennaio 2013

La polvere? Sotto il tappeto!

“Non ci sono stati trucchi che abbiano fatto differenze, anzi, tutti si faceva ciò che si poteva, ciò che la legge dell’uguaglianza suggeriva”. Fu l’ammissione, mooolto indiretta, che l’italiano Pantani fece nel novembre del 1999. La pagina è la 149 del testo “Pantani: un eroe tragico”, del trio Bergonzi/Zazzaroni/Cassani. Una frase che in tivù non è mai stata riportata con l’importanza che merita, perché rompere il giocattolo ciclismo vuol dire dover andare a lavorare sul serio e non poter più fare la star davanti la telecamera. La “legge dell’uguaglianza” citata dallo scomparso ciclista non può essere toccata. E intanto sulla cima del Monte Imbroglio c’è una sola croce, un tempo ornata di una bandana, oggi avvolta in una bandiera stelle e strisce. L’effetto domino non ci sarà, almeno per ora. Lance non ha voluto fare la spia. D’altronde fare la spia è la peggior cosa. Basta ricordare quando Di Luca “usò” furbescamente, nelle prime interviste pre-ritorno alle gare, le telecamere e la stampa per far partire in primis il messaggio che lui non aveva fatto nomi ma solo parlato di metodologie, come invece aveva riportato la stampa nelle settimane precedenti. Doveva far partire il messaggio criptato “non ho aperto bocca, non vi ho traditi”. Avete mai provato a nascondervi dietro a un lampione? Provate a pensare con una rapida immagine nel vostro cervello a una persona che si nasconde dietro un lampione. Ecco, è stata la puntata che la RAI ha messo in piedi la settimana scorsa, al mattino, dopo la prima metà dell’ammissione di Armstong sul doping, dove si è cercato di far combaciare il più possibile che Lance era il doping. Un po’ come Pantani a cavallo del millennio. Con il romagnolo che dopo la sua morte è stato (e viene ancora) puntualmente rimpianto sui giornali – e soprattutto in tivù – da chi, giornalisti, dirigenti, ex ciclisti, cambiava marciapiede per l’imbarazzo, quando si sapeva che l’uomo si stava rovinando con le droghe.
Quindi adesso si deve ripartire, credo per la sesta o settima volta in tre lustri, e soprattutto cercando di non parlare di un ciclismo falsato a valanga negli ultimi 15-20 anni. Bisogna essere ottimisti perché cosa diciamo ai giovani, ai ragazzi? Giusto. Non diciamo loro che una buona rappresentanza di chi oggi guida le ammiraglie era in sella nel ciclismo dell’EPOca d’oro, non facciamo loro notare (ai giovani) che molti commentatori televisivi delle varie televisioni arrivano dallo stesso periodo, non diciamo che Thomas Dekker (che con Armstrong non c’entra una piffero) ha denunciato un doping di squadra nella Raboank dalla metà del decennio scorso fino all’anno passato. Oppure possiamo parlare senza paura. Perché, la famosa frase, “Oggi il ciclismo è molto più pulito di un tempo”. non la cambiamo con un; “Oggi c’è un’antidoping che rispetto vent’anni fa ha più possibilità d’incularti”. Perché tralasciare il fatto che i due professori più famosi del doping degli ultimi 30 anni, Conconi e Ferrari, non sono di certo uno aborigeno e l’altro islandese, visto che sembra che il doping sia solo roba texana. Lance pensi alla fondazione e lasci perdere il tornare a fare competizioni anche se solo da Club del Prosciutto. Aiuti la gente che sta morendo di cancro, visto che fin’ora ha fatto un gran lavoro, e se vuole tornare al ciclismo lo faccia aiutando l’UCI a cambiare dirigenti, per prima cosa, e a spifferare di tutto e di più sulle cose che ha visto, usato, sentito, concordato negli anni in cui faceva il ciclista. Noi italiani cominciamo a stare zitti visto che Conconi, Ferrari, Gotti, Casagrande, Simoni, Frigo, Garzelli, Piepoli, Riccò, Sella, Basso, Scarponi, Di Luca, Rebellin, Simeoni, Bertagnolli, i DS dei dilettanti Leali e Piccoli, la “famiglia” Bernucci (con moglie, madre, fratello e suocero coinvolti) sono un buon viatico per dire che la nostra Nazione è stata buona protagonista anche da questo punto di vista. Ma certo, toccare il periodo degli ultimi 15-20 anni è vietato, visto che il nostro ciclismo ne era quasi padrone.

domenica 20 gennaio 2013

Con tanti saluti, ma pochi rimpianti.

LA BRITANNICA NICOLE COOKE SALUTA IL CICLISMO AGONISTICO, TOGLIENDOSI UN PAIO DI CARRIOLE DI SASSOLINI DALLE SCARPE. PARLA DI DOPING (E SPUNTA L’ITALIA), DI CHI GESTISCE IL CICLISMO ROSA E DEI MOMENTI BELLI. NEL SITO DI SPORTPRO L’INTERVISTA COMPLETA CHE CONSIGLIO DI CERCARE.
Di solito si usa il termine “fiume in piena”. Ma siccome non sopporto troppo le frasi fatte diciamo più che altro che siamo davanti ad un’atleta stufa marcia di un mondo pieno di belle parole e poche di queste mantenute veramente. All’inizio della stagione ciclistica Nicole Cooke saluta tutte, stacca il numero dalla schiena, e si toglie badilate di sassolini. Ne ha per tanti, senza distinzione. “Sono molto felice della mia carriera. Ho molti, molti ricordi felici. Ho cominciato quando avevo 12 anni. Ora ne ho 29, quindi sono 17 anni che ho concluso con soddisfazione. A 12 anni ho sognato come ogni bambino. Volevo vincere il Tour e le Olimpiadi. Ci sono riuscita e non potete immaginare quanto sia felice di essere qui con voi, con i miei sogni realizzati. “Mi sono sentita davvero privilegiata. Ho così corso da prof su strada dal 2002 al 2012. In questi 11 anni ho dato a questo sport la parte migliore di me. E `stato un periodo incredibilmente turbolento per questo sport. Molti concorrenti hanno abusato del ciclismo, trasformandolo in farsa, prendendo farmaci per migliorare le prestazioni. Dopo il tour del 1998 e lo scandalo Festina, era evidente quanto il doping fosse endemico.” La britannica racconta di quando ha conosciuto il lato marcio dello sport, e qui emerge anche l’aria di casa nostra. ”A 18 anni - racconta ancora la Cooke - nella casa che mi aveva dato la mia prima squadra, non ho dovuto aspettare a lungo per scoprire situazioni sospette. Nel frigo c`erano varie bottiglie e flaconi, fiale per siringhe. Chiamai mio padre, e chiesi che cosa avrei dovuto fare. Avrebbero puntato il dito verso la britannica, che riusciva a malapena a parlare l`italiano. E qualcuno avrebbe potuto dire: `Tutte queste fialette sono le sue; abbiamo cercato di fermarla, ma lei continua ad utilizzare il doping tutti i giorni`. Così, ho svuotato il frigo e ho messo tutta quella roba in giardino, dicendo al team manager che doveva pensare lui a sbarazzarsene. Oppure me ne sarei andata. Ci pensò lui.” Ci sono poi riferimenti precisi ad alcune colleghe disoneste del suo periodo. “Genevieve è stata la superstar canadese, un`icona nazionale. Non è mai risultata positiva. Ma ha saltato un controllo antidoping quando mi ha battuto e ha ricevuto solo una multa. Ha superato il 50% di ematocrito e le autorità in linea con la loro legislazione, le hanno solo imposto una sospensione a tutela della salute. Chi ci restituirà le vittorie che Lyne Bessette o la Jeanson ci hanno rubato? La Jeanson ha ripetutamente mentito, proprio come Lance (si riferisce ad Armstrong) prima di adesso. Poi ha confessato di essere stata al centro di un vasto programma di doping da quando aveva 16 anni” Nicole poi tocca il discorso dei calendari, che perdono pezzi senza distinzione di confini e bandiere. “L`UCI ha passato gli ultimi 10 anni cercando di difendere la posizione indifendibile di Armstrong, con perdite di tempo, tipo citare in giudizio per diffamazione Paul Kimmage, oppure cercare le ricevute per le attrezzature acquistate con le donazioni di Lance, o querelare Floyd Landis. Queste le loro `priorità`, mentre il ciclismo su strada femminile, che sembrava così promettente nel 2002, quando ho cominciato come professionista, si è sbriciolato. Sono finite la Milano - San Remo femminile, l`Amstel Gold Race, il Tour de l`Aude, il Tour Midi Pirenei, ed il Tour Castel de Leon. Nessun Tour di massima categoria in America. Nessun Tour in Australia, Nuova Zelanda o in Canada. Invece di un Tour de France di due settimane, non abbiamo più nulla. Oggi, nel mese di gennaio, la gara più importante nel calendario delle donne di quest`anno, quello da cui ho la maglia rosa, non ha organizzatore e nessun percorso (il Giro Donne).” E visto che il mondo del ciclismo rosa viene sempre raccontato – da chi lo compone, da chi lo guida e da chi ci lecca i piedi gironzolandogli intorno – per le cose che funzionano, ecco l’esperienza da parte di un’atleta che proprio in quel mondo fatto di sorrisi a tonnellate ci pedalava, e lo faceva da protagonista. “Per molte atlete la ricompensa è solo un gettone o premi versati in modo capriccioso e ingiusto. Alcune non ricevono nulla. Il contratto? Una barzelletta per quelle di noi che hanno la fortuna di essere nella fascia alta ed averne uno. In 11 anni di carriera ho dovuto portare quattro squadre in tribunale per far rispettare i miei diritti. L`anno scorso, mentre mi preparavo per la difesa del titolo olimpico, sono rimasta senza stipendio da fine marzo. Il manager della squadra si vantava con le ragazze che lui non aveva intenzione di pagare noi e che avrebbe assunto i migliori avvocati italiani per impedirci di essere pagate! Rivelare quello che succede veramente è un vero e proprio tabù: nessuno parla” Nicole chiude con i ringraziamenti di rito. “Le montagne russe della mia carriera ciclistica sono giunte al termine. Ho avuto molti venti contrari, da molti posti che non ti aspetteresti. Molti mi hanno aiutato, ma alcuni nomi speciali sono Andy Walser, Rod Jaques, Chris Price e il chirurgo che mi ha operato alle ginocchia, Jonathon Webb. Inoltre, fin dai primi giorni, Ron Dowling, Brian Rourke e Cliff Poulton, e due non sono più con noi - Geoff Greenfield e Walter Rixon.”.

mercoledì 9 gennaio 2013

A pensar male fai peccato, ma stavolta....

Il sospetto l’avevo avuto già con il libro di David Millar. Un lavoro elogiato, apprezzato, ed infatti introvabile da noi nonostante i diritti per l’edizione italiana siano stati venduti. Forse per “colpa” dell’autore stesso – il ciclista britannico – che ha riportato fedelmente nomi di luoghi, di ciclisti (anche nostri), date, tutto quello che faceva paura a chi veniva nominato e che poteva solamente trarne guai. Ciclisti che nel calcolato silenzio hanno patteggiato squalifiche e si sono ritirati senza troppi clamori, nonostante alcuni fossero ciclisti nostrani tra i più noti fra la seconda metà degli anni ’90 e la prima del decennio scorso.
A fine novembre scorso, pochi giorni dopo la presentazione del lavoro di Sandro Donati “Lo sport del doping” (con tanto d’intervista RAI in diretta nel pomeriggio sportivo su RAI-Sport), vado in libreria e faccio l’ordine di quest’ultimo libro. Da lì è iniziato un percorso fatto di E-Mail spedite a raffica dalla libreria alla casa editrice, ordinazioni fatte anche su Internet visto che del libro nessuna traccia né notizia, finché dopo la mia ennesima visita in libreria (recente), ricevo notizia che le copie della prima edizione sono finite (finite? Di un libro quasi introvabile?) e che è stata data notizia che la seconda ristampa è disponibile. Il libraio, che intanto ha ricevuto alte ordinazioni di questo testo, ha telefonato direttamente – quindi basta E-Mail – per fare l’ordine. Gli è stato garantito l’invio entro 5 o 6 giorni. Fin qui roba abbastanza normale. Se Dio omertà vuole, avrò il mio libro. E qui (SPATAPAM!!) mi casca l’asino, facendo un bel botto per terra col suo grosso culone.
Visto che la questione di questo libro “inarrivabile” sta andando avanti da quasi due mesi, lo stesso libraio ha le balle che gli girano ed è sacrosanto. Parlando con gente del “percorso distributivo” (quelli che dalla casa editrice spediscono, ricevono gli ordini, ecc) riceve notizia che le copie della prima edizione sono state quasi tutte vendute in blocco. Capita l’antifona? Si, esatto! Un po’ come quando un figlio finisce sul giornale perché ha fatto qualcosa di bello e papà e mamma, orgogliosi, comprano dieci copie da distribuire ai parenti, stavolta è il contrario. Più ne compro, meno ce ne sono in giro. Inutile dire che siccome il libro scopre altarini che coinvolgono i vertici dello sport italiano in questi ultimi decenni, è cosa scomoda che arrivi a noi gente che paga i biglietti d’ingresso e fa vivere lo sport. Che credete, che i soldi dati dallo stato al CONI (che poi distribuisce a sua volta alle varie Federazioni) sia stampato apposta? Arriva dalle tasse che paghiamo a ogni biglietto d’ingresso che acquistiamo. Credo che abbiate capito che se amate sul serio lo sport (essere appassionati non vuol dire amarlo. Anche tra gli appassionati c’è una consapevole ed accettata omertà, c’è una consapevole accettazione del doping perché tanto “lo fanno tutti”), cercate questo libro e – se riuscite ad averlo! – leggetelo. Poi capirete perché persone come Sandro Donati, come Pietro Mennea, come Gabriella d’Orio sono da sempre critici con i vertici dello sport italiano e come viene amministrato, guidato, nascosto a noi che con i nostri soldi lo teniamo in piedi.

sabato 5 gennaio 2013

Il ciclismo che vorrei....

Il ciclismo non è soltanto quello che vive sotto la luce dei riflettori. Sfruttando il contributo di alcuni appassionati e praticanti, il sottoscritto fa il lavativo e sta a guardare (sono quindi pronto per la politica?). Ho chiesto loro se volevano scrivermi quale ciclismo vorrebbero. Visto ch’è iniziato il periodo di “par condicio” anche il sottoscritto l’ha applicata; due “bikers” e due stradisti: Andrea e Antonella per le ruote grasse, Filippo e Lele per quelle fine. Non ho fatto domande pensate, precise, specifiche. Tutto a “ruota libera” su quello che è un semplice schietto pensiero sul ciclismo che si vorrebbe trovare (o ritrovare), o far trovare agli altri. Roba pane & salame insomma. Come piace a me. E se piace pure a voi, meglio. Tutti e 4 gli autori sono nella lista dei link a destra di questa Home Page. Antonella con http://antoincristi.altervista.org/, Andrea con http://oltrelostacolo.blogspot.com/, Lele con http://lelef14.blogspot.com e Filippo con http://34x26.wordpress.com/.
Essendo arrivata prima (per lei abitudine…) come velocità nella “spedizione” dell’articolo, Antonella apre gli interventi, toccando l’argomento di un’ambiente sportivo che si augura guadagni in onestà sportiva dicendo che… “Il ciclismo che vorrei forse resterà solo un’utopia perchè purtroppo non si vuole cambiare. Intanto bisognerebbe cominciare con una reale parità di diritti tra atleti uomini e donne fin dalle più piccole cose ad esempio una obbligatoria divisione di categoria per le donne, un adeguamento premi a quelli maschili, dei controlli antidoping seri e rigorosi anche per le donne in giusta percentuale ecc ecc… Poi, fermo restando che cercare di migliorare la prestazione sportiva esiste dal tempo dei tempi, in questi ultimi decenni le cronache ormai hanno evidenziato un sempre più largo uso di sostanze chimiche anche a discapito della propria salute. Entrare nella psicologia dell’atleta che ne fa uso è alquanto difficile perché, specialmente nella MTB, anche gli Elite ben remunerati sono pochissimi per cui qual’è la vera motivazione? Non posso credere che sia solo il salame della premiazione, ma potrebbero essere solo problemi psicologici molto importanti. La soluzione potrebbe essere fare dei VERI controlli soprattutto tra gli amatori in competizioni di poco conto magari prima di eventi importanti e dare delle pene realmente severe e giuste. Mi piacerebbe vedere più lealtà sportiva, meno sorrisi artificiosi, meno lustrini, meno cinismo, ma un sano agonismo, meno spintoni in gara per la 325 posizione, meno balle sui km di allenamento tipo “ad agosto ho raggiunto i 22.000 km” oppure non mi alleno mai per poi sfrecciare in solitaria al traguardo (in quest’ultimo caso l’antidoping dovrebbe essere obbligatorio). Vorrei vedere una unica federazione con un unico Campionato italiano per le varie discipline non inflazionando così le varie maglie tricolori europee o mondiali, con meno spreco di soldi e di “Generali” che si spartiscono il bottino. Vorrei informazione mediatica all’altezza della competizione, chi non è capace che vada a commentare “La prova del cuoco” o il “Prezzo è giusto” e informazione equilibrata tra sport (NON SOLO CALCIO), aprire un giornale sportivo e leggere anche quante volte ha fatto la pupù Balottelli non mi interessa. Mi piacerebbe rivedere biciclette fatte completamente in ITALIA. Vorrei che sparissero C.O. “senza fini di lucro” che hanno sovvenzioni regionali/provinciali che alla fine organizzano solo per puro guadagno personale. Vorrei vedere più giovani che crescono in questo sport di fatica ma sempre bellissimo insegnandogli che vincere non è tutto.”Anche Filippo pone spesso l’accento sul ciclismo vissuto a livello agonistico, e su come lo vorrebbe interpretato da corridori e organizzatori. E poi pensa alla bici anche come veicolo, e non solamente come attrezzo agonistico. … “Vorrei una stagione ciclistica corsa in 8 mesi invece che in 12 – Vorrei che la culla del ciclismo fosse l'Europa e non la Cina o la Russia – Vorrei che il Giro fosse corso da grandi campioni come qualche anno fa e non da scarti e corridori a fine carriera – Vorrei che l'antidoping fosse onesto con tutti e dicesse finalmente che non ce la fa a stare al passo con il doping – Vorrei che i corridori facessero outing sul doping quando corrono e non a fine carriera, come va di moda ora – Vorrei gli stessi controlli antidoping in tutti gli sport e non solo nel martoriato ciclismo – Vorrei veder nascere un nuovo Paolo Bettini o un Francesco Moser – Vorrei una società a misura di bicicletta, con vere piste ciclabili, e non aborti di marciapiedi con due righe di vernice – Vorrei che il petrolio finisse domani e che tutti gli automobilisti finissero con il culo per terra.. o sopra una bici – Vorrei che tutto andasse più piano, che le distanze si accorciassero e che tornassimo a imparare a gustare il tempo che abbiamo”
E visto che una volta pedalare voleva dire spostarsi fisicamente da un posto all’altro (oggi lo spinning ci permette di fare come quelli che discendono da una scala mobile che intanto sale) Andrea sfrutta le sette note per far partire la melodia di un pensiero che scrive di vecchio ciclismo e vecchi ciclisti…. "Turn the page" (volta la pagina) cantavano i Metallica - nella cover di una canzone di Bob Seger - e questa canzone l'ho sempre associata al ciclismo e alla vita. Di voltare pagina il ciclismo ne avrebbe veramente bisogno, quelle pagine di un libro antico che meriterebbero ben più delle mani unte di chi non paga giusto rispetto e tributo a chi quel ciclismo l'ha scritto e a chi continua a scriverlo con impegno, passione e sacrificio. E se le pagine principali le scrivono i grandi autori ecco che noi, gli amanuensi del pedale, provvediamo ad arricchirlo di piccole miniature personali. "Here I am, on the road again, there I am, up on the stage there I go, playin' star again, there I go" (eccomi qui, ancora sulla strada, sopra il palco, a fare ancora la star vado). Mormoro le parole, mentre con l'autobus mi dirigo al lavoro e come tanti ciclisti mi sento un pò campione, di me stesso perlomeno, quando tra mille sacrifici strappo qualche ora al ritmo frenetico, di lavoro e famiglia, e mi ritrovo ancora una volta sulla strada. Un campione come tutti del campionato della vita, che ci vede tutti partecipare e mai vincere. "You're a million miles away, every ounce of energy, you try and give away as the sweat pours out your body”, (sei lontano milioni di miglia, cerchi di dar via ogni goccia di energia e il tuo corpo versa sudore). Canto nella mia mente, mentre il mio sguardo attraverso il vetro e si posa sul Carega lontano e penso che il sudore siano un po’ come lacrime che il corpo versa in nome di una passione che a volte crea e distrugge i suoi stessi miti, in nome di una ragione che non capiamo o molte volte non vogliamo vedere, noi stessi figli illegittimi di un’ipocrisia nascosta nelle pieghe del nostro sport. “Turn the page”. Dovremmo proprio voltare pagina ma il libro è sempre più logoro anche se, nonostante tutto, resiste perché c’è sempre qualcuno che si sforza di ripulirlo dalle macchie fatte dalla chimica sportiva, di dare una sistemata alle sue pagine strappate o stropicciate. "Here I am, on the road again, there I am”. L’autobus prosegue e penso che anch’io quest’anno volterò pagina nel mio piccolo, nel rispetto del mio mezzo secolo di vita che mi vede sempre più vicino ad un ciclismo diverso, forse immaginario e mai esistito, e con sempre più tenerezza guardo a quei settantenni e più, che su bici e con indumenti molte volte d’antan, partono allegri e sorridenti in sella alle loro vecchie bici. Quando ci parlo, sorridono e mi dicono che perdiamo troppo tempo dietro pesi e cambi, colori e tempi. Chissà se anche loro hanno avuto il nostro stesso disincanto, hanno provato la delusione nel sentire notizie riguardanti chi fino a poco prima avevi pensato fosse un vero campione, se hanno trattenuto come noi le lacrime quando Pantani vinceva il Tour e il Giro o quando - parafrasando i Nomadi – il vuoto gli toglieva tutto e il gioco finiva. Forse avranno pianto per Coppi nella gioia e nel dolore e forse loro non sono altro che noi stessi tra vent’anni e più, anche loro una volta giovani pieni di testosterone, a testa bassa e con le mani sul manubrio ed ora a lì a guardare la strada, con i loro pochi capelli bianchi al vento, sorridenti, e noncuranti delle meccaniche celesti del ciclismo odierno. "Here I am, on the road again”. Ed eccomi ancora una volta sulla strada, sentiero o bitume che sia, lontano dalle politiche del ciclismo, da commentatori tv e giornaliste pseudo - sportive che ti allontanano da una diretta tv o che a volte ti obbligano a togliere l’audio, dall’ipocrisia di ciclisti sporchi con i quali a volte magari hai pure pedalato e che si avvelenano per la corsa del paese. L’autobus prosegue la sua corsa, in lontananza vedo ancora il Carega baciato dal sole di mattino d’inverno e penso ai giri che ho fatto e che farò, cibandomi di ricordi e di uscite future. “Turn the page……”
Mentre diventa un’ancor più marcato ciclismo dei sentimenti quello espresso da Lele (Raffaele? Gabriele? Daniele?, non saprei in verità) che salendo in sella racconta che ciclismo vorrebbe, cercando di raccontare il proprio…. “Il ciclismo che vorrei... Mi si è chiesto di parlare del ciclismo che vorrei. Rispondo con il ciclismo che pratico personalmente, fatto di Pace, di Gioia e di Amore. Una pacifica Passione, un pacifico Agonismo sono la base, per affrontare mitiche imprese, superare se stessi, e, se ci è concesso anche gli altri. Per vincere ci vuole anche un bel po’ di sana cattiveria, sempre nel rispetto degli avversari. Bisogna metterla in ogni pedalata, in ogni respiro in ogni sguardo in ogni movimento: ciò è veramente possibile solo se la base è serena e pulita. E’ bello fare l’impresa, è fantastico vincere, ma spesso ci si dimentica che è soprattutto con noi stessi che dobbiamo ottenere questi traguardi. Il ciclismo è Gioia. Gioia di avere la fortuna, le doti, le possibilità, il tempo di praticare questo splendido e duro sport, che rinforza cuore, mente e fisico. Oggi più che mai, è diventato molto più “facile” praticarlo, la tecnologia ci ha messo a disposizione attrezzature che solo vent’anni fa erano impensabili, che ci rendono la vita molto più semplice in ogni stagione, su ogni terreno. Sembrerà banale ma mi capita di osservare che molte volte tutto questo, lo diamo per scontato. L’Amore verso un mezzo, semplice, sano e pulito: la bicicletta, il futuro dell’umanità. Ce ne sono di svariate tipologie, la sostanza è sempre quella. Ognuna ci permette di inoltraci nello spazio intorno a noi velocemente, di esplorare il mondo, di osservare la natura con calma senza veli, di coglierne tutti i dettagli. Ho iniziato a praticare questo bellissimo sport da piccolo per imitare le imprese in tv. Ora che sono cresciuto, ho capito che il Ciclismo non è un semplice sport, è una filosofia di vita. Avere la possibilità di pedalare quotidianamente, da soli o in compagnia, è un atto di Pace, di Gioia e d’Amore.” E con la parola Amore si chiude questo chilometrico articolo che spero sia stato di compagnia a chi legge. Non ho voluto scrivere la mia idea sul ciclismo preferendo il coinvolgimento di altre persone, che credo abbiano reso così meno noioso un sito scritto sempre dalla stessa persona. Come scritto all’inizio, se qualcuno di voi vuole raccontarci il ciclismo che vorrebbe, e quindi aggiungersi ai quattro bloggers da me contattati, lo faccia nei commenti. Potrà solo arricchire il sentimento ciclistico di questo articolo. Un ringraziamento a Lele, Filippo, Antonella e Andrea.

martedì 1 gennaio 2013

Gennaio; l'editoriale.

“ – Costruttori, dateci una bicicletta a portata di tasche! Non serve che sia l’ultimo modello, che abbia chissà quanta tecnologia, chissà quanti orpelli. Dateci una bicicletta che possa essere per tutti. Ci penseremo noi, ognuno di noi, a farla diventare speciale!“In queste settimane ci sono ciclisti, magari anche tra voi, che hanno perfezionato l’acquisto della nuova specialissima vista nei saloni delle bici, o nel negozio un paio di mesi addietro. Con la crisi, questi acquirenti sono certamente di meno rispetto a due o tre anni fa. La bici nuova, vista nel luccichio dei saloni, vissuta nelle parole del rappresentante del marchio o del meccanico di fiducia... ah, che bella! Ma con i livelli di tecnologia applicata alla metallurgia – ormai raggiunti anche dal mercato ciclistico – veramente non esiste la possibilità per un costruttore di costruire una bicicletta senza dover chiedere tre stipendi a chi la vorrebbe? La parola passione è stata uccisa dal carbonio, dal titanio, dalle ruote ultraleggere, dai porta-borraccia (avessi detto…) che siccome sono speciali costano una roba vergognosa? Può essere che una bicicletta sia omai ristretta a partire da almeno 2.500 euro? In mezzo non può esistere niente? Certamente il ciclista della domenica ha la sua colpa. Il non accontentarsi, il chiedere sempre la novità, il “cedere” alla pubblicità che usa parole, frasi, immagini, confronti altisonanti che fanno da sirena incantatrice per portare a battere il record personale, a essere il primo anche solo del proprio gruppetto di amici. Questo da almeno un decennio. E il negoziante si è (felicemente) adeguato. Ma non può essere solo questo. Solo questione di fighetti che sono ovunque, anche nel ciclismo. I costruttori di oggi non sanno più usare, costruire, saldare l’alluminio? Un “gruppo” da pochi soldi deve per forza toccare i tre zeri per portarsi appresso un po’ di qualità? È probabilmente una scelta. “Preferisco vendere una bici da 4.000 euro che tre da 1.500.” L’alluminio fece la fortuna del mercato ciclistico amatoriale negli anni ’90. Biciclette leggere, che consentivano di avere telai di ottimo livello per il ciclista delle granfondo. E non pare di aver sentito di velocipedi sbriciolarsi ed andare in pezzi dopo 20.000 chilometri, se non per schianti contro veicoli o cadute rovinose. Dire che si può fare ciclismo anche con bici che pesano 9 o 10 chili (10 chili? MIO DIO!!). Non è una bestemmia, e come considerazione è pari all’acqua calda. Si può. Le biciclette di oggi – specie negli ultimi 6/8 anni – hanno avuto un miglioramento qualitativo verso l’alto enorme. Ma così anche il costo. Non esistono più quelle cinque o sei marche che anni fa rappresentavano un simbolo, oltre a una bonifico bello pesante. Oggi marche mai sentite sparano sul mercato “pezzi” da quattro, cinquemila euro senza fare una piega. Possibile che costruire una bicicletta da 1.500 euro sia impossibile? Che l’acciaio (si, l’acciaio, senza vergognarsi) o l’alluminio 7005, giusto per nominare un tipo di lega molto usata nella prima metà del decennio scorso, siano da considerare da museo e basta? Costruttori, dateci una bici che ci faccia contenti. Di andare sulla Luna non ne abbiamo bisogno. Da qui ai prossimi due anni già sarà qualcosa poter andare in vacanza (almeno noi, voi figurarsi…) L’emozione non dipende da quanti euro abbiamo sotto il sedere. Ma se invece è così, poveri noi. Con buona pace del conto in banca.”