«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

martedì 8 dicembre 2015

Il ciclismo davanti al caminetto (4^ p.)

C’erano il triste muro di Berlino, l’irripetibile Commodore 64, il gigante Enzo Ferrari, e poi l’Unione Sovietica, i paninari, i Ciao elaborati con la sella lunga, e un tizio che iniziò a fare il ciclista della domenica.
Questo è il periodo dedito allo smontaggio e alla pulizia della bicicletta, in maniera ben più robusta che non durante la stagione di pedalate. La smonti, la pulisci nei suoi pezzi grandi e piccoli, fai lo sgrassaggio (termine tecnico molto noto) di talune parti, le risistemi, grasso dove serve, olio dove serve, e via così. Un lavoro che ti porta via alcuni giorni: oggi il telaio, domani le ruote, un altro momento catena e parenti stretti. Visita medica alle gomme, ai pattini freno, al nastro manubrio e avanti. Un momento simil-sacro, dove se apri le orecchie la bicicletta ti parla e ti dice se l’hai usata con criterio oppure no. Si tratta di una specie di periodo di trapasso tra l’anno che va e quello che ti aspetti arrivi. Quando a Dio piacendo risalirò in sella, a fine gennaio/inizio febbraio, sarà il 30° anno da ciclista della domenica. In linea generale è solo l’allungarsi di una lista, perché c’è gente che pedala da molto più tempo. Personalmente lo vivo come un traguardo che non pensavo di raggiungere quando ho iniziato nella seconda metà degli anni ’80, ma ora siamo qua. Riordinare ricordi e momenti sarebbe troppo lungo, per alcuni magari noioso. Per me sarà l’inverno in cui attaccherò la terza stella. La conclusione del mio terzo decennio di pedalate sarà portatrice di ricordi e quando tra due mesi risalirò in sella saranno delle prime (gelide) pedalate molto particolari. Anche se solo idealmente, porterò con me i miei pochi amici di pedalata. Ormai credo che loro la bici la prendano in mano quando la devono spostare per dare una spazzata con la scopa. Quindi sarà un’annata dove i ricordi dei decenni passati avranno la precedenza sulle sensazioni del momento. Proprio per questo potrebbe essere un’annata simpatica, anche se vi sarà il contraltare dato dal dispiacere di doverli ricordare in faticosa solitudine. Più che le strade o i posti penso a quelle cose che ci facevano ciclisti molto alla mano. Quando iniziammo nessuno tra noi aveva le cose oggi considerate banali. Scarpe da ciclista con aggancio rapido? Fantascienza! Il casco? Quando saremo campioni! Fibra di carbonio sulle bici? Lasciamola per la NASA! Gatorade o Enervit? Mentre ci pensi, allungami un altro bicchier di vino! Per dirla tutta, l’ultimo punto non se né mai andato. Non fa molto sportivo che non deve chiedere mai, ma chi se ne frega per dirla elegante.

lunedì 23 novembre 2015

Il ciclismo davanti al caminetto (3^ p.)

Visite mediche specialistiche, programmazione degli obiettivi stagionali (di cui avevo già scritto un anno addietro o forse due), ma sulla strada come si allenano i pro a inizio stagione? Allora, giusto per dare un’idea……
I professionisti stanno gonfiando le ruote della loro bici. Per chi di bicicletta ci vive il lavoro riparte. Vediamo se mi riesce di scrivere qualcosa, senza annoiare troppo, per quella che è una parte della preparazione fatta sulla strada. Un discorso che prende come base il professionista, ma che sempre più spesso (con lati negativi e positivi) è diventato riferimento anche per l’eroico ciclista della domenica che deve allenarsi per le sue corse con proporzioni di “carico”, che mi auguro siano ben diverse. Tecnologia e allenamenti “alla vecchia” convivono da tempo. E se ci sono sistemi di allenamento uguali sulla carta, ad un tratto questi raggiungono un bivio e variano a seconda del tipo di atleta; uomo da classiche o da grande giro? Che sia l’uno che sia l’altro, oggi ci si fonda spesso sui numeri magici di sistemi elettronici (SRM per citare il più noto) che aiutano il ciclista. Spesso il professionista non ama pedalare sempre sotto controllo costante, ma lo strumento tecnologico serve invece molto al preparatore atletico per capire quali sono le condizioni del “motore” che sta seguendo. Nel periodo invernale – che per un professionista dura il mese di novembre – la palestra può fare la parte del leone e alcuni fanno solo quello, magari con tre sedute a settimana e un po’ di corsa a piedi (non troppa) per tenere come si dice un minimo di fiato. Capita spesso che le prime faticate vengano fatte con il rapporto fisso. Due ore, anche tre se si fa solo quello, per ritrovare quel po’ di agilità dopo che il mesetto di palestra ha fatto perdere indurendo un po’ i muscoli. L’agilità è certo più facile trovarla con i lavori “dietro motore” (anche se sono molto comodi da questo punto di vista, sconsiglio il seguire i TIR sulla Statale) e i professionisti la usano anche dopo un allenamento normale sulla lunga distanza: 150/170 chilometri a vento in faccia, e poi si “attaccano” alla motoretta per un altra oretta (meglio la motoretta perché fa rima, ma potere provare anche con un’Apecar e poi fatemi sapere). Questo per toccare i 200 chilometri senza sfasciarsi troppo le gambe e stancare troppo il fisico già nel periodo invernale. Atleti da gare a tappe cercano le salite lunghe (10 – 12 km.) per curare il famoso “fondo” ma alcuni preferiscono allenarsi ad un ritmo di pedalata più alto, concentrandolo in ascese di 6 – 8 chilometri, con qualche allungo ogni tanto per coltivare un po’ di esplosività.
Certamente va considerato che se si abita al nord è meglio evitare salite che portano ai mille e passa metri nel periodo ancora invernale. Questo è il periodo dei raduni collettivi dove, visite mediche e consegna vestiario a parte, i vantaggi sono più di tipo psicologico che di preparazione. Si cerca di costruire il famoso spirito di squadra e di capire che tipo di gamba si ha. Per fare la gamba si deve lavorare e anche in questo caso vi sono delle differenze. Se la stagione sta iniziando si lavora sodo per due giorni ed il terzo è il giorno di “scarico”. Quando più avanti la forma sarà più in palla (e il fondo sarà irrobustito) si lavorerà per tre giorni e il quarto si tirerà il fiato. Che non vuol dire passare la giornata all’osteria (se volete provare provate, poi fatemi sapere come va), ma alcuni pedalano ugualmente per poche ore, due o tre, rapporto leggero senza esagerare per la felicità dell’amatore che quel giorno potrà pedalare col campione senza (speriamo) rischiare l’infarto. Oggi vengono svolti dei test, delle prove su strada che si chiamano di “valutazione funzionale”. In linea di massima il professionista ne fa uno al mese, già dal primo mese di lavoro per capire come sta veramente. Difficile che capiti nei primi due mesi di allenamenti, la prova del “lungo” non viene fatta solo per la preparazione alla stagione. Alcuni professionisti la fanno prima di una gara dal chilometraggio impegnativo, quindi può capitare a marzo come a settembre. È un allenamento massacrante che ti svuota in maniera pesante. La durata va dalle 6 alle 7 ore, ma non a ritmi blandi. All’interno vi sono salite che vengono affrontate anche a ritmi medio-alti con magari un finale “dietro moto” per allungare ulteriormente e sciogliere un po’ la gamba. Tutte queste cose sono dipendenti da tanti fattori: la forma fisica del momento, il tipo di atleta di cui si parla (Sanremo, Mondiale, Lombardia o grandi giri?), per quando l’atleta vorrà/dovrà essere al top della forma, il clima in cui ci si allena (Groenlandia o costa ligure?), percorsi scelti (Polesine o Selva di Val Gardena?) e se durante l’inverno l’atleta è stato professionista anche giù di sella. Non so se riuscirete a diventare grandi emuli di uno Sgarbozza o di un Cassani. Sperando che non diventate mai come il primo, per il secondo la prima cosa è rifornirsi di dosi industriali di scurente per capelli. Buon lavoro sulla vostra bici, ma ricordate di farlo cercando di divertirvi dannazione!

sabato 14 novembre 2015

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

Il ciclista, il diesse, il medico, il meccanico, il massaggiatore. Un tempo una squadra ciclistica viveva principalmente su queste persone (e sullo sponsor che ci metteva i soldi). Non da oggi nello sport, anche ciclistico, è arrivata la Psicologia nello Sport. Il ciclismo di altissimo livello non ha più a che fare coi buoni sentimenti, a meno che questi non siano portatori automatici di risultati di rilievo, possibilmente vittorie. Le cifre oggi necessarie per tenere in piedi una squadra ciclistica di alto livello sono impressionanti. Con che cosa ci si può dover ritrovare a che fare oggi? Con argomenti che 20 anni addietro sarebbero sembrati esagerati, e che sono spesso malvisti dai vecchi tecnici d’ammiraglia. Vi sono aspetti che non sono mai spariti, e anzi sono stati migliorati e approfonditi. L’allenamento di un tempo era composto da ore su ore di bicicletta, anticipate da dosi abbondanti di pastasciutta e una bistecca di abbondanti dimensioni. Il tutto seguito da una mezz’ora di massaggi, con il campione di turno che chissà come mai riceveva sempre dieci minuti di massaggio in più rispetto al gregario. Ma qui siamo all’aspetto fisico del faticare. Oggi anche nel ciclismo l’aspetto mentale trova il suo spazio, con la Psicologia dello Sport. Allora ecco che arrivano termini nuovi o che si sentono raramente. Si sente parlare o si legge di “stile attentivo” composto da due “dimensioni”: la sua ampiezza e la sua direzione. Attorno a questo troviamo metodi per allenare il “focus attentivo” nello sport, in questo caso guardando alla specialità ciclistica. Tutto questo condito da esercizi per sviluppare l’abilità nel concentrarsi aiutati da tecniche di rilassamento per trovare la “sintonizzazione” con il corpo. Ora divertiamoci con alcuni ‘paroloni’ che detti in inglese fa più figo di quel che sei e allora li uso anch’io: Mental Training (allenamento mentale), Focusing (focalizzazione della concentrazione), Goal Setting (formulazione degli obiettivi), Imagery (abilità immaginativa). Tutto questo seguito dalle sopraccitate tecniche di rilassamento, dal saper affrontare gli stati d’ansia pre-agonistici, dalla gestione delle situazioni di stress e anche la comunicazione. Tutte queste cose a cosa sono finalizzate? Su due piedi uno pensa; “A friggerti il cervello” forse si, ma nel contempo anche a costruire l’atleta per vincere o per fare vincere. Allora ecco che s’inizia a focalizzare la concentrazione agli obiettivi nel ciclismo (o della specialità sportiva che si pratica). Vi è il livello teorico (come identificare il mio obiettivo?) e quello pratico (come raggiungerlo?). Vi è poi un lato che viene toccato e accompagnato da un altro bel parolone: psicosomatica. Qui si entra nel campo delle emozioni e quindi si entra in valutazioni che sono soggettive e possono avere diversi modi per trovare uno sfogo. Da un Cadel Evans che accettava tutto con una calma spesso esemplare a un Riccardo Riccò che lanciava la sua bicicletta come fosse spazzatura oltre la linea d’arrivo per un inconveniente meccanico. Il ruolo dell’allenatore resta sempre importante, ma quando si devono affrontare impegni sportivi dove la pressione sa essere molto pesante, si scopre che saper parlare alla persona prima che all’atleta aiuta a fare la differenza nei momenti difficili. Nei momenti dove tutto funzione, tutti sanno cosa dire. Oggi il ciclismo è anche saper usare la parola, saper ascoltare veramente, saper capire che parole usare quando si parla ad un gruppo di atleti e quali siano quelle giuste per la singola persona. Anche questo, oggi, è il ciclismo.

domenica 1 novembre 2015

Novembre; l'editoriale

Che Italia sarà quella della prossima generazione? Per forza diversa. Mentre l’altra metà del sellino ha ormai intrapreso la strada estera.
“La prossima generazione italiana di ciclisti professionisti vivrà una dimensione quasi dimenticata per noi nella categoria elite. Perché per la prima volta da molto tempo forse avremo uno stuolo di gambe giovani che non partirà più con l’idea – che ci siamo portati appresso per due decenni – di essere i rappresentanti del movimento numero uno al mondo. I nostri che inizieranno la loro avventura professionistica non avranno più appresso un pedigree di alta rappresentanza ciclistica. Non guarderanno le altre Nazioni dall’alto in basso. Vi è chi lo ha capito da un pezzo, visto che nel settore femminile quasi tutte le nostre migliori ragazze sono tesserate per squadre estere. I motivi sono più d’uno, con quello economico purtroppo sempre presente, ma non solo. Barbara Guarischi è una ciclista di lecco (anche se nata a Ponte San Pietro nel bergamasco), ha 25 anni, correva con la Velocio-Sram. Ha vinto la medaglia d’oro nella crono-squadre elite ai mondiali di Richmond. Corre all’estero come Giorgia Bronzini, come Elisa Longo Borghini, come Silvia Valsecchi, come Tatiana Guderzo, insomma la famosa ‘crema’ del nostro pedale rosa. Le sue parole, rilasciate ad un giornalista della Gazzetta nei giorni iridati, dicono tanto in poche righe; ‘Mi dispiace dirlo, ma all’estero entri in un altro mondo. Impari molto di più che in Italia e le tue qualità riescono ad emergere. Devi pensare soltanto ad allenarti, fare attenzione a mangiare nel modo giusto, e concentrarti sulle tue corse. Al resto pensa lo staff. Mi dispiace che la Velocio chiuda un ciclo, ma ho già firmato un contratto per restare all’estero’.”

lunedì 26 ottobre 2015

Le nostre ciambelle senza il buco

Gli italiani migliori del 2015? Aru, Longo Borghini e Nibali. Poi magagne pesanti anche sul ciclismo amatoriale e delusioni di corsa che non hanno scuse. Mentre i telecronisti RAI inneggiavano a Nibali dicendo che l’Italia tornava a vincere una classica monumento dopo diversi anni, dimostravano quanta considerazione c’è in Italia per il ciclismo femminile, non ricordando la vittoria di Elisa Longo Borghini al Fiandre. Lei, Elisa, c’è sempre, come c’è stato Adriano Malori, come non c’è stato Diego Ulissi, che per mesi ha potuto pensare solo al Mondiale per poi ritrovarsi a correre una gara anonima e deludente. Brutte storie emergono dal settore ciclismo dopato, visto che la metà dei dopati prò 2015 (una dozzina il totale) trovati positivi dall’UCI sono roba nostra. A livello generale in Italia, cioè considerando i ciclisti della domenica e i professionisti, gli amatori sono l’80% di tutti i dopati italiani. Tra gli uni e gli altri spunta la fine veramente cretina di Paolini che ha buttato nel water tonnellate di elogi, e speriamo che su di lui ci venga risparmiata una specie di operazione recupero d’immagine, sapendolo grande amico del CT Cassani, che a lui non avrebbe mai rinunciato. D’altronde va detto che se sei un ex dopato hai ottime possibilità di avere successo come preparatore ciclistico. Santambrogio e Riccò si sono messi a fare i simil-preparatori-allenatori-consiglieri di ciclismo, con quale titolo non si sa. Il primo era ripartito facendo il panettiere, poi ha capito che la bicicletta era la sua vera vita, cosucce doping a parte. Riccò gira per Tenerife per accompagnare cicloturisti e amatori. Scommettiamo che entrambi hanno un buon successo? Si perché il perdonismo facile post-doping è sport praticato ad un ottimo livello nella nostra Nazione. Lo dimostrano le passerelle televisive di ex atleti con problemi doping, che hanno la possibilità di ritrovarsi davanti alle telecamere per dire cosa sia il ciclismo, come lo si deve correre, e alcuni di loro lavorano anche come esperti e commentatori tecnici. Basterebbe una ricerca nel web, nemmeno chissà quanto approfondita, per capire chi è quel tal esperto che può metter giudizio sugli atleti di oggi, tra una ripassatina di scuro per i capelli o di rasoio sulla zucca.

giovedì 15 ottobre 2015

Basso saluta il gruppo

Una carriera nata sotto l’insegna del talento, dell’essere predestinato. Proseguita con la squalifica per l’Operation Puerto, continuata con la rinascita sotto la mano di Aldo Sassi. In mezzo due Giri vinti, anche se dai sapori ben diversi l’uno dall’altro.
Con la nascita del Giro 2016, il ciclismo ha ricevuto i saluti e baci da parte di Ivan Basso, che abbandona l’attività come ciclista professionista. Non lascerà il ciclismo, lo seguirà con un altro ruolo. La carriera di Basso è finita forse con una stagione di anticipo a causa del tumore ad un testicolo scoperto al Tour, ma lo stesso varesino non ha nascosto che pensava di poter essere più competitivo, anche se in un ruolo di gregario. Parte che aveva iniziato a ricoprire da quest’anno a favore di Contador. Basso ha vinto due Giri. Il primo (2006) viene incorniciato dai veleni e dai sospetti – fatti in diretta televisiva nell’allora primo dopo tappa – da parte di Gilberto Simoni, scalatore trentino, vincitore di due Giri d’Italia, ciclista fermato al Giro del 2002 per doping per via di: 1) prima versione; le cure del dentista 2) seconda versione; le caramelle alla coca della zia Giacinta. Grazie alla provvidenziale zia ne uscirà scagionato. Peccato, vedendo le notizie più attuali, che Luca Paolini non abbia delle zie che si chiamino Giacinta. Tornando a Basso, il varesino rinasce agonisticamente dopo due anni di squalifica per via della nota Operation Puerto. Passa da Bijarne Riis ad Aldo Sassi e al centro Mapei, da un ex ciclista che veniva soprannominato “Mister 60%” quando correva, ad un preparatore che faceva del lavoro duro la sola e unica regola per avere risultati. Basso torna nell’autunno del 2008 e convince più di quello che ci si attendeva. Al Giro 2009 termina la corsa sul gradino più basso del podio, dopo le squalifiche post-Giro di Pellizotti e Di Luca. Alla Vuelta, corsa tre mesi dopo, chiude al quarto posto. Da questi risultati si evince che le qualità dell’uomo da grandi giri non si sono perse, e si confermano ulteriormente quando il Giro 2010 viene vinto senza discussioni, e questo successo non fa che far riflettere sul fatto che Basso ha perso per questioni doping i due anni forse migliori della sua carriera, ed il Tour avrebbe potuto essere veramente vinto. Professionista maniacale, preciso, organizzato, Basso è stato importante riferimento per Vincenzo Nibali, quando i due anno corso – e vinto – con i colori dell’oggi scomparsa Liquigas.

martedì 6 ottobre 2015

Mi ridate quel Giro?

In attesa di entrare nel dettaglio della prossima corsa rosa, buttiamola sul sentimento e sul romanticismo, giusto per allungare il brodo. Cominciamo allora in maniera noiosa e ripetitiva per non farci mancare niente.
Per quanto l’emozione di scoprire il Giro che arriverà sia sempre forte, una presentazione che mi cade quando la stagione non è veramente finita (vi sono ancora alcune corse, anche se non di primo piano), stona con quelle presentazioni che nella seconda metà di novembre portavano un soffio di primavera dentro casa. Vedevi il nuovo Giro e pensavi a maggio, alle rose sui giardini, al rosa sui ciclisti. Sarà perchè quei Giri nascevano incorniciati dalle nebbie di novembre, dalle prime gelate rigide del mattino, dalle giornate corte, dal pezzo di legna che bisognava buttare nella stufa, sarà per quei sabato pomeriggio che profumavano di castagne arrostite e vino nuovo, sarà per i filmati del Cassani-cavia che riusciva a spiegarti una tappa, mentre sorseggiava un vino primitivo frizzante perché ancor giovane, assaggiato nella cantina di turno. Nell’immaginario di chi scrive il Giro è un evento che profuma di primavera. Come una Milano-Sanremo o una Tirreno-Adriatico. Due corse che tramite il mezzo televisivo portano la primavera a chi ancora non la può sentire già così presente. Vuoi mettere il nostro clima marzolino del nord-est con quello della riviera ligure o del centro Italia nel medesimo periodo? Con il Giro, con la sua presentazione, è un riaccendersi di queste sensazioni. Oggi la tecnologia la fa da padrona. Un tempo veniva introdotto un enorme tabellone che veniva aperto e tu cercavi nella prima panoramica della regia televisiva la tua Regione. Un secondo dopo cercavi di capire se quella linea rosa andava verso la tua Provincia. Un altro secondo più tardi potevi venir attraversato da una brivido di soddisfazione se quella linea rosa attraversava la tua città, il tuo paese, o le passava molto vicina. Purtroppo oggi sembra troppo chiedere a Garzelli di salire su di una bicicletta per la perlustrazione del percorso. Anche se dubito possa dare delle spiegazioni competenti come quelle dell’attuale CT Cassani, che a ottobre iniziava a girare mezza Italia, raccontando il Giro che sarebbe arrivato, facendolo sembrare sempre bellissimo anche se così non era. Meglio rimanere davanti alla telecamera, dopo aver guardato che le scarpe siano lucide, la testa sia stata ripassata di fresco con il rasoio elettrico e le sopracciglia ben delineate dalla pinzetta.

giovedì 1 ottobre 2015

Ottobre; l'editoriale

“Che diavolo ci fa Viviani la in mezzo?” ti domandi al penultimo giro. L’Italia delle corse di un giorno si conferma seconda forza. Forse perché non si può chiedere ad un cuoco di fare una frittata senza uova.
“Cercando il pelo nell’uovo, usciamo in maniera positiva da questo Mondiale rispetto a dodici mesi addietro. Torna la medaglia dagli Under 23, arriva anche a cronometro, la sfioriamo con le donne. Poi però ci squagliamo (ancora) coi nostri big. Stavolta le delusioni arrivano dai nomi pesanti, importanti e spesso decisivi. L’argento degli Under 23 è ossigeno puro, aria fresca dopo anni in cui si preferiva spruzzare nauseabondi deodoranti invece che aprire una finestra. L’argento di Malori è il risultato di un atleta che inseguiva da anni questi risultati, e che ha raggiunto la maturità in una squadra – ahinoi – straniera. La medaglia sfiorata dalle donne, quasi tutte – ahinoi parte seconda – tesserate con formazioni estere, è stata il risultato del trovarsi nel posto giusto al momento giusto con la ciclista sbagliata. A Giorgia Bronzini sono mancate le gambe in quei benedetti ultimi cinque chilometri per tenere il contatto con il gruppo di testa. Fino a quel momento tutto bene. La piacentina era stata sempre nel gruppo, coperta, via dal vento in faccia, ben ‘custodita’ dalla squadra. Quello che devi fare se vuoi tenere in serbo un atleta per giocarti la tua carta in volata. È stata lei la prima big ch’è mancata, ma se una tirata d’orecchi ci sta, le donne sono arrivate comunque a un metro e mezzo dalla medaglia. Fino alla volata le nostre ragazze si stavano ancora giocando il podio. Lì c’eravamo insomma, per dirla semplice. Poi arrivano le vere note dolenti. E qui ti domandi se Ulissi – mai visto se non nelle interviste – sia veramente un atleta con la testa per avere su di sé una Nazionale. Ad un tratto è arrivato il segnale che forse qualcosa non tornava poi troppo. Ti spunta Viviani, l’uomo programmato per l’eventuale volata, che deve inventarsi tappa-buchi per inserirsi nel gruppetto che stava tentando il colpo grosso quando probabilmente era, quello, il turno di qualcun altro. Probabilmente quel Nibali che prima e dopo il Mondiale spaccava il mondo nelle gare italiane. In quel momento, con Viviani a fare quello che dovevano fare altri, abbiamo bruciato la nostra carta per la volata. Ma soprattutto dopo l’azione di Elia siamo spariti, quando invece dovevamo venir fuori. Come altre volte negli ultimi anni. Dove la frittata continuano a mangiarsela gli altri.”

martedì 1 settembre 2015

Settembre, l'editoriale

Ci sono nazioni, come la nostra, che vanno orgogliose della loro storia ciclistica. Poi ci sono quelle che la loro storia l’hanno presa a calci. Per cercare di ripulirsi.
“Un noto Trofeo Under 23 italiano, una internazionale disputatasi non molto tempo addietro, ha avuto ai nastri di partenza una quarantina di partecipanti. In due parole, una miseria. Nel periodo estivo – e per circa due mesi – in Italia non ci sono state corse professionistiche di buon livello, figurarsi di alto, perché i soldi sono finiti per molti, e ne sono rimasti pochi per gli altri. Una situazione che da decenni non si verificava. Se si ha la possibilità di andare a vedere qual’era il calendario di corse in Italia fino a pochi anni addietro si resta di sasso. L’Italia vede il suo ciclista numero uno – e uno dei migliori in senso assoluto – squalificato dalla Vuelta perché pizzicato a fare il furbo in corsa attaccandosi all’ammiraglia sotto gli occhi di tutti come un fesso qualunque, e sempre noi abbiamo fino a questo momento il più alto numero di dopati pro’ per questa stagione. Una situazione che per l’immagine del ciclismo italiano non si può accettare, ma che difficilmente cambierà nel breve periodo, visto che situazioni di questo tipo sono puntualmente evitate nel racconto dell’informazione specializzata. In Germania sono tornati a trasmettere sulla televisione in chiaro il Tour de France, dopo che per diversi anni la tivù pubblica teutonica si è rifiutata di trasmettere uno spettacolo sportivo che puzzava di falso. Il movimento ciclistico tedesco è ripartito quasi da zero, smettendo di sventolare vecchie ‘bandiere’ che pedalavano in gruppo dagli anni ’90, così come la nomea della T-Mobile, una formazione ciclistica paragonabile per cultura doping alle varie Festina e US Postal poi Discovery Channel. Oggi la Germania viene da due stagioni come prima Nazione al mondo per risultati globali, più di 20 le tappe vinte al Tour in quattro edizioni e vecchi tecnici (o presunti tali) che erano nelle ammiraglie tedesche anni addietro, sono andati a lavorare in squadre di terzo piano fuori dall’Europa. In Germania hanno dato veramente calci nel sedere, mentre noi definiamo “una cosa illogica” (Davide Cassani) la positività per droga di Paolini al Tour, quando invece a casa nostra avremmo dovuto chiamarla una vergogna.“

giovedì 20 agosto 2015

E se la "grande famiglia" andasse in pezzi?

L’Italia ciclistica va in Spagna come nazione ciclistica leader 2015 per casi doping. Quale sarà la prossima strategia per raccontarci la storia di un ciclismo italiano più pulito e onesto?
Qualche anno fa, nella sua storica confessione doping, Lance Armstrong spiegò che nella sua EPOca ciclistica, l’EPO girava in gruppo come acqua nelle borracce o aria nelle ruote. Tempo dopo l’italiano Di Luca confessò e raccontò delle tonnellate di omertà che viveva ancora in gruppo e delle tante pratiche dopanti ancora esistenti. Sia per Armstrong che per Di Luca si mobilitò anche la tivù. Bisognava correre ai ripari prima che gli appassionati facessero due più due per conto loro, e capissero che due più due fa quattro e non quattro e mezzo come si cerca spesso di raccontare. Per il texano avvenne la resurrezione televisiva di Simeoni, invitato a parlare delle sue discussioni con l’americano quando correvano, facendo fare ad Armstrong la figura del demonio, mentre ci si dimenticava di raccontare che Simeoni era finito nelle peste perché aveva frequentato tal dottor Ferrari. Per Di Luca si scelse la linea del minimizzare le cose dette, dicendo che tutte le cose spiegate si sapevano (e quindi far finta di niente magari?), che l’abruzzese non aveva detto niente di nuovo (idem anche quì per caso?), e che l’intervista rilasciata dall’ex ciclista alla trasmissione televisiva Le Iene era figlia del rancore, e quindi Di Luca doveva essere visto come una specie di poveretto che, siccome due volte dopato, non doveva essere preso in considerazione. Caruso (Gianpaolo) è un ciclista che aveva già avuto guai per doping e fa parte di quella generazione ciclistica che viene additata come esempio per le nuove leve, perché da anni il ciclismo “è molto più pulito”.
Questa è la frase che ci hanno propinato negli ultimi anni giornalisti che bazzicano il baraccone da anni, telecronisti, commentatori ciclistici, dirigenti, atleti, tecnici e gente che non ha mai corso una gara di biciclette però bazzica l’ambiente ciclistico di alto livello senza essere sponsor, dirigente, organizzatore. Intanto abbiamo Paolini, per l’appunto Caruso, Taborre, Apollonio e Reda. Tutti ragazzini senza senso della misura e giudizio? Per niente: Paolini va verso i 40 anni, Giampaolo Caruso 35. Due atleti che sono dei Nazionali. Quali saranno le reazioni dell’FCI? Vi sarà la solita linea dura delle chiacchiere con il CT o il Presidente di turno che si diranno amareggiati, sorpresi? Si appoggeranno alla tivù per lanciare l’ennesimo messaggio di biasimo e severità, magari assieme a giornalisti che diranno con tono severo e ad alta voce il famoso; “è ora di finirla!!”? Salterà fuori il vecchio giornalista che parlerà di ciclisti ‘vittime’ di un sistema? Si preferirà il silenzio? Se Caruso è stato vittima di un sistema, casomai lo è stato di un sistema anti-doping perfezionatosi nel tempo. Per il resto la si finisca di propinarci la solita storia delle “cose belle che ci piace raccontare”, solo per continuare a difendere più il proprio posto di lavoro, la propria posizione agli occhi dei cosiddetti potenti, che la specialità sportiva che si dice di amare, e raccontare solo le cose che funzionano per non finire nella lista dei giornalisti indesiderati. Basta con la storia della “grande famiglia del ciclismo” sbandierata ad ogni benedettissimo Giro d’Italia per tre settimane. Persone che consapevolmente difendono gente indifendibile, raccontandoci solo le cose belle di questa benedetta “grande famiglia”, continuando con il cercare di raccontarcela come gli fa comodo, invitando puntualmente ad un microfono gente che dovrebbe parlare davanti al registratore di una Procura prima che davanti a una telecamera, aiutando il ciclismo così ad andare in pezzi ancor più velocemente, e credendoci una massa d’imbecilli pronti a credere alle favole della Ciclo-Peppa Pig di turno.

mercoledì 19 agosto 2015

Ancora doping, ancora ciclisti, ancora Italia.

La Wada (World Anti-Doping Agency) è un brutto cliente. Gente con le palle quadrate che a differenza dell'FCI, e a volte l'UCI, ti sta dietro finchè non ne puoi più. Lance Armstrong ne sa qualosa. Adesso la Wada può controllare urine e sangue, anche se questi sono stati prelevati diversi anni prima, fino a dieci. Stavolta è Gianpaolo Caruso il ciclista positivo all'EPO. La sua provetta era del marzo 2012, e la differenza l'ha fatta un metodo di controllo più sofisticato che ha fatto scoprire il marcio. Dopo Luca Paolini al Tour, sempre uomo Katusha, un'altro dei bravi ragazzi di Suor Peppa De Stefano si dimostra tutto fuorché bravo. La domanda è; se questa provetta è del marzo 2012, il ragazzo ci ha presi per il sedere fin da quel tempo? E se questo nuovo sistema di controllo doping è così efficace, dobbiamo attenderci molte altre sorprese? E quando la finiremo di dare retta a gente che dai pulpiti televisivi continua a definire i ciclisti come vittime?

lunedì 3 agosto 2015

Continua il momento 'positivo' del nostro ciclismo.

È un’Italia ciclistica che non molla, che vende cara la pelle, e che tirando fuori le palle riesce a confermarsi ai vertici mondiali in fatto di marciume targato 2015. Siamo al momento la prima Nazione al mondo per dopati prò’ in questa stagione. Un dato che chiaramente non deve trovare esagerata diffusione tra gli appassionati, sennò gli sforzi degli addetti ai lavori di raccontare il ciclismo come fa comodo a loro risulterebbero vani, quindi meglio rompere le balle con le chiacchiere sul contratto di Nibali che con il vice Campione d’Italia beccato dopato. Però il ciclismo di casa nostra non vuole mollare, per far capire agli appassionati che non vuole arrendersi, per continuare la grande tradizione italiana che nel periodo anni 80’ e 90’ (oppure leggi Conconi/Ferrari) ha visto la sua sublimazione massima che ha fatto scuola nel mondo. Il GS Androni Sidermec si è auto-sospeso per un mese dalle corse, a causa della positività di due suoi atleti trovati positivi a giugno: Davide Apollonio (EPO) e Fabio Taborre (FG-4592, un farmaco simil’EPO). Se le contro-analisi diranno che i due atleti non sono dopati tutto bene, se invece verranno confermati i risultati delle prime analisi l’Androni si riserva di denunciare per danni d’immagine i due ciclisti. Il ciclismo italiano non è allo sbando come molti scrivono. È invece ben vivo e nel suo sangue scorre potente la voglia di rivincita. Se poi questa grande rivincita ha come costo il continuo prenderci in giro va bene lo stesso, perché comunque la “grande famiglia del ciclismo” è sempre pronta al perdono. Quello che pensiamo noi cosa conta? Dopotutto il biglietto mica lo paghiamo per andare a vedere le corse di ciclismo, quindi che diavolo abbiamo di lamentarci?

giovedì 23 luglio 2015

Nel periodo 'giallo' un po' di rosa.

Il Giro-Donne numero 26 ha regalato una corsa più equilibrata nelle sue forze in campo. Nella prima parte l’Italia ha rialzato la testa con due vittorie di giornata, ottenute prima con Barbara Guareschi sul traguardo di Lubiana, seguita nella 4^ frazione da Annalisa Cucinotta sull’arrivo di Pozzo d’Adda. Già con questi due risultati, tenendo conto delle precedenti edizioni, il bilancio ‘nostrano’ risulta positivo. Però quando nella seconda metà la corsa si è indurita nelle sue altimetrie, quando le tappe hanno smesso di essere solo traguardi di giornata ma riferimenti per la generale, quando insomma le migliori hanno iniziato a spingere sui pedali per giocarsi il Giro, le nostre non hanno più conquistato posizioni sul podio. Tralasciando il prologo di Lubiana, una prova-vetrina di 2 chilometri, le otto tappe restanti davano complessivamente 24 posti sul podio. Le cicliste italiane hanno occupato le posizioni sul podio di giornata 6 volte, concentrate in tre frazioni (Guareschi nella 1^, Scandolara e Cecchini nella 3^, Cucinotta, Marta Bastianelli e ancora Cecchini nella 4^). Poi nelle frazioni 5,6,7 e 8 (più la 2^) tanti saluti, visto che siamo tornati ad un Giro decisamente estero. Insomma, quando il Giro è iniziato veramente le nostre hanno segnato il passo. La classifica generale ha ormai trovato in Elisa Longo Borghini la migliore delle nostre. Nella prima metà della corsa Elena Cecchini ha confermato che il suo secondo tricolore consecutivo è ben portato, rispetto ai risultati modesti delle ultime campionesse nazionali. Sul piano della visibilità il Giro sembra ormai essersi assestato a corsa riempi-palinsensto. La RAI ha ormai confezionato un pacchetto standard rodato, che però continua a dare considerazione sotto-zero alla gara nelle settimane precedenti. La speranza di una diretta televisiva sembra lontana anni luce, nonostante gli orari consentirebbero un tentativo. Solitamente infatti le frazioni partono in tarda mattina e giungono all’epilogo a metà pomeriggio, mentre il Tour de France prima delle 17:15/17:30 non supera quasi mai la quotidiana linea d’arrivo. L’apporto di Sgarbozza è comico da un lato ed irritante dall’altro, pensando a gente che deve lasciar spazio a un pensionato che non sa leggere nemmeno i nomi quando glieli scrivono sotto al naso, o sentirlo parlare di una Van Der Breggen che; “…spinge un 53/17!”, quando un chiaro e lampante primo piano televisivo fa vedere senza dubbio che la ciclista spinge la cara e vecchia trentanove denti. Megan Guarnier ha vestito la maglia per diversi giorni. Ha vinto la Gaiarine – San Fior di Sotto (2^ tappa) e messo via 4 secondi posti per raccogliere più abbuoni possibili, scaricando sui pedali un bel carattere sul discorso di non voler mai mollare. La vincitrice, Van Der Breggen, ha messo a segno il colpo decisivo nella cronometro, e proprio nella prova contro il tempo si poteva vedere di come diverse atlete abbiano una forte carenza su quello che è la specialità della cronometro sistemate quasi alla meno peggio e regalando alcuni colpi di pedale non troppo efficaci. La prova contro il tempo è stata decisiva per la classifica, tanto che l’americana Abbott questa volta non ha trovato abbastanza terreno per recuperare i secondi persi. La scalatrice aveva vinto i suoi due giri precedenti riunendo il massimo risultato con il minimo sforzo: una tappa per prendere la maglia, quella dopo per chiudere il discorso. Stavolta un percorso difficile solamente nella sua seconda metà, con la crono nel mezzo, ha fatto forse saltare i conti del due più due fa sempre quattro. La questione ciclistico-matematica conteneva un’incognita, di cui si è scoperto il valore soltanto all’ultimo momento.

venerdì 17 luglio 2015

Quando il doping non fa notizia, ma le giornate storte si.

La debacle agonistica di Nibali al Tour ha dunque richiesto nientemeno che la presenza del manager del siciliano al salotto RAI per il Tour. Manager che il giorno prima era intervenuto al telefono alla stessa trasmissione. Un tempismo perfetto quanto inutile nella presenza, perché vai a sapere che risposte ciclistiche possa dare un manager, quando manco in Astana sanno il perché Nibali abbia patito così tanto i Pirenei. Un pomeriggio con chiacchiere continue sul ciclista isolano, e discorsi triti e ritriti all’infinito. Ma il salotto ciclistico RAI ha deciso che una giornata storta di Nibali valesse un pomeriggio a parlare di Vincenzo, mentre non sarebbe stata invece una brutta cosa se qualcuno avesse fatto una bella chiacchierata su Francesco Reda, 32 anni, ciclista del Team Idea, una formazione Continental. Sono quelle squadre che hanno poche possibilità di mettersi in evidenza sui palcoscenici importanti, e stessa cosa dicasi per i loro corridori. Reda aveva ben impressionato molti al Campionati Italiano – vinto da Nibali – cogliendo un inaspettato secondo posto conclusivo. Il ciclista è stato trovato dopato con una sostanza chiamata ‘darbepoetina’ una parente dell’EPO. Questa medicina stimola la produzione di globuli rossi agendo sulle cellule del midollo osseo. Di queste cose non vale la pena parlare nei salotti RAI, perché al telespettatore bisogna raccontare i ‘casi’ Nibali, mentre per parlare di doping ci sarà sempre tempo. Intanto i ciclisti – le famose ‘vittime’ – continuano a far male a se stessi e alla disciplina che praticano, aiutati da salotti tivù dove dei casi doping non vale la pena parlare. Meglio chiamare un manager e parlare del contratto di Nibali, o di una vittoria di Moser al Giro d’Austria, che di un ciclista italiano che si è dopato. Così aiutiamo veramente il ciclismo. Non parliamone, così la gente crede alle storie di Suor Peppa, e tutti noi vivemmo felici e contenti.

domenica 12 luglio 2015

"Orgogliosa di quel che ho fatto!"; Anna Van Der Breggen regina rosa 2015

“Anche oggi è stata una frazione faticosa. Io dovevo fare il possibile per difendere la mia maglia rosa, e devo ringraziare ancora le mie compagne di squadra. Per me è davvero importante scrivere il mio nome sull’albo del Giro. Ho dovuto difendermi anche su queste salite finali, e la maglia rosa mi rende veramente orgogliosa di quello che ho fatto”. Parole tutto sommato semplici quelle della regina del Giro-Donne 2015. E così alla fine tutto si è deciso nella Verbania-San Domenico di Varzo di 93 chilometri. Tutti aspettavano l’attacco dell’americana Mara Abbott e così è stato, ma la classifica si era già pesantemente delineata nella cronometro del giorno prima (Pisano-Nebbiuno di 22 km.), dove Anna Van Der Breggen (foto; pedalerosa.it) ha lanciato l’acuto decisivo che le ha dato la vittoria del Giro-Donne 2015. La vittoria della rappresentante dello squadrone Rabo-Liv ha fatto vedere che con una cronometro vera, dove vi è una distanza che richiama al ‘fondo’ dell’atleta, la classifica è aperta a più atlete che possono dire la loro, anche se non scalatrici. È stato un Giro che, senza Marianne Vos, è apparso più equilibrato, un po’ più italiano nella parte iniziale rispetto al solito, un Giro che ha messo ancora come migliore delle nostre Elisa Longo Borghini; “Sicuramente senza la mia sciatalgia credo che avrei potuto giocarmi, non dico la vittoria ma un posto sul podio. Nonostante abbia avuto qualche problema ho dimostrato di poter restare davanti. Quando mi sono lamentata per il male, mio padre mi ha detto che era mio dovere onorare la corsa, allora ho provato comunque. Non ci sono riuscita come avrei voluto, però è andata così”. Mara Abbott ha dato tutto nell’ultima tappa, ma ormai era tardi. Anche se la maglia rosa ad un certo punto ha alzato bandiera bianca, è bastato salire con regolarità e il distacco di 55” accusato all’arrivo non ha scalfito i 2’ e mezzo che aveva alla partenza dell’ultima frazione. TAPPE NUMERO 6 E 7; Le frazioni decisive per il Giro si aprono con una vittoria storica della giapponese Mayuko Hagiwara della Wiggle-Honda. Uscita da un gruppetto di sette fuggitive, tra cui la Berlato e la Gillow, la giapponese esce dal gruppetto e saluta tutte a 25 chilometri dall’arrivo facendo sua la Tresivio-Morbegno di 103 chilometri, davanti alla Guarnier e alla Moolmann. La classifica generale vede sempre la Guarnier in rosa, maglia che la stessa manterrà anche alla fine della frazione numero sette (Arenzano-Loano di 90 km.) dove chiuderà ancora al secondo posto di giornata. Una tappa, quest’ultima, che vede la vittoria forse più bella di questo Giro, con l’azione eclatante di Lucinda Brand, olandese della corazzata Rabo-Liv. L’atleta scatta a 50 chilometri dalla fine scendendo dal Naso di Gatto e inizia una specie di cronometro individuale che lascia a oltre due minuti le inseguitrici (tutta gente di primo piano). Nella seconda e conclusiva discesa non sbaglia una curva e guadagna ancora. Mettiamo in chiaro una cosa; se fosse stata un’italiana a vincere in questa maniera ne avrebbero parlato tre giorni e tre notti. Lucinda Brand dopo la vittoria ne parla con giusto entusiasmo; “Una grande giornata. Sono arrivata alla fine e ho dato tutto quel che avevo. Un grazie devo darlo alla mia squadra. Per me è stata una specie di impresa, perché sono riuscita a mantenere il vantaggio nel finale, e sono davvero felice” TAPPE NUMERO 8 E 9; con i 22 chilometri a cronometro la Van Der Breggen da una botta decisiva alla classifica. Un Giro non così cattivo nella prima metà, regala infatti negli ultimi giorni una classifica generale abbastanza ravvicinata tra diverse protagoniste. La Van Der Breggen vince contro il tempo davanti la Guarnier (davvero brava, in rosa per diversi giorni) e la Moolmann. Con questo risultato la Van Der Breggen sentiva già profumo di rosa; “Io spero che domani (domenica n.d.r.) riuscirò a volare sull’arrivo finale del Giro. Sono davvero felice, e devo dire grazie alla mia squadra per quello che ha fatto fino a questo punto del Giro, e domani cercherò di dare il meglio di me.” Fatto sta che all’inizio di questo articolo vi è la fine di questo Giro numero ventisei.

martedì 2 giugno 2015

E adesso spagelliamoci.

Puntuali come la solita dichiarazione dei redditi (il periodo è quello), tornano le pagelle ‘fuori giri’ dedicate al Giro. Qualcosa resta sempre fuori, portate pazienza.
VOTO 36 a Piergiorgio Severini; manca poco alla partenza della tappa del 24 maggio. Severini viene mandato a strappare un’intervista a Contador a pochi minuti dal via. Ma GazzettaTV è arrivata prima tesoro mio. Nessuno ha però avvisato l’amico che il suo microfono è ben aperto è il telespettatore può riceverlo forte e chiaro; “E che vuoi che ti dica….quelli della Gazzetta fanno come cazzo gli pare!....” Sul volto di Mecarozzi, conduttore di Giro-Mattina, spuntano in veloce rassegna le tinte di tutte le maglie delle varie classifiche. VOTO 9 all’Astana (quattro vittorie, 2 atleti sul podio) e a Contador che ha vinto il Giro quasi da solo (Saxo-Tinkoff 4). VOTO 8 a Gilbert che ha piazzato due belle vittorie, ad Aru che ha piazzato due belle vittorie, a Landa che ha piazzato due belle vittorie, a Modolo che ha piazzato due belle vittorie. Curioso notare come nelle prime 14 tappe avevano vinto 14 nomi diversi. Poi è stato tutto un bis. VOTO 7 al serale della 19:30 di Gazzetta TV; chiariamo, non entusiasma troppo, ma è la prima edizione e le domande fatte ai protagonisti dai giornalisti Gazzetta sono meno scontate di quelle (spesso noiose) che escono da una certa trasmissione RAI del dopo-tappa. VOTO 6 a un bel Giro per il fatto che abbiamo visto come usando solo l’Italia puoi fare tappe tecnicamente molto belle, senza trasferimenti a raffica. Ma il sud Italia è stato messo all’angolo. Il prossimo anno pare si riparta dall’Olanda. Puoi menarmela con la passione, ma pare che un assegno firmato valga pure di più. VOTO 5 a chi (Conti Giuseppe) rompe le balle per via della crono (una!) molto lunga. Il percorso era ottimo per far tirare fuori le palle agli atleti al via. Che smetta lui di romperle. Se il ciclismo di oggi ha sempre qualcosa che non va lo molli e sparisca. VOTO 4 a Gigi Sgarbozza; Dà un tocco di vivace simpatia alla trasmissione della mattina, ma qui continuiamo a sfiorare l’analfabetismo puro. La domanda non è retorica; avrà fatto le suole medie? VOTO 3 a Baffetto e facciamo il bis con l’amico “W Balmamion!”; Perché (essendo gente in pensione) non togliersi dalle sacrosante palle per lasciare spazio a gente che ha 30 anni di meno e probabilmente più bisogno di lavorare? Hanno una pensione troppo misera per tirar sera? VOTO 2 ai capelli tinti di rosa di patron Tinkoff; c’avrà pure i miliardi, ma faceva veramente schifo! VOTO 1 a Tom Boonen; se deve venire al Giro per fare presenza poteva starsene in Belgio ad aspettare la prossima Roubaix. VOTO 0 per il solito piattume del dopo tappa; sempre gli stessi a cantarsela tra loro, Cipollini trattato come Dio fatto ciclista perché il telespettatore meno sa e meglio è (per loro), il tutto condito da decine di considerazioni da parte della conduttrice del calibro tipo; “Beppe, quando piove è meglio avere l’ombrello che non averlo”. Poi ti domandi perché un giorno ti stufi di Bicisport e compri CyclingPro.

sabato 16 maggio 2015

Fuori giri; "Cornuto!!", disse il bue all'asino.

Se avete comprato la Gazzetta dello Sport il 9 febbraio 2013 (“Eh certo – penserà qualcuno tra voi – perché adesso figurati se non mi ricordo una roba del genere, genio dei miei coglioni!”) troverete quasi tutta la prima pagina dedicata a un signore, ex ciclista, che da quel giorno e per più di un’anno si guardò bene dal farsi rivedere in televisione, e quando lo faceva pubblicamente si faceva accompagnare da un amico legale, nel senso di avvocato, e che quando incrociava uno dei (pochi) giornalisti ‘scomodi’ dribblava le domande di quest’ultimo meglio di quanto fa Messi con un difensore avversario. Oggi, questo signore ogni tanto ritrova un microfono in mano grazie ad un simpatico varietà di approfondimento ciclistico-sportivo, condotto da una giornalista che se fosse rimasta a fare per l’appunto la giornalista e non la conduttrice, sarebbe stato meglio. A questo salotto televisivo partecipano spesso diversi giornalisti già in pensione da un pezzo – come gente dal simpatico baffetto che va ai Mondiali a spese della Federciclo (leggi; soldi nostri) senza nessun ruolo tecnico, logistico, organizzativo, rappresentativo o altro che serva veramente – perché è meglio così che dare lavoro a un trentenne senza lavoro, visto che bisogna fare largo ai giovani per guardare al futuro. Questo signore di cui si scriveva all’inizio ha fatto notare che Alberto Contador dovrebbe rinunciare a cambiare bicicletta ogni volta che affronta un’ultima salita, per non evocare velati sospetti d’imbroglio riguardanti il mezzo meccanico. Ora, con tutta la stima che (almeno qui) si è persa totalmente per questo signore, oggi fabbricante di biciclette costosissime che portano il suo nome, fa specie che a invocare un velato sospetto su delle biciclette sostituite sia per l’appunto qualcuno che si è guadagnato pagine intere complete di tabelle mediche, riferite ad un medico iberico molto noto riguardo alle cronache doping che guardavano al decennio scorso.

martedì 7 aprile 2015

Bene così, ma senza fretta, che il talento c'è.

Chissà cosa pensavano i dirigenti della Shimano seduti in poltrona, mentre al Giro delle Fiandre andava in onda il peggior spot pubblicitario che l’azienda avrebbe mai pensato di dover ritrovarsi tra le mani. E adesso sotto coi discorsi che ci sono tanti o forse troppi veicoli al seguito delle corse. Nel mentre di un pomeriggio pasquale che ha confermato la fatica boia del nostro ciclismo maschile ad emergere nelle corse di un giorno di più alto lignaggio, la bici rosa riesce a far parlare di sé con la vittoria della Longo Borghini al Fiandre femminile. Com’è da tradizione c’è stata subito la celebrazione televisiva RAI, con il rilancio del noto slogan; “le nostre ragazze”, nella miglior tradizione della nostra Federciclo quando ci sono nei paraggi telecamere e fotografi con qualcosa d’importante appena vinto. Elisa (foto; Wiggle-Honda)si conferma atleta di un giorno, ed ha vinto in una maniera che se fosse stato un italiano a vincere a quel modo ne perlerebbero una settimana. La talentuosa ciclista piemontese – aveva già vinto anche un “Binda” in quel di Cittiglio – rappresenta quel cambio generazionale che da un paio di stagioni si va manifestando a piccoli passi non solo con lei, anche se al momento è l’atleta che mostra più di altre le famose ‘stimmate’ della campionessa. Scandolara e Ratto sono attese per dei rispettivi segnali importanti. Al Binda della scorsa settimana la Longo Borghini aveva mostrato una mancanza di brillantezza proprio nelle fasi finali, ma chissà che questa vittoria non sia il segnale d’inizio di un periodo di forma che arriverebbe in uno dei momenti più sentiti della stagione, visto che il 22 arriverà la Freccia Vallone. Molto buono il 5° posto conclusivo della tricolore Elena Cecchini, che sembra indirizzata a difendere meglio la maglia di campionessa nazionale rispetto alle ultime due tricolori Borgato e Muccioli.

mercoledì 1 aprile 2015

Aprile; l'editoriale

Tre anni e mezzo addietro la bicicletta rosa italiana era rappresentata in primis da una due volte iridata (consecutivamente), che al tempo raccontava com’era messo il ciclismo femminile. Sono passati quarantatre mesi.
“È sempre stata una delle poche ad aprir bocca per parlare anche delle cose che non funzionano. Non essendo una che cambia un fidanzato ogni due mesi, per far parlare di sé doveva vincere, perché se arrivava seconda figurati se ti correvano dietro per chiederti anche soltanto che ora fosse. Durante la conferenza stampa post-iride-bis (Copenhagen 2011) si espresse con una frase che indirettamente conteneva tanta amara realtà, che se non si segue con un minimo d’attenzione il ciclismo rosa può dir poco e sembrare pura cordialità di circostanza; “La settimana prossima sarò in albergo a Montichiari per i campionati nazionali. Se qualcuno vorrà intervistarmi sarò a disposizione”. Diventò protagonista di un servizio di poco superiore al minuto, mandato in onda a orari da bestemmia. Ma in quel periodo raccontò anche di argomenti che figurati se i suor alessandristi di turno toccavano. E allora venivi a sapere che i premi di tappa al Giro-Donne erano una cosa che gridava vendetta, che l’enorme maggioranza delle cicliste portavano a casa uno stipendio ch’era roba da non credere se comparato con stipendi minimi di altre professioni, che chi aveva un bagaglio tecnico vero dal punto di vista della competenza si doveva trovare un lavoro per aiutare in una palestra (con i ringraziamenti dell’allenatore pensionato che non costa una lira se non poco e quindi conviene), che già vedeva di come una eventuale riforma fatta in casa nostra se fosse arrivata lo avrebbe fatto con tempi enormi e tante tribolazioni, che una specialità come la ginnastica artistica può avere la sua parte anche nella specialità ciclistica, e che il ciclismo era ‘tatuato’ nel cervello della gente come uno sport solo per maschi. Che bello sarebbe ritrovare Giorgia Bronzini e chiederle se riguardo a queste cose ci sono state delle novità al riguardo”

venerdì 6 febbraio 2015

Già cinque anni

Mescolava intelligenza, esperienza, diplomazia, anche rigore. Senza dimenticare che qualcosa si poteva sempre imparare, e che qualcosa si poteva sempre insegnare. Sono passati cinque anni da quel febbraio che se lo portò via, da quella passione – per un mondo lontano mille chilometri da quello della bicicletta – che se lo portò via. La bicicletta è semplicità, silenzio, spesso pazienza. Un rally è velocità, rischio costante, rumore a volte infernale. Era capace di salire in auto un tardo pomeriggio, farsi due ore di strada, parlare due ore ad una platea, venire ripagato con una cena un sorriso e un grazie, e ripartire per tornarsene a casa ch’era mezzanotte. Il giorno dopo lo trovavi alla corsa dei ragazzini, per darne il via o per premiare alla fine, perché lo aveva promesso al tal dirigente mesi prima. E quando partecipò ad una manifestazione ciclistica a Feltre capitò ch’era atteso sul palco e non arrivava più. “Ma dove sta?” Fermo fuori da un bar dopo un caffé preso al volo, a parlare di ciclismo con persone che non erano dirigenti, atleti, organizzatori, sponsor e ruffiani vari. Poi a diventar matto al volante, macinando migliaia di chilometri al mese, per seguire le gare che lo riguardavano da vicino, quelle coi Campioni che le correvano, quelle che lui doveva ‘leggere’ per capire come costruire la sua squadra, come gli altri forse avrebbero costruito le proprie. E poi sotto con la corsa juniores il giorno dopo, sempre mangiando chilometri senza sosta. Riusciva a costruire le squadre amalgamando capitani su capitani senza ripicche silenziose (vedi alcuni finali buttati malamente dalla Spagna), come faceva anni prima il vecchio Martini. E proprio come Martini le sue squadre vincevano o ci andavano sempre vicine. A un mondiale era stato tradito da un suo uomo che aveva fatto finta di non avere capito. Lui capi tutto. Senza troppi proclami quell’atleta non avrebbe più rivisto la Nazionale. Aveva rotto il suo concetto di gruppo, di squadra, di lavoro. Se un’atleta voleva correre un mondiale lui gli chiedeva risultati. Non voleva portarsi appresso un nome soltanto, ma un nome che facesse la differenza. “Da lui mi aspetto segnali importanti nei prossimi giorni”. Questo era quel che diceva ai giornalisti. Era il monito indiretto, l’avviso di chiamata. Poi, quando prendeva il telefono e parlava con quell’atleta, niente di più facile che fosse un po’ meno diplomatico e un po’ meno superficiale. S’innamoro di una corsa del Nord. La rincorse finché non la raggiunse due volte. Poi, quando dentro di sé disse “Ok, basta così…”, decise che sarebbe passato da questa per dire “Merci Roubaix!” scrivendolo sulla maglietta della salute che aveva sotto quella della sua squadra. Si può parlare di una persona, cercare di raccontarla in qualcosa senza farne il nome, senza dire cos’aveva vinto, cos’aveva fatto vincere? Ci si può provare.

domenica 1 febbraio 2015

Febbraio; l'editoriale

Nas e CONI lavoreranno insieme per effettuare controlli anti-doping sul nostro territorio. Una svolta epocale? Si, ma solo se si eviteranno situazioni come questa vecchia storia che andiamo a raccontare.
“Racconta Alessandro Donati nel suo libro “Lo sport del doping” di come il rapporto dei Nas con le autorità sportive visse una brutta esperienza nel 1996, quando era stato preparato un massiccio controllo a sorpresa alla carovana del Giro d’Italia. Il Giro doveva sbarcare a Brindisi dopo tre giorni di tappe svoltesi in Grecia (quell’anno si partiva dalla Grecia per festeggiare i 100 anni dell’Olimpiade). In vista di questa azione i Nas avvisarono il magistrato Giovanni Armati e successivamente, quando sono ad un passo dal via dell’operazione, si accorgono di essere stati anticipati da telefonate che misero sull’avviso la Federciclo italiana, per poi rendersi conto che anche i dirigenti e tecnici delle squadre presenti al Giro avevano ricevuto un provvidenziale squillo all’apparecchio. Da chi siano partiti questi avvisi non si saprà mai. A quel punto però, capito che queste telefonate così puntuali avevano bellamente mandato per aria tutto il loro lavoro, i Nas decidono dell’inutilità dell’azione e tutto salta. Il personale del Nas ha proprio avuto nella persona di Alessandro Donati il responsabile per la loro formazione, su questioni doping, presso l’Istituto Superiore della Sanità. Se questo personale porterà con sé soltanto la metà delle competenze e delle esperienze che Donati ha maturato nelle sue guerre con i vecchi dirigenti del CONI e della Fidal, ma sarà determinante che i Nas ricevano carta bianca totale senza dover passare per 10 uffici diversi per poter suonare al campanello di un’abitazione, e che i controlli vengano aumentati fuori dalle competizioni e siano veramente a sorpresa. Allora si che forse ci sarà da divertirsi (o da intristirsi) per quello che potrebbe uscirne.”

venerdì 9 gennaio 2015

La mia prima bicicicletta era....

A volte, raramente, ho proposto di far scrivere a chi passava di qua – con dei suoi commenti – l’articolo vero e proprio che il quel momento pensavo interessante proporre. Eccomi nuovamente a fare questa proposta e vediamo se troverà attenzione al riguardo. La vostra prima bicicletta com’era? La ricordate nel colore, nella marca, magari quanto era costata se ve l’avevano comprata? Era nuova, usata, oppure era stata la bicicletta di un parente, un’amico, un vicino di casa, o di chi altri? Ricordate qualcosa di particolare verso di lei? Un episodio, un qualcosa ch’era tutto suo, avete voglia di raccontare? eE se non era la prima bici, della prima che ricordate cosa vi torna in mente?

lunedì 5 gennaio 2015

Cerchi un lavoro sicuro? Opinionista ciclistico in tivù: fatti avanti!

Sono il tramite catodico e giornalistico tra noi comuni mortali seduti in poltrona, e i protagonisti dell’evento sportivo. Integerrimi professionisti del microfono o della penna, che fanno dell’imparzialità professionale il loro inno.
Mentre fior di opinionisti continuano a menarla con il fatto che l’UCI deve difendere le corse storiche dall’invasione in calendario di corse più giovani che rendono la stagione senza fine solo per soldi, RCS (leggi Gazzetta) lancia un nuovo evento ciclistico che si terrà alla fine della stagione, con una mini corsa a tappe ad Abu Dhabi (4 tappe), nel cuore di quella che oggi è la terra più ricca sfondata del mondo. I ciclisti non si annoieranno nei giorni precedenti l’evento; 4 ottobre 2015 Giro di Lombardia, 5 ottobre presentazione Giro 2016, la sera stessa si parte per Abu Dabhi e vi si arriva la mattina dopo. Il giorno dopo presentazione delle squadre e quindi la gara da giovedì a domenica. Settimana piena insomma. Il Giro di Lombardia non sarà più la corsa considerata come la chiusura della stagione (anche se già quello dell’Emilia lo corrono dopo). Ci aspettiamo quindi che la Gazzetta (mamma di Tirreno, Sanremo, Giro, Lombardia) venga un po’ messa in croce. Quando il Tour era l’unico grande giro ad avere la cronosquadre, i giornalisti italiani criticavano i francesi e continuavano a menarla con il discorso che la prova a squadre falsava la classifica. Quando una decina di anni addietro anche il Giro (per avere l’allora CSC di Riis e Basso) introdusse la cronosquadre, la squadriglia ‘menante’ del fior di opinionisti si ridusse misteriosamente. Quando negli anni ’90 il Tour faceva spesso delle partenze dall’estero quasi una tradizione, i giornalisti italiani esaltavano il Giro tutto nazionale. Adesso che il Giro sta imitando da anni la gara francese, la stessa epidemia ha colpito ancora e da tempo i nostri leggendari opinionisti, che ora esaltano il pubblico estero e le accoglienze che all’estero ricevono. Quando l’UCI introdusse, pochi anni fa, il divieto per gli atleti di usare medicinali o prodotti di recupero tramite iniezioni, per evitare che qualcuno invece dei sali sbagliasse casualmente la sacca – quasi trasparente nel contenuto – e si ficcasse in vena quelle dove il contenuto era color vino rosso di aspetto leggermente denso (quindi facilmente confondibili), un’allora noto opinionista RAI, vincitore di 2 Giri, ex ciclista di Telekom (Ullrich), Discovery (Armstrong), Astana (Vinokurov) ed LPR (Di Luca), e protagonista di episodi di pesante amnesia ciclistica – causati dal feroce virus denominato “Convocazione presso la Procura Antidoping del Coni” – disse che era una decisione assurda, venne confortato in quel pensiero da una nota giornalista televisiva, nota per l’ampio respiro professional/umanitario, soprattutto nel dare risalto alle figure di ex ciclisti italiani che hanno chiuso le loro carriere con patteggiamenti per magagne doping. Insomma, ci aspetta in poltrona un’altra stagione entusiasmante!