«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

domenica 14 dicembre 2014

Il ciclismo davanti al caminetto (5^ p.)

In bicicletta incontri gente di ogni tipo. Anche tipi che ragionano in maniera strampalata. Ma se fai due conti col resto del mondo, ti appaiono meno insani di certa gente che ha sempre una risposta per tutti e una lagna su tutto. Capita spesso che nelle ultime pedalate dell’anno la testa mi riporti alle prime. Le partenze nelle gelate d’inizio febbraio, o fine gennaio, incorniciate dal sole che un pelo ti scalda la schiena nelle ore della tarda mattina e del primo pomeriggio. Intanto invecchi e senti che quello che facevi tot anni prima te lo sogni, e se non te lo sogni devi faticare tanto di più per rifarlo. Poi, quando sei riuscito a farlo, ti senti il fiatone durare di più, questo perché sei più vecchio. A volte succede che parli con gente che forse per nasconderlo a se stessa tira fuori la solita; “l’importante è sentirsi giovani dentro” magari convinta che così dicendo il tempo si fermi. E ci ritroviamo in un’epoca dove una persona che ti fa di questi discorsi ha dieci anni più di te, e si tinge i capelli per dimostrane altrettanti meno di te. Allora capisci quanto vale (poco) il senso della realtà di questi maestri di vita, che forse temono d’uscire dalla cercata prigionia del sogno. Intanto pedalo e quella salita nemmeno poi così lunga, che un tempo sopportavo bene, oggi fa più male, è più pesante, è più bastarda, e il cambio di ritmo diventa un supplizio per farlo venir fuori. Poi ce la faccio, ma che fatica. E Manuel perché fa più fatica? Perché è più vecchio. Il bosco adesso – primi giorni di dicembre – diventa silenzioso, anche se pedalo col sole. A febbraio invece il bosco lo percepisco risvegliarsi e questo mi rinfranca. Gli unici rumori che sento adesso sono quelli dei bipedi lavoranti facenti legna. Gente che per tutto l’anno il bosco l’aveva evitato, c’aveva girato attorno, adesso vi ci lavora nel cuore. Cataste disseminate, colpi d’accette che risuonano ma faccio fatica a vedere da dove questi provengano, il tradizionale piccolo fuoco acceso nelle vicinanze per darsi una veloce riscaldata di 5 minuti alle mani, che guanti o non guanti sono fredde. Primo pomeriggio; il sole sta già scendendo nell’ovest del rimpianto. In questo periodo dell’anno l’astro corre in cielo più velocemente di quanto faccia un ciclista in discesa. Vicino alle case legnaie ormai ricolme. Però, se butto bene l’occhio, vedo che hanno già iniziato a calare. Allora, mentre invecchio e mi accorgo di queste solite cose, altri non le scorgono e probabilmente nemmeno gli interessa farlo. Troppo impegnati/e a scorgere il contachilometri e a lamentarsi di quel che hanno. Meno male che non gli manca qualcosa. In giro c’è gente che da come vede le cose mi pare già con un piede nella fossa. Sarà per questo che devono correre? Per tenersi lontani il più possibile dalla fine del sogno?

mercoledì 26 novembre 2014

Il ciclismo davanti al caminetto (4^ p.)

C’era una volta il ciclista della domenica, una bestia bipede che con il tempo pare si sia……. volontariamente estinta. Che tracce sono rimaste ai giorni nostri di questo essere, fioriero di storie leggendarie com’anche apparizioni misteriose, oggi sostituito da una genìa di apparenti super-uomini?
Tutta la roba che leggerete in questo articolo sarà figlia di un tizio (io) che facente parte di una realtà ciclistica (PST Feltre) con un’idea tutta sua sul mondo della bicicletta, vi presenterà delle righe scritte in maniera puramente partigiana. In questo periodo c’è chi la bicicletta l’ha messa a dormire e chi si prepara a farlo. E una scorsa su vecchie riviste di ciclismo amatoriale sono mia tradizione. Se fino alla metà degli anno ’90 leggevi nelle righe, e anche tra di esse, il sapore di un modo di praticar ciclismo ancora ‘pane & salame’ (e rieccomi con la vecchia litania!), dal periodo fine vecchio/inizio nuovo millennio vi è stata una potente sterzata in ogni cosa: gli argomenti principali riportati in copertina sono passati dalla località da visitare pedalando, all’elenco delle granfondo del mese; l’invito a leggere un’articolo a pagina ‘tot’ sull’alimentazione, viene ora riproposto in maniera specifica per l’alimentazione certo, ma durante la gara di turno; i consigli per arrivare alla fine delle granfondo cambiano registro e diventano i parametri da usare per scegliere la corsa più adatta e cercare di costruirsi una propria classifica finale migliore; i 40/50 chilometri a settimana durante l’inverno (chi se li fa) divengono la base, perché ora devono venire integrati da sedute di palestra ed esercizi di ginnastica da fare a casa, e se piove via coi rulli a casa; quando l’annata in bicicletta finisce non è più il momento di staccare la spina, ma diventa il periodo migliore per il famoso (e già citato forse un’anno addietro); “….analizzare con più calma la stagione appena conclusa, gli eventuali errori commessi (eh beh certo, non si può mica buttar via così una gara….) e programmare in maniera più proficua la prossima”. Tutti discorsi perfettamente condivisibili, e quasi certamente molto utili, per una visione però abbastanza simil-professionistica della specialità sportiva scelta. Le granfondo, ed il loro forte gradimento da parte della maggior parte degli appassionati – vedi come risultato le diverse riviste ‘dedicate’ oggi ben presenti nelle edicole – hanno creato un’ulteriore ‘scrematura ciclistica’ nelle tipologie di bipedi praticanti. Se fino agli anni ’80 vi erano principalmente il ciclista professionista, il dilettante, il ciclo-amatore (o ciclista della domenica) e il ciclo-turista, nell’arco di circa 15 anni si è registrata un’ulteriore specifica nella ‘categoria’ del ciclista amatore, che si è divisa in “granfondisti” e quindi amatori. Quando pedalo mi capita (spesso) di essere raggiunto da qualche ciclista, com’anche capita (meno spesso) che sia io a raggiungere. A volte succede che questi bipedi su velocipedi scambino anche due parole con il bipede qui scrivente. Bene, o il 90% dei ciclisti della Valbelluna raccontano favole, oppure la percentuale tra loro che fa ciclismo senza guardare alle GF sfiora la miseria, senza escludere la possibilità che questi ultimi escano in bicicletta soltanto nelle ore notturne. Insomma, pare che “o granfondista o niente” sia lo status attuale. Nella pagina web della PST Feltre fino a qualche mese addietro vi era la dicitura; “L’associazione degli animali ciclistici in rapida estinzione”. Hai visto mai parole che furono più profetiche, specie riguardo al termine “rapida”?

mercoledì 12 novembre 2014

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

Il pianeta bici dei polacchi, dei francesi, dei britannici. Per capire da dove nasce l’arretratezza del nostro ciclismo a livello internazionale, e per capire dove siamo rimasti (fonte; Cycling-Pro). I FIGLI DELLA REGINA; Christian Prudhomme, patron del Tour non la mandò a dire; “Questa è la più grande partenza della nostra storia”. Di cosa parlava? Dell’inizio del Tour 2014 in terra inglese. Un’oceano di persone, circa 4 milioni da Leeds a Londra per le tappe tenute oltremanica (546 chilometri), figlie del più grande progetto relativo alla mobilità ciclistico-sportiva mai pensato, progettato, creato al mondo. Piste ciclabili e bike-sharing che vanno moltiplicandosi, grazie ad un programma di Stato (Cyclescheme) che conta mezzo milione di aderenti. Nel quotidiano lavoratori dipendenti si mettono d’accordo con i datori di lavoro per spostarsi in bicicletta, ricevendo uno sconto sulle tasse superiore al 40% del costo della bicicletta, con un’incentivo di circa 25 centesimi per ogni miglio percorso tra casa e lavoro. Incentivi per le aziende che installano tutto quel che serve al dipendente (dalle docce allo spazio bici in azienda). Sul piano sportivo, ogni giorno in Italia si registrano 5 nuove persone tesserate a livello globale, quindi senza distinzioni sull’Ente di appartenenza. Nel 2013, British Cycling ha tesserato più di 100 agonisti al giorno, prevalentemente giovani e donne. Nel mese di agosto l’evento londinese “Prudential Ride” aperto a tutti, dai ragazzini ai ciclisti professionisti, ha contato 65.000 partecipanti. I CUGINI D’OLTRALPE; Francia è Italia sono le due Nazioni che ciclisticamente hanno più tradizione. Nella situazione attuale la Francia ha tre World Tour e due ottime Professional. L’Italia nel 2015 avrà una sola formazione di 1^ fascia (Lampre), e proprio il processo Lampre non è ancora stato archiviato, anche se pare che la cosa vada avanti così lentamente, che forse le speranza dell’archiviazione per decorrenza dei termini (una ben nota ‘moda’ molto italiana) possa trovare successo. In Francia i tesserati sono più di 12.500, a casa nostra ne possiamo annoverare molto meno della metà e sui nostri numeri si sta perdendo colpi. Tre milioni e mezzo all’anno è la spesa per l’attività legata al settore olimpico italiano. Fantastico, se non fosse per il fatto che a Londra ci siamo portati atleti professionisti, che sono spesati e formati dalle loro squadre. Quindi quei 3,5 milioni sanno solo in Federciclo dove/come vengono spesi e si sognano di farlo sapere. I francesi ai Mondiali si sono portati atleti di formazione federale. Di certo si sa che a Ponferrada la Federciclo nostra annoverava nella sua comitiva niente meno che il giornalista Bartoletti (lo si intravedeva ‘casualmente’ alle spalle del CT Cassani in alcune interviste televisive). Forse Bartoletti (ch’è giornalista in pensione) vanta esperienze in ambito ciclistico come meccanico, o dirigente, oppure massaggiatore, magari autista, perché no tecnico ciclistico, forse apprezzato cuoco, o qualcos’altro di cui saremmo lieti di sapere? Di Rocco ha liquidato la questione ‘battezzando’ Bartoletti come un portafortuna per la squadra, precisando che tanto “….paghiamo noi. Che problema c’è?”. La Francia si è portata appresso 20 persone (oltre agli atleti). Tutta questa gente si è trovata per i fatti suoi un posto dove mangiare, dormire e per spostarsi (vedi sotto la voce; logistica). La delegazione italiana poteva riempire quasi due pullman. È questa quindi la Grande Famiglia del ciclismo che Suor Alessandra non manca mai di ricordarci esistere? LA POLONIA? AVANTI DI ANNI!; negli anni ’80 noi italiani conoscevamo due polacchi; uno era vestito sempre tutto di bianco, un’altro giocava nella Juventus e poi nella Roma. La Polonia sportiva era roba di poco conto. Oggi la Polonia è avanti anni rispetto all’Italia e non solo. Mai sentito parlare di Licei dello Sport? In Polonia ci sono 15 licei specializzati per l’attività sportiva, 5 quelli per il ciclismo. Ci vanno studenti dai 16 ai 19 anni, le ore di lezione riempiono tutto il giorno fino al tardo pomeriggio. Dopo esserti fatto le tue ‘tot’ ore in classe (religione, storia, matematica, ecc…), sali sulla bicicletta e pedali quattro ore per quattro giorni a settimana, e quando non pedali ti fai delle lezioni dedite alla meccanica della bicicletta. Chi esce di lì ha le basi atte ad intraprendere la strada per diventare tecnico, atleta stesso, fisioterapista. Gli istituti hanno una loro formazione ciclistica junior che – rappresentando l’istituto – partecipa a corse anche internazionali. I preparatori e i tecnici della scuola che seguono gli studenti sono persone diplomate. Un’altro mondo, un’altra testa, un’altro tutto. Noi abbiamo vecchi campioni del ciclismo che sono costruttori di biciclette, senza sapere nemmeno come si centra una ruota, altri ex dopati che una volta chiusa la carriera con patteggiamenti per questioni-doping, vanno davanti alla telecamera per dire come si vincono le corse, quando in tutta la vita non hanno mai aperto un libro sull’argomento, se non quello delle istruzioni per l’uso riguardanti il mini-frigorifero che usavano per tenere al freddo le fiale di EPO. Qualcosa (ma senza esagerare) per fortuna sta cambiando, e prossimamente si scriverà anche di questo.

giovedì 6 novembre 2014

Il ciclismo davanti al caminetto (1^ p.)

Pedalare su strada d’inverno: dato che Ciclismo PST esiste da diversi anni, c’è il rischio che l’articolo seguente si riveli una ripetizione. Comunque, vediamo se a qualcuno può tornare utile.
Bentornati agli appuntamenti ciclistici idealmente vissuti davanti al camino. Se siete ciclisti PST, tra meno di un mese la bici se ne va in letargo. Se invece siete ciclofili imperterriti avete le possibilità della mountain bike, delle serate di palestra, di tutte e due assieme, o di imbacuccarvi per benino, in maniera da poter affrontare eroicamente le gelate invernali. Optando per l’ultima opzione vediamo come comportarsi quando l’inverno fa parte del vostro ciclismo e abitate in zone fredde. LA BICICLETTA; nel periodo novembre/febbraio può capitare che le strade facciano schifo. Soprattutto se per evitare il traffico si cercano vie secondarie, spesso in zone di campagna e collinari. Prendete in considerazione l’ipotesi di comprare due pneumatici con battistrada “rain” (usiamo un termine caro alla Formula 1), nel senso che non siano i soliti pneumatici quasi totalmente lisci che usiamo durante l’anno. Compratevi roba onesta, tanto dovete usarli due, forse tre mesi l’anno. Poi se anche per quelli volete spendere 30 euro a ruota affari vostri. Se solitamente ‘sparate’ 8 o 9 atmosfere alle vostre ruote, avrete gomme con cui dovrete tenervi più bassi e togliere almeno un bar di pressione rispetto al vostro solito. Se comprerete pneumatici da 23 o 25, penso che con 6,5 siete a posto. FRENI; sono l’insidia nascosta, la serpe in seno che uno non si aspetta di avere. Avere una frenata immediata e potente appena toccate le leve freno, con le strade ghiacciate può rivelarsi una ben dolorosa fregatura. Una frenata progressiva è invece migliore. Se avete freni talmente perfetti che con due dita frenano d Dio, allentate leggermente la tensione sui cavi freno se vi sembrano anche troppo pronti al bloccaggio delle ruote, e abituatevi ad anticipare le frenate di una decina di metri in discesa. LA STRADA; occhi aperti alle foglie, poetiche nel loro volo leggero verso l’asfalto, bastarde quanto basta per farvi fare un bel volo pesante sull’asfalto. Occhi aperti poi alla sabbia fine depositata a bordo strada, quando viene sparsa dai mezzi che curano le strade ghiacciate dell’inverno. Frenarci proprio sopra con troppo entusiasmo vuol dire perdere stabilità, e se siete nel mezzo di una curva non serve passarci sopra a 40 all’ora per finire a terra. Ancora attenzione quando pedalate in zone ombra-sole-ombra. Negli angoli di mondo dove il sole dell’inverno non ci arriva, potete trovare quel pelo infinitesimale di ghiaccio che vi farà finire anzitempo l’allenamento, e darà lavoro al meccanico di fiducia. ABBIGLIAMENTO E ALIMENTAZIONE; sul come vestirsi ampia libertà. Al giorno d’oggi vi è una tale abbondanza di varietà riguardo all’abbigliamento che esiste solamente l’imbarazzo della scelta, partendo dalla testa fino ai piedi. La giornata di sole dicembrina con cielo terso, nel primo pomeriggio può darvi 10 gradi di differenza tra un tratto assolato e un tratto ombroso. Nell’arco di un’amen passi dal leggero tepore del sole sulla schiena, ai brividi freddi causati dal sudore contro l’aria fredda. Una giornata nuvolosa ma senza gelata mattutina non sarà mai tiepida ma nemmeno gelida. L’importante sarà non fermarsi mai e se lo fate sia solo per un paio di minuti, o per necessità improrogabili (problemi meccanici, forature, salvataggio di un gatto da un albero, ecc…). Cosa mangiare con il freddo? Non è che vi sia poi una grande differenza dal resto dell’anno, ma non abbiate troppo timore per i grassi. Esempio; un velo di burro in una fetta di pane con della marmellata non vietiamocela. Ricordate che il vostro corpo ha necessità di più calorie; in primis per pedalare (ma dai!...), e poi per non far raffreddare troppo il corpo. Berrete poco rispetto al solito? Ok, ma intanto bevetevi quel poco. Pedalate con rapporti agili e nelle discese pedalate sempre un po’, anche a vuoto. Appena arrivati a casa una doccia calda (ma non troppo calda, attenzione) sarà buona amica, ma un the caldo poco dopo vi assicuro ch’è cosa imbattibile. CONCLUSIONI; fate decidere alla vostra passione quali siano le conclusioni. Queste righe devono solo dare un’indirizzo, uno spunto di riflessione, un’idea, perché l’esperienza che voi fate direttamente in prima persona val più di 50 di questi articoli. Quindi, da un certo punto di vista, fanculo i blogger e divertitevi! Una cosa su cui invece voglio insistentemente rompervi le balle è questa; allungate di un centimetro il cinturino del casco. Il berrettino di lana avrà il suo spazio, e la testa avrà il suo casco dannazione! Ciao.

lunedì 27 ottobre 2014

L'altro lato (ben nascosto) del ciclismo della domenica.

Richieste di squalifica mai viste prima, verso un mondo che si sta saturando di casi doping, con roba pesante che gira in gruppo e in vena.
ETICA: dal dizionario si evince come;“Parte della filosofia che ha per oggetto la determinazione della condotta umana e la ricerca dei mezzi atti a concretizzarla”, per poi mandare il lettore alla parola MORALITA’ su cui si edotta che trattasi di pensiero; “Conforme ai principi di ciò che è buono e giusto”. Questo troviamo nei testi riguardanti la nostra identità letteraria. Ora scendiamo un bel po’ di livello, soprattutto dal punto di vista linguistico, e vediamola dal punto di vista sportivo/ciclistico. Il fenomeno doping nel settore amatoriale continua ad essere in piena salute. La procura Antidoping del CONI ha emesso 18 richieste di rinvio a giudizio. Siamo orgogliosamente a livelli del ciclismo professionistico periodo anni ’80 e ’90, quello degli anni in ci il ciclismo italiano quasi dominava nel mondo e Conconi e Ferrari lavoravano senza sosta. Una situazione, quella amatoriale, esistente grazie a gente che vive di pura omertà a qualunque livello. A partire da dirigenti/organizzatori specializzati nel pianto greco quando nella loro corsa viene pescato l’ennesimo dopato, per poi esser pronti alla fotografia con l’ex dopato di turno, che siccome trattasi di uomo importante all’interno dell’ambiente ciclismo nascondiamo tutto con uno smagliante sorriso per la stampa, che tanto gli appassionati che possono fare?
Un secolo in totale la richiesta di squalifica da parte della Procura Antidoping del CONI (il nome del morbo che ha causato un’amnesia ciclistica permanente a Savoldelli) per 5 persone in particolare; 18 anni per Alfonso Falzarano, 20 per il fratello Raffaele (ex meccanico Farnese), 20 per Armando Marzano, 20 per Michele Sgambato, 25 per Carmine Galletta. Avete una calcolatrice sottomano? Altro che tagli del governo, qui servirebbe una potente, impietosa e cattiva tabula rasa totale sulle classifiche delle GF, cancellandole per almeno due o tre anni, in maniera che questi eventi la smettano di essere calamite per dopati e dopatori che rubano risultati, che portano palate di merda su GF organizzate invece molto bene, e tornino ad essere manifestazioni amatoriali e non corse camuffate da rimpatriate per ciclisti della domenica, che vengono continuamente presi in giro dopo aver speso fior di soldi tra iscrizioni e altro (che credete, che le GF partano sempre a 5 minuti di strada da casa?) ed essersi fatti un culo così, per prendere il via con gente che aspetta il terzo grado di giudizio. Via i vari premi di categoria e via le classifiche totalmente per due o tre anni. Se nell’animo hai passione vera i numeri non ti servono, sennò teniamoci il ciclismo amatoriale della situazione attuale di cui quasi nessuno parla, scrive, racconta (tivù in primis), per non rovinare un giocattolo sforna-business che ‘non’ si deve scalfire.

sabato 13 settembre 2014

"Oggi il ciclismo è molto più pulito"

Domanda 1: avete mai preso nota di quante volte gli ‘esperti’ commentatori televisivi sparano questa frase? Domanda 2: ma un CT non dovrebbe convocare su motivazioni tecniche? Domanda 3: adesso che farà Luca Scinto?
Ovviamente la notizia ha trovato meno spazio possibile, ma intanto la Nazionale è stata sfiorata dall’EPO, in questo caso di Matteo Rabottini che in agosto è risultato positivo ad un controllo a sorpresa. Rabottini è una delle belle speranze che il ciclismo italiano sbandierava da un paio di stagioni a questa parte certo, quest’ultimo, che la musica stava cambiando. Ovvio che il ragazzo è stato escluso all’stante dalla fresca convocazione in azzurro a vantaggio di Davide Formolo. Rabottini è stato convocato da Cassani perché lo stesso CT voleva includere tra i possibili nazionali un rappresentante del gruppo di Luca Scinto, anche se la certezza che lo avrebbe portato in Spagna non c’era proprio. Il CT (precisazione tramite Gazzetta) avrebbe convocato il ciclista abruzzese per una presenza meramente simbolica. Perché Cassani convoca un’atleta per rappresentanza di una tal società? Non dovrebbe convocare in base a motivi tecnici e mettere in secondo piano i motivi di rappresentanza? Amicizia? Cassani ha capito che non lavora più in RAI? Rabottini ‘esce’ da quella che fu la vecchia squadra di Scinto, una formazione che dopo il Giro dell’anno scorso rischiò la disintegrazione ‘grazie’ alle positività all’EPO di Santambrogio (al tempo altra giovane rappresentanza di un ciclismo più pulito) e Di Luca (abruzzese come Rabottini). Questi sono i 16 pre-convocati uomini elite, da cui usciranno gli 11 per i mondiali spagnoli (cronomen già certi Adriano Malori (Movistar) e Dario Cataldo (Sky): Fabio Aru, Enrico Gasparotto, Alessandro Vanotti, Vincenzo Nibali (Astana) – Daniele Bennati (Saxo-Tinkoff) – Damiano Caruso, Davide Formolo, Alessandro De Marchi (Cannondale) – Gianpaolo Caruso (Katusha) – Sonny Colbrelli, Edoardo Zardini (Bardiani CSF) – Giacomo Nizzolo (Trek) – Filippo Pozzato (Lampre) – Manuel Quinziato (BMC) – Matteo Trentini (Omega) – Giovanni Visconti (Movistar).

giovedì 4 settembre 2014

Come? Ma dai!!... Veramente? Ma tu pensa!...

Il teatrino è sempre il solito. Tutti di buon umore fino a quando non si vede arrivare il furgoncino dei NAS per i controlli, e allora vai a sapere perché ma l’umore cambia.
Il luogo è Sant’Eufemia di Borgoricco, nell’Alta Padovana. L’evento è il mondiale amatori di ciclismo su strada Acsi in pieno luglio. Dieci i controllati (pochi) con due atleti pescati a imbrogliare: Moreno Buso (3B Impianti Saonara) e Sauro Bembo (Team Adige Vescovana). Come capita sempre, quando salta fuori che c’è del marcio, arrivano puntuali le chiacchiere di chi il marcio lo sentiva da un pezzo. Tenendo conto che gli atleti partecipanti erano (tra le varie categorie) circa 800, i Carabinieri del NAS hanno ancora fatto un grosso favore a tanti ciclisti e dirigenti che sono certamente sorpresi, che mai avrebbero immaginato, che se solo avessero intuito una cosa del genere, che siamo invasi dalle cavallette, che si riserveranno di questo, di quell’altro e di quest’altro, che; “dove sta il pane che ‘sto prosciutto è proprio buono?...”.

lunedì 1 settembre 2014

Settembre; l'editoriale

Altro che Mondiali spagnoli. Se il ciclismo di alto livello è meno sporco, come possiamo trovarvi soddisfazione, se poi tra i giovani saltano fuori la cara vecchia EPO e suoi ‘parenti’ vari?
“Bello poter parlare di ciclismo pulito, ma quando ti ritrovi degli juniores con metabolici della cocaina nel sangue, o ventitreenni che si fanno d’EPO hai voglia di buttarla in propaganda. Magari c’è gente (sempre quelli) che ci prova lo stesso. La realtà e drammatica, pesante, grave. Appena la Federciclo ha stanziato (miracolo, altro che l’acqua in vino!) dei fondi per aumentare i controlli antidoping nelle categorie giovanili le positività (con roba da non scherzarci) sono spuntate con puntualità. Ovvio che alla maggior parte degli appassionati si parlerà delle feste post-Tour di Nibali e dell’avvicinamento alla prova iridata, perché se parli di minorenni che si riempiono il sangue di porcherie la ciambella non riesce più col buco e l’appassionato ignorante (nel senso di quello che non sa le cose) smette di esserlo e diventa un pericolo per chi sa cosa dirci e (soprattutto) cosa evitare di raccontarci. Pochi giorni fa hanno sepolto Alfredo Martini, storico CT italiano, che amava ripetere spesso che un giovane ha il diritto di fare sport senza diventare un campione. Juniores appena maggiorenni beccati con Nesp (Darbepoetina), oppure con della benzoilecgonina (metabolita della cocaina) nel sangue non sono lo spot migliore per il ciclismo. Poi ecco tornare la cara vecchia EPO per uno ‘stagista’ che corre in squadre di terzo piano per competizioni di quarto. Il tutto condito dalle solite dichiarazioni delle società ciclistiche di turno che ‘prendono le distanze’ da questo e da quest’altro, ‘riservandosi’ la decisione se dare lavoro ai propri legali per il danno all’immagine eccetera, eccetera. Intanto hai voglia di far stare tranquilli i genitori (quelli che non trasformano i loro figli in soprammobili da esibire al mondo) che hanno un figlio quindicenne con buone prospettive verso la specialità. L’età dei dopati, lentamente, a piccoli passi ma inesorabilmente continua a scendere e quando li beccano non lo fanno per via di troppa caffeina da Coca-Cola nel sangue. E ricordiamo il colpo di genio dell’autunno scorso ‘lanciato’ tempestivamente – leggi: elezioni FCI – da Di Rocco, per togliere l’obbligo del medico sociale per gli juniores. Ma si sa che questo è il mese dei Mondiali, vuoi mettere?”

mercoledì 20 agosto 2014

Io voglio, tu vuoi, egli vuole, noi, voi, essi,....

Avrei voluto le ruote perché così mio nonno ci si faceva il carretto e non gli toccava di doversi comprare la Ferrari, e vorrei (vorremmo?) tante cose diverse intorno alla bicicletta. Vorrei che una bicicletta venisse usata anche quando non ci sono dei numeri da attaccarsi addosso. Vorrei che giornalisti e giornaliste che fanno dell’omertà una scelta per non perdere il posto, e che al riguardo dell’argomento doping trattano gli appassionati come degli smemorati imbecilli coglioni, ricevessero fischi e non applausi o richieste di fare una foto assieme. Vorrei che quelli che dicono che gli piace il ciclismo iniziassero a documentarsi sulle cose che vengono loro dette e raccontate, perché almeno così conoscerebbero anche le cose che per ‘volontaria dimenticanza’ non gli vengono dette e capirebbero così quando vengono presi per il culo. Vorrei che il CT della Nazionale cambiasse idea e rimandasse Velo e Ferretti da dov’erano venuti. Vorrei che in Nazionale ci fosse andato Damiani, che se n’è andato dall’Italia (e dalla Lampre in particolare) perché qui non veniva accettato il suo troppo cristallino modo di lavorare. Vorrei che partendo dalla base (società amatoriali), sparissero quei dirigenti che volontariamente non s’interessano all’argomento doping, perché se vuoi salvarti il culo è meglio non chiedere, così puoi dire che non sapevi e nessuno può affermare il contrario. Vorrei che Suor Alessandra la smettesse di difendere i ciclisti sulle strade dal pericolo delle automobili perché – come Rosi Bindi che faceva perder voti al suo partito quando apriva bocca – la Peppa Pig del ciclismo tivù parla dei ciclisti come dei poveri Cristi sempre innocenti, quando ci sono certe teste di legno pedalanti che fanno manovre ciclistiche nel traffico che sarebbe da appenderli per i coglioni. Vorrei che i genitori prima di mettere i loro figli o figlie su di una bicicletta, chiedessero loro se il ciclismo davvero vogliono farlo. Vorrei che il ciclismo televisivo fosse raccontato anche da altri, e non dai soliti cinque o sei che da anni si passano il microfono l’un l’altro. Vorrei sapere se quelli della Gazzetta sono una massa di visionari sbronzi e, casomai fosse così, del perché Cipollini non ha mai fatto querela verso la ‘rosea’ riguardo alla tabelle ‘Fuentessiane’ riguardanti il toscano nelle sue stagioni più gloriose. Vorrei sapere con chiarezza da dove arrivano i soldi che fanno lo stipendio del nostro ciclista numero uno. Vorrei che il nostro ciclista numero uno cambiasse squadra con la velocità con cui sa scendere da un Passo Pordoi. Vorrei che la madre di Pantani fosse la prima a lasciar in pace suo figlio. Vorrei sapere come mai sto aspettando da febbraio la ristampa aggiornata di “Generazione EPO” di Renzo Bardelli, e del perché il libro di David Millar sia introvabile in Italia, nonostante i diritti dell’edizione italiana siano stati venduti da qualche anno. Vorrei che Filippo Simeoni, Floyd Landis, George Incapie, Tyler Hamilton non fossero ricordati soltanto come i grandi accusatori del dopato Amrstrong, ma anche perché loro stessi erano dei dopati. Vorrei che i Gruppi Ciclistici seguissero la bicicletta a 360° e non soltanto per il lato che gli fa accumulare tessere. Vorrei che certi ciclisti, toscani in particolare, che hanno corso nell’EPOca degli anni ’90/’00 e che danno il loro nome a delle GF avessero il buongusto di fare altro e accontentarsi che gli andata bene. Vorrei che le persone che leggeranno questo articolo, post o come diavolo si dice, scrivessero qui sotto cosa vorrebbero loro.

venerdì 25 luglio 2014

"Gigi a me le ragazze chiedono 15 giorni di corsa..."

L’ipotesi è suggestiva e a quanto pare spinta dalle cicliste stesse. I soldini ce li mettono loro?
Durante la telecronaca della penultima frazione del Giro-Donne, tra le risatine senza senso di Ridolini, spunta un’ipotesi che proprio quest’ultimo pone a Giuseppe Rivolta, patron della corsa, ospite del cabiotto RAI di Piergiorgio Severini. L’idea recitava all’incirca così; “Giuseppe (e giù a ridere), se fossi in te penserei a una corsa di dieci giorni (risata) suddivisa in cinque giorni di gara (risata), con un giorno di riposo dopo la quinta tappa. Ci hai pensato?” Così, mentre Sgarbozza finisce di ridere, Rivolta risponde che le ragazze gli hanno chiesto 15 giorni di gara: oibò! Fantaciclismo? Probabilmente si, visto che al giorno d’oggi mettere in piedi una corsa di dieci giorni è già roba da medaglia d’oro, almeno da noi. L’ipotesi è suggestiva, entusiasmante per gli appassionati, ma i costi aumenterebbero ancora e di soldi (pare) non ce ne siano, anche se alcune squadre le ammiraglie le cambiano quasi ogni anno. Sarebbe piuttosto da lavorare per capire se sia possibile la proposta dei dieci giorni di gara, con un giorno di riposo dopo la quinta (o forse meglio dopo la sesta?), e schifo non farebbe ci ficcassero dentro una prova a cronometro, con distanza però che fosse degna di una gara elite e non di una juniores. Cominciassero da qui, che poi eventualmente la pedalata più lunga della gamba possono anche provarla. Oppure, la vecchia proposta che puntualmente torna, ritorna e ritorna ancora come i Magnifici Sette: le tappe del Giro-Donne affiancate alla seconda metà di quello maschile. Tappe più corte di un 35-40% e medesime strade fino al traguardo. Ma se questa cosa ogni tanto rispunta sempre ma mai vede luce, un motivo ci sarà. Quale sia nessuno lo dice, e allora ti viene da pensar che siccome la torta non è grossa è meglio dividersela in pochi. Intanto possiamo dare un’idea di come sia visto il ciclismo femminile all’estero, con una breve lista di formazioni estere che hanno corso il Giro: Orica, Astana, Lotto Ladies, Rabobank, Giant, Rusvelo. Tutti GS che nascono a traino delle squadre maschili. Alcune tra le migliori giovani cicliste nostre hanno già risposto all’appello estero. E sul fronte gare la musica è la stessa. Senti i telecronisti parlare di movimento in salute, poi guardi le gare programmate a inizio stagione e ti domandi di quale Nazione parlino, tra gare che una volta per un motivo una volta per un’altro vengono corse ad anni alterni. Il Liberazione cancellato, il Trentino femminile ridotto a tre ore e mezza di gara, il Toscana che pare sarà di tre giorni quando prima sfiorava la settimana. E questi parlano di movimento in crescita, poi se saltano le corse mettiamo la cosa sotto la voce ‘dettagli’. Ma con le cicliste ci parlano di queste cose o gli argomenti sono circoscritti agli occhialoni da circo al foglio firma mattutino? Con questa domanda chiudo la serie di articoli dedicati al Giro d’Italia femminile. Essendo molti gli argomenti che pensavo di proporre, ho ritenuto cosa migliore non farne un’unico e gigantesco articolo. W la Tati e alla prossima.

lunedì 21 luglio 2014

"Pùlei, Poley, Van Vloiten, Van Vlunten,..."

Anche se le telecronache Valium si ripetono, lanciate da una sigla perfetta per il Trofeo Topolino, si sono intravisti al Giro femminile altri (piccoli) passi avanti da parte della tivù di Stato.
“Le atlete leggere balleranno la tarantella negli ultimi 300 metri”. Con l’arrivo di Davide Cassani nell’ammiraglia italiana, Silvio Martinello è stato promosso al microfono dei più grandi eventi al fianco di Francesco Pancani. Con la promozione del padovano, si è quindi liberata automaticamente la poltrona ‘tecnica’ per il microfono del Giro-Donne, ch’è stata assegnata a Luigi Sgarbozza. Se preso a piccole dosi Ridolini lo puoi anche sopportare, anche se restiamo sempre perplessi quando lo sentiamo pronunciare alcuni cognomi di atlete, che in alcuni casi forse potrebbero trovare gli estremi per querela (Emma Pooley è stata la vittima eccellente). Resta poi ben presente il quesito sul perché l’amico debba sempre mettersi a ridere su qualunque cosa vada dicendo. Altimetria della tappa? E giù a ridere. Tempo atmosferico? Da sbellicarsi. Una ciclista beve dalla borraccia? Robe da pisciarsi addosso. Va riconosciuto che la sua auto-ironia ha comunque l’effetto di dare un pizzicotto alle note tele-Valium-cronache dell’amico Piergiorgio Severini (con in sottofondo le tradizionali martellate sulle impalcature degli operai), che al Giro di due anni fa lanciò la famosa frase “L’alcool non è compatibile con la nostra telecronaca…”. Ora che con lui c’è Ridolini forse si potrebbe rivedere il discorso. RAI che ha ormai consolidato uno spazio tivù per il Giro-Donne, ad un orario buono e soprattutto regolare nell’orario di messa in onda. Le interviste alle protagoniste non mancano, peccato che il lato promozionale dell’evento abbia ancora qualche crepa. Bene che nel TG sportivo del tardo pomeriggio si parli del Giro-Donne, ma sarebbe meglio non darne l’esito di giornata, quando la sintesi più estesa sta andando in onda quasi simultaneamente su RAI-Sport 2.
Altra cosa che manca è la pubblicità sulla corsa nei giorni che precedono il via della stessa; “....e con il commento tecnico di Ridolini, 25° Giro d’Italia femminile. Ogni giorno alle 18:15, in esclusiva dal cabiotto di RAI-Sport 2!” La pubblicità viene mandata in onda per tutte le gare importanti che la RAI propone (anche per il Tamburello o la pallamano. Roba forte insomma…), ma per il Giro-Donne non vi è traccia. Bella l’idea del tentativo, mai fatto prima, di proporre un servizio giornaliero sulle caratteristiche delle varie tappe, anche se la recitazione delle ragazze (specie quando fanno finta di essersi incontrate per caso lungo la strada) è di un livello quasi avvilente. La Max Lelli di turno è stata Serena Danesi. A quanto pare la nuova sigla del Giro-Donne è figlia del regista dei filmati di cui sopra (tal Jimmy Gianmario), e la parola “pedala” che viene ripetuta nel (breve) testo rimanda molto a quella del Giro dei maschietti che “Pedala” ce l’aveva come titolo. La ricorda talmente tanto che la cosa puzza di palese copiatura, con un ritornello pensato a tempo record e molto Walt Disney. Da notare che nel ‘collage’ conclusivo delle immagini considerate le più belle della corsa – mostrato come ultimo servizio in assoluto del Giro – la musica di sottofondo era decisamente meglio della sigla ‘ufficiale’. Nel prossimo articolo – forse l’ultimo – : il Giro che vorrebbero le atlete, quello che vorrebbe Ridolini, e il futuro del ciclismo rosa nostrano ch’è in crescita, a parte il trascurabile dettaglio che se alcune gare non saltano poco ci manca.

giovedì 17 luglio 2014

L'Ital-donne perde colpi, anche se la linea verde tiene botta.

Una tappa vinta e alcune giovani in evidenza, ma un 22 a 5 che anche stavolta fa del Giro d’Italia terra di conquista per le straniere, con Valentina Bastianelli che resiste arcigna sulla linea del Piave.
Iniziamo dalle note liete. Elisa Longo Borghini era una delle italiane più attese lì davanti. Il 5° posto conclusivo (la più brava delle nostre nella generale), fa ben sperare. Fino a quando le migliori della classifica non iniziavano a darsele di santa ragione – in senso ciclistico – Elisa teneva le ruote anche in salita e ogni tanto era lei a staccarsene qualcuna dalla scia. Ha iniziato bene il Giro, conquistando la piazza d’onore nella 1^ frazione di S.Maria a Vico, dietro alla Vos. Sgarbozza – noto manager ciclistico nonché personal trainer – ha iniziato subito a programmare la carriera della ragazza in vista delle prossime 15 edizioni. Continuiamo con buone notizie sulla ritrovata vitalità di Elena Berlato, che nella 3^ frazione (Caserta – San Donato Valcomino di 125 km.) è stata protagonista di una bella tappa. Dopo essersi inserita nella fuga di giornata con – tra le altre – la compagna Olds (buon Giro), la Scandolara e la Bronzini, ha forzato nella salita conclusiva costruendosi il secondo posto dietro alla Van Vleuten e davanti alla giapponese Hagiwara. Bene per l’appunto anche la Scandolara che, come nelle edizioni precedenti, è tra le più brave delle nostre nei primi 50 o 60 chilometri. Poi la stanchezza inizia ad appesantirle le gambe e la benzina finisce. Una caratteristica che aveva evidenziato anche l’anno scorso. Per mezzo Giro la veneta ha tenuto la maglia verde, poi le salite più lunghe – e le gambe della Pooley – hanno ristabilito le distanze. Giorgia Bronzini ha vinto bene la tappa di Fratta Maggiore confermandosi con un 3° ed un 2° posto nelle frazioni numero cinque (Cesenatico) e numero sette (Chiavenna). Quando aveva la Teutemberg di mezzo collezionava secondi posti, adesso ci pensa la Vos a romperle le scatole. Certo che se prima avevamo la Baccaille dietro alla Bronzini, adesso dietro a lei non abbiamo ricambi veloci. Queste tutto sommato le note buone.
“Tatiana mormorava calma e placida al passaggio….” eccetera, eccetera. Se prima del Giro le sensazioni e le dichiarazioni di Tatiana Guderzo erano improntate al basso profilo, con l’intento di far chilometri e trovare la forma. Il Giro corso ha dimostrato che la veneta della Cipollini ha visto giusto, correndo un Giro di mera presenza, grigio, senza il minimo spunto. Come arrivava una salita, ciao ragazze è stato bello, ci si vede domani alla partenza con gli occhialoni da circo. Da una bionda a una mora, da un sorriso che riempie con due occhi da maglia rosa a uno che al massimo della felicità somiglia a una smorfia per il mal di denti. Fabiana Luperini ha forse iniziato ad abbassare il sipario? Il suo ritorno ciclistico è arrivato al vero capolinea? Tenendo conto che la salita era l’unico terreno in cui poteva combinar qualcosa, domande legittime. A conteso alla Tati la maglia della classifica fantasmi e per un pelo non la vince. Discorso a parte per Valentina Bastianelli (voto 63), che faremo Alpina onoraria. Da diverse edizioni si scrive (qui almeno) di questa benedetta ragazza, marchigiana, che con uno spirito molto “La linea del Piave ci aspetta, avanti Savoia!” parte in solitaria senza timore alcuno sotto il cielo di Madre Patria, con speranze ridotte all’uno e mezzo per cento di avere la meglio. Stavolta l’atleta, che quest’anno difende i colori della Fanini di patron Brunello, ha vivacizzato la tappa di Fratta Maggiore con uno dei suoi tentativi solitari (e come sennò…). Meriterebbe una vittoria di quelle belle da ricordare, perché non è una campionessa, forse non lo sarà mai, se vede un cavalcavia è allarme rosso, però nel suo piccolo cerca di tirar fuori le palle. Una sua vittoria al Giro sarebbe bello poterla raccontare. Altre atlete hanno cercato di cavare un ragno dal buco senza riuscirci come l’ex tricolore Giada Borgato, altre hanno deluso come la Cauz (maglia bianca 2013) e Muccioli, ma vista l’età di entrambe non possiamo pretendere continuità di rendimento. Per fare concorrenza a Sgarbozza chiudiamo dando i numeri: con 9 frazioni contate per questa edizione (senza quindi il mini-crono-prologo), contiamo 5 presenze italiane nelle prime 3 posizioni di giornata (27 in totale). Facendo finta di cancellare l’ultima tappa di questa edizione (con 3 straniere davanti), e confrontando le altre 8 tappe restanti con l’edizione 2013 (che aveva per l’appunto 8 tappe in totale), il confronto ne perde perché troviamo un bilancio 2013 di 8 italiane giunte nelle 24 posizioni totali del podio di giornata. Nella prossima puntata ci buttiamo nel cinema perché al microfono RAI arriva Ridolini (ma ride solo lui), con spazio a Topolino e alle nuove leve del cinema italiano.

sabato 28 giugno 2014

Valentina Carretta scende dalla bici. Perchè?

Alla vigilia del periodo più importante per una ciclista italiana, la 24enne varesina getta la borraccia. I motivi sembrano nascere dal rapporto con il Team Olè-Cipollini.
Non è la prima volta. Qualche anno addietro anche Anna Zugno decise inaspettatamente di ritirarsi per motivi nati da una scelta riguardante il quotidiano. Si lesse di motivazioni legate allo studio, e d’altronde fare la ciclista non è certo roba che ti dà da vivere. Anzi, non mancano ragazze che a causa di contratti miseri (e spesso malrispettati dalle società), ad un tratto si domandano perché continuare a rompersi il sedere su di un sellino per certa gente, quando le amiche coetanee che lavorano guadagnano il doppio facendo un decimo della fatica. Anche il ritiro di Nicole Cooke avvenuto pochi anni fa sorprese, ma lì la britannica spiego chiaramente ch’era ormai stufa marca del movimento femminile, senza fare distinzioni tra dirigenti e colleghe. Stavolta le motivazioni che hanno spinto Valentina Carretta al ritiro sembrano nascere da amarezze interne alla sua squadra. La notizia ha ricevuto un certo rilievo, sempre ricordando che parliamo di ciclismo femminile a cui frega una mazza a molti. L’atleta parla di una situazione in cui; (fonte: ciclonews) “….il mio impegno in quest’annata ciclistica sia stato totale, così come nelle stagioni precedenti. Quindi mi sono sembrati inopportuni alcuni comportamenti di chi mi è stato vicino in questi ultimi anni. Quando vengono a mancare la fiducia e il rispetto non ci sono più le basi per continuare una collaborazione con un team. Facendo questa vita, fatta di trasferte, sacrifici e restrizioni è necessario che almeno sia riconosciuto l'impegno, la professionalità e il rispetto. Valori che pensavo fossero scontati, ma che purtroppo ho sentito mancare su di me in prima persona”. Nel famoso ‘tra le righe’ emerge una motivazione legata all’ambiente della sua società e certamente la ragazza non è una brava bugiarda quando dice che; “…con tranquillità…” esce dal gruppo e se ne và. Questo, opinione personale, per alcuni motivi; perché Valentina non era certo come si dice ‘una ferma’ ma invece ciclista di ottimo livello se guardiamo al livello generale delle nostre ragazze (ci sono atlete che tengono le ruote di chi è davanti grazie al vento che tira nella direzione giusta); perché si correva il tricolore sulle strade per lei casalinghe e voglio proprio vedere che si rinuncia così di punto in bianco ad un campionato italiano ed un Giro d’Italia che parte tra pochi giorni; perché a 24 anni la carriera forse comincia veramente; perché correva in una squadra dove dal punto di vista economico ci sono garanzie ‘meno peggiori’ di altre società dove la trasparenza è dono del Signore e non di chi comanda. Se invece ci sono altri ‘oppure’ sarebbe bello saperli a lei o da chi l’aveva tra le sue fila.

mercoledì 4 giugno 2014

Punto di non ritorno?

Negli anni ne abbiamo visti di ogni tipo: gorilla, orsi, supereroi, gente mezza nuda se non del tutto, falsi preti. E negli ultimi 15 anni comportamenti oltre il limite che faranno fatica a sparire.
Ne avevo già scritto qualche anno addietro sul comportamento di certa gente, che probabilmente di ciclismo ne capisce quanto un parlamentare dei problemi della gente. E forse per il fatto che questa volta a rimetterci è stato un atleta italiano che si stava giocando la corsa, il comportamento esasperato di una parte del pubblico ciclistico sullo Zoncolan (e in qualche momento anche sul Grappa il giorno precedente), stavolta fa scrivere nel web più del solito. I motivi ci sono tutti, visto che questo andazzo è dagli anni ’90 che si fa vedere – è proprio il caso di dirlo – ad ogni edizione di un grande giro. Fino a una quindicina di anni addietro capitava di vedere degli spettatori rincorrere gli atleti, ed ogni tanto ci scappava qualche maledizione per via di gente che sembrava volesse corrersi tutti gli ultimi 20 chilometri di gara fianco al gruppo: “Ma quando si toglie quel mona?!” era il commento tecnico che poteva scappare ad un telespettatore veneto. Però erano situazioni che trovavi ogni tanto. Oggi invece sai che non dovrai aspettare molto per vedere che lungo una salita, solitamente faticosa e affollata, spunteranno personaggi che a piccoli gruppi si ficcheranno in mezzo alla strada per far sapere al mondo che esistono. Gente che se ne frega dell’atleta e che rincorre un’inquadratura che li consegni alla storia. Purtroppo è una storia vecchia. La tivù ti fa diventare qualcuno. Condizione apparentemente vitale per chi crede di essere niente e quindi ‘deve’ diventare quel qualcuno.
Quasi certamente questi comportamenti andranno avanti ancora. La televisione non può permettersi di ‘staccare’ da una determinata inquadratura, se si tratta di un momento di gara importante. E difficile è anche che la gente capisca che deve darci un taglio. Chi bazzica, quando può, le strade del Giro non vede solo passione e amore per una disciplina sportiva, me pure gente che sulle strade del Passo Tal dei Tali si porta appresso una mezza sbronza alle due del pomeriggio. Perché ci sono poche possibilità di un cambiamento in tempi brevi? Perché si tratta di far riflettere la gente, di fare educazione comportamentale in ambito sportivo. Quella roba che si chiamerebbe Educazione Civica. Praticamente una bestemmia. Quando hai gente che per fare il loro spettacolo di cabaret studia preventivamente le zone dove non c’è personale addetto alla sicurezza per la corsa (Alpini o Protezione Civile), tanti saluti. Sullo Zoncolan certi spettacoli non hanno preso vita negli ultimi chilometri. E di certo non possiamo pretendere che gli appassionati veri li prendano a calci in culo (anche se sul Grappa due fighetti che spingevano qualunque cosa si muovesse ci sono arrivati molto ma molto vicino). Chiamiamoli imbecilli, deficienti oppure come vi pare, ma fessi no di certo e probabilmente dovremo tenerceli ancora per un pezzo.

martedì 3 giugno 2014

Sotto a chi tocca!

Tornano tra l’entusiasmo generale (?!) le tradizionali pagelline semi-serie del dopo corsa rosa, per analizzare il Giro appena concluso. Mi scuso perché certamente qualcuno o qualcosa mancherà.
VOTO 10; alla professoressa nella foto ed al livello d’imbecillità e cretineria ormai raggiunto da una parte del pubblico ciclistico. Dai tizi che sul Grappa quasi spingevano anche le moto (e che ad un certo punto hanno rischiato sul serio di prenderle da noialtri), fino a certi deficienti coglioni che sullo Zoncolan hanno avuto i loro momenti di gloria. Tornatevene negli stadi di calcio. VOTO 9; alla sigla del proCESSO alla tappa (“Pedala!”) perché le musiche di Paolo Belli avevano semplicemente rotto le balle. Stesso voto alla faccia tosta di Cipollini che per diversi giorni si è fatto rivedere in tivù, grazie all’amica suora che lo deve aiutare a riabilitarsi nel post-tabelle di Fuentes targate Gazzetta del febbraio 2013, e che si devono in qualunque modo far dimenticare al pubblico. Voto identico alla Bardiani CSF che ha fatto un Giro eccezionale e voto uguale al tifoso vicentino che sul Grappa ha trasformato il francese Pierre Rolland in “Pierolan”. Poi a quelli (sempre delle nostre zone) che a insulti e bestemmie hanno fermato la macchina dall’organizzazione “Inizio gara ciclistica” perché dovevano finire le scritte per Canula. I poliziotti della stradale non sapevano se far scattare le manette o mettersi a ridere. VOTO 8; a diverse persone: a Quintana che ‘doveva’ vincere il Giro è l’ha fatto. Peccato per il pasticcio dello Stelvio, dove lui non ha certo responsabilità. Stesso voto ad Aru che aveva le possibilità di arrivare nei primi 5 e l’ha fatto con il 3° posto finale, per Rigoberto Uran (Uran) che anche stavolta ci è arrivato vicino ma Quintana in salita era troppo per tutti e (finalmente!) per Ulissi che doveva lasciare un segno e ne ha lasciati due. VOTO 7; a Silvio ‘assolutamente’ Martinello come spalla di Francesco Pancani. Bel lavoro per non aver voluto copiare Cassani portando un po’ di ottimismo al microfono sulle possibilità delle fughe di giornata. Stesso voto allo spagnolo di Andrea De Luca: bueno ombre! Meno bueno un tifoso (almeno settantenne) che il giorno del Grappa si è dovuto far spiegare da noi presenti che Aru è il ciclista sardo e non il colombiano, e che Uran è quello colombiano e non il sardo. VOTO 6; a Cadel Evans. Non è più fatto per le tre settimane, e nella cronometro su cui puntava tanto ha deluso. Ma almeno, pur staccandosi, è uno che sa ancora come si fa a tirare fuori le palle. Stesso voto al percorso del Giro, ma ricordiamo che ormai dovremo abituarci a edizioni assegno-dipendenti per le partenze. VOTO 5; a Max Lelli che ancora non si sa se si chiami Massimiliano o Massimo. A volte non sa se parlare tecnico o pane e salame. Comunque era al primo Giro. Non sono al primo Giro gli organizzatori della corsa (vedi il pasticcio sullo Stelvio). VOTO 4; ai meccanici delle squadre che ormai pompano ruote a 10 atmosfere. Due gocce di passaggio e ti ritrovi coi coglioni al cielo. Serve veramente una pressione così? Stesso voto alle doti come attore di Garzelli nelle ricognizioni. Cassani sapeva ‘fare il falso’ meglio di lui, quando incrociava ‘casualmente’ altri ciclisti che conosceva lungo il percorso. VOTO 3; a Cunego e Basso, a cui manca solo di essere spalmati di senape o maionese sulla schiena quando passano. Inguardabili. Ma su Cunego dovevamo pensarla quando, il giorno della presentazione della squadre a Belfast, disse che aveva la mezza idea di buttare un pensiero anche alla classifica. Lì è stato il momento decisivo per far crollare tutto!
VOTO 2; “Chi è d’accordo con Beppe Conti si alzi da dove si trova e si sieda vicino a Beppe Conti. Chi è d’accordo con Garzelli si alzi da dov’è seduto e si sieda vicino a Stefano. Chi è d’accordo con Manuel si alzi dalla poltrona e faccia come lui che ora è riverso in avanti sul water”. Avendo (volontariamente) seguito poco il proCESSO alla tappa devo dare un giudizio superficiale. La suora è da tempo riuscita nell’intento di avere la ‘sua’ trasmissione, trasformandola quest’anno in una sottospecie di Giochi senza Frontiere. La Peppa Pig del ciclismo RAI decide tutto quel che si deve dire, fare, baciare, ecc. e gli amici in difficoltà (Re Imbroglione) si devono aiutare, perché a vendere bici da 12.000 Euro al pezzo non tiri il 20 del mese. A proposito, potrebbe essere tardi ma ormai che ci siamo; ”Salvate Aru dalla De Stefano!!” VOTO 1; ad Auro Bulbarelli, che se la suora ha voce in capitolo è merito anche suo, e che se Bartoletti è ancora in giro, stessa cosa. VOTO 0; al pazzo irresponsabile che ha dato l’ok per dare in dotazione a Sgarbozza un suv bianco Audi, che l’analfabeta poteva anche guidare personalmente per seguire la carovana.

domenica 1 giugno 2014

Giugno; l'editoriale

Visto in partenza come il Giro del ricambio generazionale, Trieste ci consegna una classifica che ricalca in pieno queste speranze. E l’Italia ne ha bisogno.
“Lasciamo stare valutazioni su percorso, atleti, risultati, gesti dell’ombrello, tattiche, ecc.. questa settimana ve ne saranno a decine un po’ ovunque. Buttiamola quindi su un discorso prettamente nostrano. Un Giro senza Nibali era la cosa migliore (soprattutto per Cassani) per capire il livelli del ciclismo di casa nostra. Senza il nostro Numero Uno in gruppo gli altri italiani hanno potuto avere più attenzione, forse più possibilità. Volevamo capire quanto valeva Ulissi, e pare che a livello di qualità valga le chiacchiere che di lui si sono ripetute da tre stagioni. Volevamo sapere se Basso e Cunego sono alla frutta? Pare di si per entrambi, visto il Giro deludente dei due capitani usciti di una primavera opaca se non invisibile. Volevamo provare a capire se Elia Viviani è un campione o un forte velocista? Più la seconda che la prima, e la differenza non è poca cosa. Fabio Aru è davvero il nostro uomo per le gare a tappe nella seconda metà di questo decennio? Pare di si. Pozzovivo?: un Viviani delle montagne (o sarà mica il primo un Pozzovivo delle volate?). Di certo soffre sempre un calo dopo due settimane. Abbiamo visto tutte cose positive? Non proprio. Moreno Moser ha deluso. Le qualità espresse nella prima stagione si sono viste comprensibilmente meno nella seconda, ma in questa la speranza era di vederlo in azione con un piglio decisamente migliore. Invece la Bardiani CSF è stata una delle squadre migliori al Giro. La migliore delle nostre. Tre vittorie di tappa, ma non facciamo distinzioni facendo i nomi degli atleti che si sono imposti nelle frazioni, perché se consideriamo i mezzi (anche economici) della Bardiani e di altre corazzate presenti, il confronto premia la squadra verde-vivo. Annotazione che non dispiace (se non hai vecchi DS nostri): la Bardiani si affida a dei preparatori sportivi, senza avere dei direttori sportivi che vogliono rappresentare gli onnipotenti dentro la rispettiva squadra. Dopo una campagna di primavera disastrosa nelle classiche, il ciclismo nostrano sembra avere pochi campioni ma diverse speranze. Senza entusiasmarci troppo, diciamo che per ora non è poco.”

giovedì 1 maggio 2014

Maggio; l'editoriale

Spazzacamini, locomotive umane, aironi, pirati, postini, terzi uomini, cannibali, sceriffi, diavoli rossi, toscanacci, eterni secondi, trombettieri. Bentornato Giro.
“Noi siamo dell’Italia i bersaglier, siamo ciclisti, i falchi della guerra” (Canto del corpo dei bersaglieri ciclisti, nella prima guerra mondiale) – Molte donne si erano inginocchiate per terra, avendo a lato i loro figlioli. La strada è un nereggiare di folla che la percorre gridando “ITALIA! ITALIA!” (Bruno Roghi sulla tappa di Trieste del 1946) – “Io vado avanti anche da solo. C’è Trieste che aspetta” (Giordano Cottur) –“Moser può essere preso come l’emblema del ciclista professionista attuale, in cui convivono l’atleta, l’uomo spettacolo ed il businessman” (Francesco Conconi) – “Coppi è il mito perfetto” (Gianni Mura) – “Vai Girardengo, vai grande campione, nessuno t’insegue su quello stradone,” (Francesco De Gregori) – “Mi brucia il culo!” (Luigi Ganna al patron Cougnet, dopo aver appena vinto il 1° Giro d’Italia del 1909) – “Il tempo è sacro. Ho vinto tre Giri d’Italia per 2 minuti e 4 secondi. Neppure un secondo va sprecato” (Fiorenzo Magni) – “Il solo motivo per seguire Nencini in discesa è se si ha un desiderio di morte” (Raphael Géminiani) – “Un ciclismo pulito è pura illusione” (Francesco Moser, dall’Equipe del 1999) – “Una bicicletta può ben valere una biblioteca” (Alfredo Oriani) – “Ma andate a vedere cos’è un ciclista e quanti uomini vanno in mezzo alla torrida tristezza, per cercare di tornare con quei sogni” (Marco Pantani) – “Che fa Bottecchia, piange?” “Si, perché penso che a casa non sentiranno più la fame” (Ottavio Bottechia, quando firmò un contratto per correre in Francia) – “Chi non ha conosciuto tutto questo, chi non ha conosciuto il Giro, è come chi non ha conosciuto suo nonno, oppure De Amicis e la piccola vedetta lombarda. Nessuno è più orfano di lui” (Indro Montanelli, 1947) – “Non si può correre il Tour solo ad acqua minerale” (Jacques Anquetil) – “Salute a voi, superstiti,…Voi avete meritato dalla Patria: l’Italia non dei retori che odiano la sincera eloquenza, o degli zoppi che detestano gli agili, o dei vigliacchi che credono la forza brutale…Una vera, nuova, indipendente, alacre Italia, un’Italia fervidamente pagana, che sa la virtù latina, cioè il coraggio, che sa la gioia della lotta e del convito, e vi si è adunata intorno.” (Innocenzo Cappa, 27 maggio 1909, La Gazzetta dello Sport).

mercoledì 9 aprile 2014

Visto che manca meno di un mese, giusto per entrare nel clima....

Per far credere che questa pagina web sprizzi cultura, un consiglio letterario verso un testo di 4 anni addietro. Come veniva raccontato il Giro nei decenni scorsi e anche più di un secolo fa?
“Eroi, pirati e altre storie su due ruote”. Il testo è edito da BUR-Rizzoli per la RCS Libri. La prima edizione è dell’aprile del 2010. Curato da Simone Barillari è una raccolta di testi riguardanti il ciclismo (non solo il Giro) e diversi suoi grandi protagonisti. Diversi articoli che da diversi quotidiani dell’epoca vengono riuniti assieme in questo testo dal costo (nel 2010) di 12,00 euro per 274 pagine. È possibile trovare articoli di Gianni Brera, Bruno Raschi, Gian Paolo Ormezzano, Dino Buzzati, Indro Montanelli, Gianni Mura, Orio Vergani, per citare i nomi più noti e conosciuti al pubblico, non solo ciclistico. Questo libro è un lavoro che regala la possibilità di conoscere l’Italia sportiva di un secolo addietro, e vedere come questa vedeva e raccontava un mondo senza telecamere in ogni dove a riportare ogni più piccola smorfia di un volto esistente. Erano gli anni in cui i giornalisti erano padroni dell’evento, perché la tecnologia dell’immagine non lo aveva ancora catturato per esporlo al mondo. Vedere com’è cambiato il modo di scrivere dalla prima metà del secolo scorso alla seconda. Per curiosi e appassionati della scrittura dedicata al ciclismo, e non solo del racconto stretto verso quest’ultimo.

martedì 1 aprile 2014

Aprile; l'editoriale.

Cretino, smemorato, presumibilmente analfabeta. Qualcuno in particolare? Si. L’appassionato di ciclismo. Ecco come chi declama di amare il ciclismo lo sta mandando a p*****e a velocità della luce.
“Avanti così. Diversi anni addietro, nella tivù italiana, apparve un personaggio chiamato Tafazzi, che saltellando a destra e a manca si dava delle continue bottigliate sui maroni, in rappresentanza di quell’Italia che continuava a farsi male da sola. Così, mentre Suor Alessandra e i ‘fratelli’ del suo convento ciclistico stanno lentamente ricostruendo la santificazione sportiva di Cipollini, forse perché vive la convinzione (o più la speranza, parlando di gente di chiesa?) che dal 9 febbraio dell’anno scorso – vedi Gazzetta – sia passato abbastanza tempo perché l’appassionato medio sia ormai un’essere umano totalmente rincitrullito, arriva in tempestiva sintonia la “Stanlio & Ollio Corporated” cioè la Federciclismo. Chiamare a lavorare come collaboratori del CT italiano Cassani l’ex ciclista Velo e l’ex DS Ferretti sono altri due mattoni che vengono messi per alzare ancor di più il muro del non cambiamento. Questi tentativi possono avere grande successo nel pubblico che segue il ciclismo saltuariamente e che, comprensibilmente, crede che il ciclismo sia quello descritto e raccontato da tutti questi personaggi. Ci sono altri ex protagonisti che riversano il loro massimo impegno in questa missione, forse per fare in maniera che il ciclismo non goda di buona fama. L’Oscar del 2014 probabilmente è già stato assegnato a Savoldelli – vedi editoriale precedente – noto ex ciclista che, soffrendo di robusti vuoti di memoria, poche settimane addietro diede dimostrazione di cos’abbia perso il cinema italiano dal punto di vista recitativo, uscendo dagli uffici della Procura Antidoping del CONI. Ma anche i passati grandi protagonisti del nostro sport – vedi tal Moser Francesco – tentano di aiutare in tal senso. Quindi cosa di meglio che festeggiare i 30 anni del record dell’ora, in compagnia di tante persone e del Vate Conconi, seduto e partecipe alla ricca tavolata imbandita? Il primo medico al mondo che ha fatto del doping una scienza al servizio della gloria sportiva. Sul caro e vecchio processo Lampre verrebbe da mandare tanti in malora, per le notizie che NON vengono date e che uno deve andare a cercarsi (e che in certa stampa NON troverà, se non sull’americano Armstrong perché lui era quello cattivo mentre gli altri sono vittime del sistema). Una Nazione che ciclisticamente parlando continua ad essere senza vergogna, che con alcuni dei suoi raccontatori esclama puntualmente le parole “storia” e “leggenda” per cercare di raccontarla una volta in più. Addetti ai lavori che alla velocità della luce stanno facendo perdere credibilità ad uno sport che, di credibilità, in questi ultimi 15 anni ne ha persa una montagna (parlando di bici, l’immagine è perfetta). Tafazzi? Un mero dilettante, visto che questi qui ci considerano degli emeriti imbecilli coglioni. Avanti così.”

lunedì 3 marzo 2014

Quel sentor di muffa che non si vuol mandar via...

Causa inverno pesante, ritroveremo una Sanremo ‘vecchia’ maniera. Ma qui siamo a una scelta quasi obbligata. La Federciclo si adegua inserendo due protagonisti del ‘vecchio’ ciclismo nei quadri tecnici. Ma in questo caso di quasi obbligato non c’è un bel niente.
Doveva essere una nuova Sanremo, più faticosa e selettiva nel finale, più difficile – se non impossibile – per i velocisti, che in buon numero stavano già pensando di tirare una riga sulla classica italiana. Poi arriva la marcia indietro, causa frane invernali sul percorso sperato, e un ritorno al vecchio tracciato. Se in più ci mettiamo l’esclusione della salita delle Manie, ecco una Sanremo che torna indietro di un decennio, tornando ad essere una classica prettamente da velocisti, a meno che il maltempo non ci metta la firma. La speranza di RCS era di far diventare la Sanremo una classica più da finisseurs, con il colpo di pedale buono per le salite non impossibili, in maniera d’avere pochi atleti, ma di alto lignaggio, a giocarsela nel tradizionale finale in ‘picchiata’ verso Sanremo (un silenzioso desiderio magari chiamato Nibali?). Non è un mistero che alcune mezze idee su cambiamenti di percorso furono frenati già 15 anni addietro, quando ciclisti come Zabel, Petacchi, Cipollini, sconsigliavano variazioni atte a indurire il percorso, pena il rischio di perdere quei nomi ‘pesanti’ che in quel periodo rappresentavano l’elite mondiale del 54/11. Fatto sta che la Sanremo cambierà di vestito solo dalla prossima edizione, la 2015. Chi invece poteva cambiare vestito ed invece ha rispolverato un vecchio abito polveroso e sbuffante odor muffa è il CT Cassani. L’inserimento nell’organico della Federciclo dell’ex DS Ferretti come una specie di ‘consigliere tecnico’ e di Marco Velo, è l’ennesimo segnale che la parola ‘cambiare’ è termine vietato dentro l’FCI stessa. Tra una pennellata ai capelli e l’altra si sperava che Cassani approfittasse dell’occasione per portare qualcosa in più che una mano di bianco alle pareti. La muffa dev’essere raschiata, la parete bonificata e solo a quel punto andar di bianco. A spennellarvi sopra niente cambia ed il tanfo torna presto. Prendetevi 5 minuti e provate a scrivere sul vostro motore di ricerca i nomi di Velo e Ferretti affiancati dalla parola doping. Righe di testo al riguardo non mancheranno. Chiaro che un cambiamento vero non ci sarà. Ferretti, insieme a Martini uno dei due ‘maestri’ ciclistici del CT, probabilmente resterà in Federciclo sino a quando Cassani vorrà. Quindi ne avremo facilmente per un bel pezzo.

sabato 1 marzo 2014

Marzo; l'editoriale

Cosa provoca il doping? Pesanti disfunzioni ormonali? Dialisi a 50 anni? Sterilità? Niente di tutto questo. Bensì, negazione della realtà risaputa, pesanti vuoti di memoria e pesanti prese per il sedere verso gli appassionati (quelli onesti).
“Dei c******i imbecilli. Questo ci crede questo ex ciclista gravemente smemorato, che a sentirlo pare nemmeno più in grado di riconoscere un campanello di bicicletta da un frigorifero. Questa l’immagine che vien fuori dalle dichiarazioni di Paolo Savoldelli, vincitore di due Giri d’Italia, ex commentatore RAI esperto di ciclismo, che al microfono insegnava ai corridori come si corre in bicicletta, mentre la sua carriera è stata votata a vari capitani che col doping, loro si, erano veri maestri. Parole di elogio al caro (nel senso economico?) dottor Ferrari, e altre che sono una pura presa per il sedere, quando dice che con il suo gregario Tom Danielson non poteva interloquire (su questioni di doping) perché lui non parlava italiano e il bergamasco non parla inglese, e infine che ritiene difficilmente veritiere tutte le cose confessate da Armstrong. Siamo davvero a livelli di pura presa in giro nei nostri confronti, da parte di un uomo che non vuole uscire dal suo mondo simil cartone animato, facendo più rabbia (la pena non se la merita) dei vari Basso, Armstrong, Ullrich, Swhatzer, Di Luca e compagnia imbrogliante. D’altronde siamo sempre sulla stessa e ormai penosa linea difensiva chiamata omertà. L’Italia è l’unica Nazione che non ha ‘pentiti’ di doping. Ne sono usciti da ogni dove, da ogni squadra, da ogni Nazione. Continuiamo a nascondere l’elefante dietro ad un lampione, convinti che basti svitare le lampadine per nasconderlo meglio. Gli unici atleti a confessare il doping (non solo ciclistico) sono stati atleti beccati in attività, dove negare l’evidenza è inutile. Marzo porta però anche il tepore della primavera, porta le prime corse importanti della stagione, porta il Carnevale. Su quest’ultimo la Federciclo è senza dubbio all’avanguardia, iniziando da un’avviso – tramite Social NetWork – per far sapere che la Volkswagen, anzi per la precisione la Skoda, dal prossimo Mondiale non apparirà più sulle divise azzurre. Quindi l’FCI sta discutendo tramite Facebook (!) per raccogliere informazioni e contatti con aziende potenzialmente sponsorizzatrici. Due delle più belle riportano; (utente) ‘Avete provato la FIAT? (risposta) la FIAT non è interessata…’ (altro utente) ‘Alitalia?’ (risposta) ‘Con tutti gli esuberi che ha?’. L’Oscar viene vinto da; (utente) ‘Scavolini?’ (risposta) ‘Ok, provo…’ Siamo all’inverosimile fatto realtà, e ora ci si mette anche un ex ciclista smemorato che ci prende per il sedere. Buona stagione ciclistica a tutti.”

sabato 22 febbraio 2014

E via!, più veloci della luce!....

Autobus e treni fantasma, vagoni ferroviari ad aria condizionata forzata, notti quasi in bianco e passeggiate dal robusto chilometraggio. Su mia richiesta, l’amico Alessandro mi manda una bella listona di episodi dediti alle sue passate trasferte ciclistiche. Il testo ricalca abbastanza fedelmente le righe inviatemi.
Visto che la stagione ciclistica sta iniziando, per la serie “Il mio ciclismo” o ciclismo “pane e salame” propongo una lettura ciclistico/avventurosa giusto per iniziare l’annata agonistica anche dal punto di vista spirituale (!?). Partiamo dal Veneto, dove l’amico raggiunse una località molto nota per essere patria di un’eroina ciclistica di cui tradizionalmente non ricordo il nome, ma la cui leggenda sfiora l’apice assoluto dell’umana comprensione (e della pietà per chi scrive). Alessandro è diretto verso il vicentino, e per la precisione; “……un'altra trasferta a Nove (VI) nel 2009, ero partito il giorno prima (avevo preso il vizio, forse per staccare un pò da Milano) e a Vicenza non un alberghetto libero. Che faccio? Prima prendo il biglietto dell'autobus per Marostica, poi decido di andare a dormire in stazione su una panchina (!), ma vedo che è troppo scomodo, che non gliela fò e trovo un ostello... Un letto, un materasso, una coperta e un marcantonio di colore sopra di me (nel senso di letto a castello eh?) che russa talmente forte da fra quasi tremare i vetri, morale non ho riposato niente, era destino. La domenica mattina finalmente mi alzo, vado all'autostazione di Vicenza che sembro un ectoplasma e via verso Marostica e poi da lì a piedi fino a Nove (un paio di km, mica tanto) per un indigestione di ciclismo femminile: tre gare in un giorno con annesso passaggio in ammiraglia di papà Favaron-Bissoli per vedere il passaggio delle atlete sulla mitica salita della Rosina e poi giù di corsa per l'arrivo, le foto, i "ci vediamo alla prossima"... A parte la nottata in ostello è stata una trasferta tranquilla, solita scarpinata da Nove a Marostica per prendere il bus fino a Vicenza e da lì a casa senza problemi. Poi ci sarebbe da menzionare una gara a Schio che non si disputa più (ma va?): porto l'ombrello? Non lo porto? Non lo porto.
Finisce la gara sotto un diluvio universale ( e lì ho apprezzato in pieno la definizione di "temporali nel nord est") regina Schleicher viene chiamata sul palco (ehm... un camioncino scoperchiato a metà) delle premiazioni e io tiro giù la Santissima Trinità dei Monti per l'acqua e per quell'idiota che continuava a chiamarla per l'intervista (garantisco che veniva giù talmente forte che quasi non si vedeva niente) e decido di tornare a Schio a prendere il treno (altri 2 km a piedi abbondanti, ma sono abituato :-) ). Intirizzito da far schifo, arrivo a casa influenzato dopo un intero viaggio passato in treno al "posto finestrino" attaccato alle bocchette dell'aria condizionata (era prenotato...) e maledico la mia insana passione per le due ruote ma dura poco perchè penso che ancora una volta ne è valsa la pena. (…..) Ah mi viene in mente una gara (cancellata ovviamente) a Sala Baganza (PR) e i trasporti pubblici protagonisti: abitavo a Monza e bus per la stazione non ce n'erano e avevo il treno alle 5:55 del mattino per Parma. Perdermi d'animo ? Giammai :-). il sabato al lavoro faccio una tirata della miseria per non avere imprevisti, biglietto in stazione a Milano a via verso Monza, cena e a letto prestissimo, sveglia puntata alle 2:15 del mattino,alle 3 sono in cammino per fare i 12 km che mi separano da Milano. (…..) Solito ritardo nell'annunciare il binario dal quale partire (sempre quando viaggio io, mannaggia !!!) ma ce la faccio, il viaggio fino a Parma dura poco nulla, scendo colazione al bar, cambio treno e arrivo a Collecchio. Finita? Metto le tende e mangio un panino ? Macchè... Sono altri 4.8 km a piedi fino a Sala Baganza (di autobus nemmeno l'ombra), arrivo, ALTRA COLAZIONE e il barista mi chiede se voglio un bicchiere di rosso :-), si, sono più morto che vivo, ho nelle gambe già 16 km a piedi con lo zaino in spalla...
Scelgo un posto su un muretto 150 mt prima dell'arrivo in cima a una salitella, ottima posizione per fare le foto e credimi, ogni giro era una pennichella. Finisce la gara, vince Alison Wright con la Bronzini seconda se non sbaglio, foto del podio e alè, altri 4.8 km fino a Collecchio a piedi, treno, cambio a Fornovo (tanto per allungarla un pò, il diretto per Parma non c'è...) e arrivo a Milano che di pullman per Monza non ce ne sono più. Quindi?? ALTRI 12 km a piedi fino a casa, lascio immaginare come stavo messo il lunedi al lavoro. Poi... poi c'è quella volta a Castenaso gara di apertura del calendario ora cancellata, la Zilly vincitrice l'anno prima con un volatone incredibile tra le lacrime del sottoscritto, perchè HO PIANTO davanti a quel gesto tecnico... Arrivo in stazione che fa un freddo della malora, sul web danno neve dalle parti di Bologna e io penso "figurati... Avranno sbagliato", prendo lo stramaledetto interregionale per Bologna e scelgo l'unica carrozza dove il riscaldamento non funziona, ci sono dei finestrini abbassati e nè io, nè il senegalese seduto qualche fila più indietro (gli unici in quella carrozza !) ci alziamo a chiuderli (un vento...); la cosa comica è che nè io, nè il tizio ci alziamo (e dai...) per andare in un'altra carrozza: due ore e mezza al GELO. Arrivo a Bologna e nevica da far paura, mi risparmio l'ultima tratta fino a Castenaso e faccio bene, gara annullata, faccio colazione e torno a casa distrutto; giorni dopo vedo le foto sul web delle atlete tra la neve, sarebbe stata la loro ultima volta in quel paesello della provincia bolognese, gara cancellata.”

lunedì 10 febbraio 2014

Lasciarlo in pace? Figurarsi!.....

Com’era nelle previsioni, questa settimana sta iniziando la discesa verso valle della valanga di dichiarazioni di affetto misto a tristezza, nei confronti dello scomparso Pantani (foto:www.loccidentale.it). Frasi, pensieri e messaggi di amicizia che piovono da ogni dove, in particolare da molte persone che nei momenti in cui Marco se la passava male, ne avevano preso silenziosamente le distanze. Giornalisti, commentatori, dirigenti, ciclisti attivi ed ex, o persone che nemmeno ne seguivano le corse, ma che per necessità di apparire nel gruppo dei suoi ‘tifosi’ rispolverano la mezza tonnellata di ovvietà, costruite su discorsi che sarebbero serviti veramente una dozzina di anni addietro, e che oggi sono prodotti molto efficaci e sbiancanti per ripulire vetri, piastrelle, inox, tutte le superfici lavabili e le coscienze, senza necessità di risciacquo. Agitare con cura prima di vaporizzare, tenere lontano dalla portata dei bambini. Insomma, facciamo di tutto, ma lasciarlo in pace non se ne parla. Questa litania del “nostro caro Marco”, tirata avanti da gente a cui forse lo stesso scomparso tirerebbe calci nel didietro fino a sfasciarsi le scarpe, si rinforzerà durante il Giro, dove ci possiamo aspettare la fila di leccapiedi che per ben figurare davanti al mondo degli appassionati, si spremeranno le meningi per fare a gara nel ricordarlo con le migliori parole possibili. È quasi certo che durante il Giro, lungo le strade, ci sarà una miriade di messaggi di amicizia verso lo scalatore romagnolo da parte della gente. Facilmente saranno bei pensieri, brevi, concreti, semplici e per questo meno falsi e di (molto) conveniente circostanza che arriveranno di getto da quelli che; “…io Marco lo conoscevo, gli volevo bene e mi sento di dire a nome di tutti che….”. Ecco, bravi, mentre parlate a nome di tutti, ricordate anche gli anni in cui quest’uomo è stato fatto andare come una moto per strizzarlo fino al midollo e fargli tenere in piedi la baracca miliardaria a cui tanti si sono attaccati e si sono fatti trainare nel nome del “nostro caro Marco”.

sabato 1 febbraio 2014

Febbraio; l'editoriale

MA ESISTE VERAMENTE LA VOGLIA DI RIPULIRE IL GRUPPO CICLISTICO DELLA DOMENICA? SI, MA NON TROPPO MI RACCOMANDO….
“L’idea era ottima, anche se ancora troppo bonaria: vietare le gare amatoriali – impedendo la possibilità di tesseramento ad una società – ad atleti dopati che avevano subìto una squalifica superiore a sei mesi. Una norma che stava facendo preoccupare tanti ciclisti e cicliste ladri, che hanno rubato nelle corse della domenica truffando e prendendo il giro gli altri ciclisti, e che chiaramente vorrebbero poter continuare nella loro opera. Ma forse, per questi, un barlume di speranza potrebbe farsi largo. Le reazioni infatti non sono mancate, soprattutto da parte di Società Ciclistiche che potendo allestire formazioni molto competitive hanno alzato la voce. Ma per capire in maniera più semplice il discorso prendiamo due esempi: una gara iridata che si è corsa a Pontedera (fonte: Sportpro.it): dieci atleti controllati, cinque ‘caricati’ a roba robusta. Dov’è la notizia? Che non è più chissà che notizia. Ormai è cosa nota che il ciclismo dei ladri della domenica sta surclassando generosamente quello professionistico, e che l’ultimo ventennio professionistico ha fatto scuola per quello amatoriale. Secondo esempio, una dichiarazione (sempre da Sportpro.it) di: “ Antonino Viti, presidente dell`Acsi, l`ente che viene ad assorbire i tesserati dell`Udace (a sua volta organizzazione non riconosciuta dal Coni), si esprime così sul problema degli `ex dopati`: `Anche l`Acsi ha firmato un protocollo che, certamente, non rinneghiamo. Ma ricordo a tutti che la nostra mission è l`accoglienza, l`aggregazione e l`inclusione sociale. Ghettizzare chi, dopo l`errore, ha scontato una pena mi pare un accanimento immotivato che si allinea a fatica con i nostri valori fondanti. Come presidente dell`Acsi ribadisco la piena volontà dell`ente a combattere, con tutti i mezzi possibili, il cancro del doping. Ma non vorrei che una battaglia legittima e sacrosanta si trasformasse, nei metodi, in una discriminazione irragionevole e populista`.“ Se negli anni passati si erano create delle norme che per ‘tot’ anni vietavano la partecipazione di atleti ex-pro a determinate classifiche – atleti ciclisticamente falliti che già dall’inizio del decennio scorso avevano velocizzato l’arrivo del doping nelle GF a causa delle conoscenze che si portavano appresso – così difficile che gli stessi maggiori organizzatori usassero quel tempo per dire invece ai vari (e non pochi) Enti amatoriali italiani: “Basta ciclisti ex-dopati nelle nostre griglie!” Qual è il timore? Che debbano rinunciare a troppi concorrenti perché tali vecchie glorie (glorie?) sono molto amici di sponsor tecnici e con la crisi economica di adesso meglio andargli incontro col fare del vecchio amico? Ci sono concorrenti che hanno rubato dopandosi e che non sono più accettati in alcune GF. Perché questo non diviene una norma, un’obbligo? Comunque le GF stanno ancora andando bene. Non mancano ogni fine settimana piccoli oceani di ciclisti a questa o quella corsa. Si vede che a tutti va bene così. E poi quando si fa tutto questo per; ‘missione, accoglienza e inclusione sociale’ cosa scriverne a fare di gente che – sana – si ficca medicine in corpo? Perdoniamo gente. Perdoniamo…”

venerdì 24 gennaio 2014

Lo schizzato?

IL DOPING LIBERO, IL DOPING DA GIOVANE, IL VIAGRA, LE CORSE VENDUTE, IL GIRO D’ITALIA, L’OMERTA’ PER TORNARE IN GRUPPO. PENTITO DI QUALCOSA?;“SI, DI ESSERE STATO TROVATO POSITIVO”.
Qualche anno fa Ettore Torri (oggi pensionato) venne letteralmente dilaniato da ogni dove e da ogni esponente possibile del mondo ciclistico: ciclisti, organizzatori, dirigenti federali, Team Manager, giornalisti, proprietari di squadre, commentatori televisivi, e trattato come un vecchio e rincoglionito imbecille che non sapeva nemmeno cosa stesse dicendo. Danilo Di Luca (foto: Cicloweb.it) nella sua intervista tivù (probabilmente l’unica sincera che abbia mai fatto) mette lì una vecchia opinione di Francesco Moser – recordman dell’ora nel 1984 e seguito nell’impresa come un’ombra dal noto duo Conconi/Ferrari – dicendo che tanto vale liberalizzare il doping. Ma non solo questo. In Archivio Gazzetta trovate buona parte dell’intervista televisiva. Di Luca scarica tonnellate di puro letame addosso a tutto il mondo ciclistico, perché ormai la sua vita sportiva è andata in malora e se deve andare a fondo tanto vale aggrapparsi alle gambe di quelli che stanno cercando di galleggiare. Ovvio che le sue dichiarazioni hanno scosso molto l’ambiente. Definito “alla frutta” da Nibali, Di Luca spiffera cose ultrarisapute e poche novità. Ma siccome stavolta ad aprire bocca non è un Bertagnolli qualunque (per quanto la vecchia intervista di quest’ultimo resti ancora quella più dettaglia mai riportata dalla bocca di un ciclista italiano), le parole pesano il doppio. Fatto sta che tutto il movimento si mette in moto per rendere Di Luca un “Torri 2”, cioè uno che parla per rancore (probabile), che fa pena (non così tanta), che non potrà ricevere credito (una convinzione o una speranza?) perché ex-dopato. L’Assocorridori valuta se denunciarlo per lesione all’immagine del movimento, e nello stesso tempo i salottini ciclistici televisivi ne minimizzano le affermazioni con il; ”Non ha detto niente che non si sapeva già” Se le cose dette non sono niente che non si sapeva, l’Assocorridori cosa farà? Una denuncia verso una persona che dice cose risapute? E allora dove sta il danno?
Di Luca deve essere ‘smontato’ in più possibile. Deve apparire come un pazzo ubriaco che, ballando al ritmo di “Vamos a la plaia” dei Righeira vestito da prete, non sa più riconoscere una bicicletta da un frigorifero, per impedire che l’appassionato possa, di suo, fare due più due. L’ascoltatore deve ascoltare, ma non ragionare troppo. Deve dimenticare che quel commentatore, quel direttore sportivo, quell’ex ciclista correva per squadre che ne hanno passate di cotte e di crude. Di certo c’è che se il ciclismo vuole ritrovare credibilità, non può farlo affidandosi a gente che ha corso nell’EPOca relativa all’ultimo ventennio di gare, o affidarsi alle parole di direttori sportivi che per esigenze di mantenimenti pubblicitari (sponsor) sulle maglie delle squadre per non chiudere baracca, hanno taciuto e al massimo raccontato la famosa storia intitolata; “Io non c’ero e se c’ero dormivo”. Bijarne Riis aveva confessato davanti al mondo di aver vinto il Tour usando l’EPO. Non ha mai avuto problemi a lavorare negli anni a venire nel ciclismo. Oggi si esalta la nuova generazione ciclistica, sana, pulita, onesta ecc. Peccato che ad aprir bocca con discorsi di questo tenore, sia gente che arriva dagli anni ciclistici che oggi stanno mandando a puttane tutto quanto. A proposito: Di Luca verrà convocato a fine mese dalla Procura Anti-doping del CONI. Sarà mica che gode ancora di un minimo credibilità da qualcuno, rispetto a chi affermava (o sperava) non potesse essere così?