«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

sabato 23 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (4^ p.)

LO VIVO A META’ STRADA TRA L’INSOPPORTABILITA’ E LA NON COMPRENSIONE. TRA LA VOGLIA DI MANDARE UNA MALAPAROLA E QUELLA DI CHIEDERE “COME MAI?”. DI CHE PARLO? DEI PRATICANTI SPORT MP3-DIPENDENTI.
Quando pedalo entro in una specie di catalessi ciclistica chiamata “Il mio ciclismo”. È una sconfinata galassia in cui ogni mio senso si decuplica, dove supero le porte della percezione, ed è fatta di tutte quelle cose che rompono le balle alla stragrande maggioranza dei ciclisti e cicliste della domenica. Qualche esempio: 1) usare le piste ciclabili (specifico: quelle che sono pensate con la testa e non con il sedere) 2) usare il casco anche in salita e quando fa freddo 3) stare fermo con il semaforo rosso per lavori sulla sede stradale finché non arriva il verde, anche se lo stesso semaforo è su una strada su cui transita un’automobile ogni tre giorni 4) quando ho finito un qualche Passo me ne frega un c***o di quanto ci ho messo 5) rallentare lungo una salita per attendere ciclisti sconosciuti e scambiarci due parole. Tutte cose inaccettabili perché non inseguono l’ormai obbligatoria strada dell’emulazione, soprattutto nei punti 1 e 5 perché abbassano la media sul contachilometri e questa è una bestemmia. Questi pochi punti sono sufficienti a garantirmi il fatto di pedalare sempre da solo, cosa che certamente non mi piace. Spesso incrocio e magari supero (ebbene si, succede anche questo!) persone che pedalano, corrono, camminano con le loro microcuffie ficcate nelle orecchie. Siccome la musica è la mia prima passione da un lato li comprendo. Mi è già capitato di parlare con qualcuno mentre pedalavo, per poi vedere che la persona, per rispondermi, deve togliersi una delle due cuffiette e chiedermi di ripetere. La soddisfazione di capire che in quel momento non hanno capito una frasca quel che hai detto è sempre bella. A volte avevo con me la mazza da baseball e ho risolto all’antica. Ma poi – mentre magari ripulisco l’asfalto per non lasciare tracce – mi domando come mai l’ascolto del proprio corpo diventi meno importante della chitarra di Tizio e della voce di Caio dei “Sempronio Boys”.
Che la musica possa essere rilassante è come scrivere dell’acqua calda. Che poi esista il lato riguardante la sicurezza stradale questo si sa ch’è relativo alla singola persona, perché siamo pieni di gente che pedala e corre sicura del fatto che sono gli altri ad essere disattenti, noi non lo siamo mai, e quindi non ci capiterà mai niente. C’è questa sensazione di voler dire la mondo “Non rompermi le balle!” e di cercare una solitudine non solo fisica (la strada che passa per il paesino senza un’anima, il sentiero che s’inoltra nella profondità del bosco), ma anche una solitudine d’animo. Certamente viviamo in un periodo sempre più pieno di gente che preferisce parlare tramite il PC con persone che conosce più ‘informaticamente’ che non di persona. Che vive rinchiusa in casa davanti alla tivù o davanti al PC, e quando esce ‘deve’ evitare il fatto di restare più di 15 minuti senza cellulare in mano per contattare gli altri essere informatici bipedi viventi che ha nelle liste degli amici (vedi Facebook). Quindi si può ipotizzare che queste persone MP3-dipendenti cerchino la totale solitudine per non rischiare di dover avere a che fare con il mondo delle persone umane. Probabilmente non hanno mai conosciuto la solitudine vera ma solo quella a comando ON/OFF. Oppure quella solitudine gli piace e cercano di ritrovarla. Emanano tristezza, ma se amano vivere lo sport in questo modo giusto continuino.

lunedì 18 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (3^ p.)

“GODITI LA PEDALATA, ANZI ASPETTA, ORMAI CHE CI SEI FAI LE RIPETUTE, ANZI NO, GUARDA CHE PANORAMI TUTTO INTORNO E ORMAI PREPARIAMOCI ALL’INVERNO ATTIVO PER ESSER PRONTI A FEBBRAIO” …E CHE C***O!!!
Eccoci a novembre, mese che si porta via gli ultimi colori. Periodo in cui si torna (scrivendo a titolo personale) a riaprire vecchie riviste ciclistico/amatoriali, mentre è iniziato il conto alla rovescia per le ultime uscite gira-gambe. Trovi l’articolo che parla ed esalta il praticare ciclismo prendendosi il proprio tempo, che elogia il ciclista che vive la fatica con passione, con spazio a consigli per rendere – nel limite delle possibilità – il più confortevole possibile la propria bicicletta, in maniera che le ore di fatica non siano solamente quest’ultima cosa. E io penso ch’era ora finalmente il ciclismo sia veramente per tutti. Giri pagina è trovi scritto che se sei poco allenato non devi allenarti meglio avendo un po’ di pazienza finché ti sentirai pronto, ma; “….se adotterai un’accorta strategia di corsa e la seguirai riuscirai ad ottenere un buon risultato.” Ma non dovevi goderti i panorami?!
Avanti con le pagine e si legge delle uscite invernali che devono essere vissute in maniera più rilassata, per cui: “…due o tre uscite settimanali che non superino le tre ore possono bastare” , Domanda: dall’inizio di marzo quale sarà il programma del ciclista rilassato? Otto uscite in tre giorni, di cui due notturne? Il divertimento continua con i consigli per non stressare la mente nel periodo di “riposo attivo”. Infatti, ecco che se il tempo tende al brutto la bici può attendere (e meno male….) che tanto; “…un paio di sedute a settimana in palestra, che non superino l’ora e mezza, se ben organizzate….” E a lavorare, al posto nostro ci mandiamo il vicino di casa, che noi non c’abbiamo mica tempo, visto che dobbiamo perfezionare e approfondire quel fottuto stramaledetto discorso del: “...carico massimale e frequenza cardiaca”. Finché si arriva al pedalare in gruppo. Qui si riparte col discorso che il pedalare in gruppo a velocità moderata (scommettiamo che per ‘moderata’ intendono una media intorno ai 25?) è occasione per; “…scambiare impressioni sulla stagione appena passata – ma non dovevamo staccare la spina? – e poter valutare con altri le personali metodologie di allenamento, ed altri aspetti legati all’attività” oppure, per non farsi mancare niente, ecco che con la chiusura della stagione si possono fare delle conclusioni sull’annata ciclistica appena conclusa in maniera che così si possa “…inquadrare meglio, a mente fredda, la prossima e capire dov’è possibile migliorare o se valutare il cambio di alcuni obiettivi”.
Ok, ci siamo capiti: 1) se avete un lavoro valutate (magari proprio con questi famosi altri) se licenziarvi per non rischiare di essere stanchi quando la sera andrete in palestra; 2) se avete famiglia valutate pure se divorziare per non saltare gli appuntamenti importanti del calendario nel fine settimana; 3) ricordate che alcune GF vi costringeranno a partire il sabato pomeriggio a causa della distanza da casa, quindi non scordate l’eventuale ipotesi di poter vendere anche i figli per togliervi ogni pensiero, oppure scambiateli con il vostro meccanico di fiducia per una coppia di ruote leggere per i percorsi che in alcune granfondo mettono davanti molta salita; 4) prima di una corsa ragionate (anche in piena notte, ogni minuto perso può costarvi posizioni) sulla strategia di gara e seguitela con attenzione, in maniera che il ciclismo sia vissuto senza esasperazioni e in maniera naturale; 5) ricordate che adesso, con l’inverno, dovrete staccare la spina. Per questo motivo niente di meglio che nelle vostre pedalate invernali parliate ancor più di questioni tecniche – meglio ancora se approfondite con precise nozioni di Scienze Motorie – con il vostro gruppo d’allenamento. Tutte queste cose vi permetteranno di vivere l’attività ciclistica in maniera spensierata, schietta, a misura di persona, e potrete fare a meno di dar retta a qualche stronzo di passaggio che nel suo blog scrive di ciclismo pane & salame.

sabato 9 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

MANCHEREBBERO SOLO DEI TIZI CON LE ORECCHIE A PUNTA O UN ALTRO CHE DICE; “SIGNOR SGARBOZZA, QUATTRO DA FAR RISALIRE”, POI CI SAREMMO ANCHE. SE NON FOSSE CHE OGGI VIGE UN CICLISMO SEMPRE PIU’ IMPOSSIBILE.
Avete mai visto quelle scene, solitamente rappresentate in qualche film di fantascienza, dove dentro spaziosi saloni poco illuminati da tenui luci verdognole ci sono esseri umani rinchiusi magari da tempo dentro grandi campane trasparenti che li conservano negli anni? E c’è lo scienziato lucidamente pazzo che spiega cosa sono quelle cose che altri visitatori stanno guardando? Mica serve andare in un set cinematografico per queste cose, e nemmeno aspettare il futuro con tutto il suo progresso. Torniamo sulla Terra e immaginate dei ciclisti apparentemente dormienti stesi su dei lettini con una scatola di plastica trasparente che rinchiude perfettamente il capo, e che respirano ed inspirano grazie ad un tubo flessibile in plastica del diametro di circa 3 centimetri. Questo flessibile inizia dalla scatola-contieni-cranio e finisce dentro una sofisticata apparecchiatura elettronica, a sua volta collegata ad un PC che registra in tempo reale i dati che vengono raccolti respiro dopo respiro. Questo poco prima di una corsa, mica nel periodo invernale quando sugli atleti si susseguono test e prove fisiche d’ogni tipo. La macchina in questione si chiama Metabolimetro ed è uno degli ‘attrezzi di lavoro’ dei medici che oggi lavorano del ciclismo di alto livello. Un metodo medico/tecnologico/scientifico che serve a capire il grado di affaticamento raggiunto dall’atleta, e quale debba essere la dieta migliore per quest’ultimo nei giorni di corsa che ancora seguiranno. E così – mentre con il tele-trasporto il signor Sgarbozza fa puntualmente incazzare il Comandante Picard perché continua a far riapparire i componenti dell’Enterprise nei cessi della nave invece che nella sala preposta – si può capire come la fatica del ciclista non sia più calcolata solamente mentre pedala. Tutto questo perché oggi il ciclista non ha praticamente pause.
Durante il Giro d’Italia del 2011, la squadra ciclistica Radio Shack ha fatto duemilacinquecento chilometri per trasferimenti vari (alberghi, zone di partenza). Aggiunti agli allora 3.500 pedalati la cifra complessiva è impressionante quando coperta in sole 3 settimane. Non è un dato secondario che oggi il ciclista trovi nei trasferimenti una fonte di stanchezza molto forte. Del resto gli organizzatori dei Grandi Giri devono rispettare tempi stabiliti da contratti meramente commerciali (leggi: televisione). Le frazioni non devono mai arrivare prima delle 17:00 pena una probabile carenza di spettatori davanti la tivù. Per questo le tappe oggi partono raramente prima delle 11:00 del mattino. Si può (forse) partire prima solo in caso di tappe che prevedono almeno 200 chilometri, con 3 o 4 montagne lungo il percorso. I lussuosi autobus che oggi hanno in dotazione tutte le squadre di alto livello danno un buon comfort grazie a una o due docce a disposizione, possibilità di bere qualcosa di caldo nelle giornate fredde, sedili molto comodi, un minimo di angolo cucina per dare qualcosa da mettere sullo stomaco ai ragazzi (riso e patate lesse sono presenti a carriole nel primo dopo-tappa di alcune squadre). Ma quando ti devi fare un’ora di bus tra strade trafficate e di montagna non è poca cosa in un’economia di sforzo globale lunga 22 giorni. Fino a venti anni addietro i ciclisti riuscivano ad arrivare negli alberghi nel tardo pomeriggio, mentre oggi arrivarci alle 19:00 è già una vittoria. Ormai è la prassi vedere i capitani e gli uomini comunque considerati di punta, che godono del privilegio di poter fare prima i massaggi, e finire la cena quando altri compagni di squadra si sono appena accomodati a tavola. Insomma, se siete al rientro dopo una giornata appresso il Giro sul Passo del Cassani, e quando arrivati a casa vi sedete in poltrona giusto in tempo per guardarvi TGiro, forse chi vedete pedalare nelle immagini tivù non si è seduto in poltrona così tanto tempo prima di voi. Con buona pace del signor Sgarbozza e delle bestemmie del Comandante Picard in dialetto Klingon.

martedì 5 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (1^ p.)

E RIECCO IL PERIODO DEDICATO ALLA BICICLETTA LONTANA DALLA STRETTA ATTUALITA’. STAVOLTA PER PARLARE DI CHI DAL CICLISMO E’ SCAPPATO, O DI CHI CERCA (IN OGNI IL MODO) DI FARE IL CONTRARIO.
Partiamo da diversi anni addietro e andiamo a ricordare un ex talento del nostro ciclismo, uno di quelli che come si dice erano predestinati, che prima o poi doveva fare il botto nel senso buono del termine. Nel 2007 Giuliano Fugueras aveva 31 anni, ed era quindi nel periodo considerato migliore per la carriera ciclistica. Un’intervista del tempo, a firma di Luigi Perna della Gazzetta, ce lo raccontava ingrassato di 10 chili in 5 mesi: due chili al mese, media perfetta. Aveva deciso di mollare tutto, questo si di botto. “Ero solo stanco. Logoro. Stufo di alzarmi ogni mattina per fare 6-7 ore in bici. È molto semplice: mi sono "scocciato" di fare il corridore e ho deciso di smettere. Quello che dovevo dare al ciclismo l’ho dato" disse al giornalista della rosea. “Mi era venuta la nausea. È stato difficile accettare il distacco, perché sono una persona molto sensibile. Ho anche chiesto l’aiuto di uno psicologo. Ma questa depressione non è stata la causa dell’addio, semmai la conseguenza". Sul discorso doping precisò che: "Non è stata la necessità del compromesso a farmi smettere. Quello è qualcosa che esiste e che da corridore accetti. È brutto dirlo, ma è la realtà. Spetta a chi comanda il ciclismo eliminare la possibilità di scorciatoie. Ma io resto innamorato di questo sport e so che un giorno lo rimpiangerò" Chiuse con le idee chiare sul fatto che: “Nel ciclismo lavorerei solo con i giovani. Tra i pro' ci sono facce che non voglio più vedere" Questo fu il commiato di Figueras dal plotone. E risalta il fatto di quelle “facce che non voglio più vedere” che forse furono il vero motivo del non avere voglia di continuare a faticare insieme. Questo il pianeta da cui decise di andarsene il ciclista italiano. Pianeta che invece un’altro italiano, Davide Rebellin, non vuole abbandonare. E da questo lato con le idee ben chiare al riguardo. Il veneto non era un ciclista da poco. Quando correva i Mondiali era spesso la penultima carta da giocare nel finale per lanciare Bettini. A lui resta un tris di vittorie da leggenda nelle Ardenne, a cui aggiungere altre due Freccia Vallone, se non le avesse sporcato tutto con un record che speriamo rimanga imbattuto, quello del primo e fin’ora unico medagliato olimpico italiano ad aver subito poi una squalifica per doping (un’altro atleta, marciatore trentino, che mangiava decine di barrette Kinder ogni giorno e latte a secchiate, il titolo del 2008 ce l’ha ancora). Rebellin – 42 anni compiuti – durante il Giro del trentino scambiò due parole con Marco Bonarrigo di CyclingPro: “Non mi va più di parlare di quella storia. È stata troppo dolorosa.” In questi giorni è iniziata nei suoi confronti l’indagine per doping e per evasione fiscale – quando risiedeva a Montecarlo mentre la famiglia faceva la spesa quotidiana e si faceva mandare la posta in quel di Galliera Veneta – e sulle corse è convinto che nonostante i suoi 42 anni: “…sono integro, ho anni davanti. Vorrei essere un modello per i giovani, magari nel ruolo di allenatore”.
Chi parla assunse, nel dettaglio, ‘Eritropoietina, specialità Mircera di Roche classe ormoni’ e al contrario di Figueras, che stufo decise di dir basta, cerca invece di rimanere attaccato al mondo dello sport ed è anche imbarazzante che ad evidenziare ed esprimere una passione così forte per lo sport, sia una persona che allo sport ha solo fatto del male con la via dell’imbroglio. Non è l’unico atleta che smessa l’attività sportiva, e quindi la vita da sportivo, ha cercato di riciclarsi in altri ruoli ma sempre nel medesimo ambiente. Cipollini tornò anche a correre per un periodo di pochi mesi poi mollò nuovamente, successivamente si mise a fare il presunto preparatore atletico per il team femminile della MCipollini, tant’è che fu l’unica occasione in cui il TG sportivo RAI fece un servizio su di una squadra ciclistica di donne (da notare: non per parlare delle ragazze, ma perché Re Imbroglione – pieno fino alle orecchie come da Gazzetta di febbraio – si era messo a dir loro come ci si prepara fisicamente). Non contento, Cipollini meditò ancora un’altro ritorno per correre due settimane del Giro del 2012, che siccome fino a Cervinia (14^ frazione) non era poi così tremendo, s’era messo in testa di tornare con la Farnese di Scinto, sfruttando il fatto che quest’ultima usava le sue biciclette. Per fortuna Scinto gli fece capire che era meglio non parlarne proprio. Altri casi sono più recenti: Bartoli si era messo – e probabilmente lo fa ancora – a seguire la preparazione atletica di alcuni ciclisti Lampre, o Di Luca che poche settimane addietro ha fatto scena muta davanti al PM, perché tanto che ti cambia se comunque sai che ti squalificano a vita? Meglio non fare la figura del traditore, così i ciclisti e gli altri personaggi marci sapranno indirettamente che di me possono ancora fidarsi e dall’ambiente sportivo riuscirò a non uscirne mai. Non vorrai mica che mi tocchi d’andare a lavorare?