«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

sabato 13 ottobre 2012

ALTRO CHE AMARO SFOGO!....

“Non sono l’unico a dirlo e i ciclisti che ho interrogato, nessuno escluso, mi hanno detto che tutti si dopano”. Ettore Torri (Gazzetta dello Sport – mercoledì 6 ottobre 2010, pagina 25).
Due anni fa, quasi esatti, Ettore Torri fece tremare il ciclismo di casa nostra con le parole sopra riportate. Venne additato come un’irresponsabile perché aveva spiegato quello che era emerso dai colloqui fatti con atleti indagati per doping ciclistico. Sembrava fosse solo lo sfogo dettato dall’incapacità di venirne a capo, da parte di un vecchio rimbambito che non si rendeva conto di quel che diceva. Tanto che si lesse poi che non poteva essere lui ad indagare ancora su questioni di doping ciclistico, perché con quelle dichiarazioni non poteva più essere imparziale nel fare il suo lavoro. In questi giorni ecco arrivare le dettagliate, chiare, anche coraggiose dichiarazioni di Leonardo Bertagnolli (che conobbi con un amico sul Pordoi proprio nel 2010), riguardo ai “trattamenti” che per anni il ciclista usò, trattamenti preparati, consigliati, calibrati dall’ormai famoso dottor Ferrari. Bertagnolli ha fatto nomi di colleghi, di località, a spiegato i trattamenti consigliati per conservare il sangue per le sue emo-trasfusioni, i vari costi delle “prestazioni d’opera” fornitegli dall’esimio dottore. È andato avanti diversi anni Leonardo. Cita Vinokurov, Gasparotto, Bertolini, e altri ciclisti non meno noti. Poi, non potendone più, ha ceduto. Prima ritirandosi, poi spiegando tutto a chi di dovere. Coraggioso. Patetico invece Cassani che continua la litania di un ciclismo che oggi è più pulito di un tempo (ma ci spiegasse cosa intende per “un tempo”? Perché è dai tempi di Ullrich e Basso al Tour che la menano con questo “un tempo”!) come se bastasse questo a non farci sentire presi per il culo, da molti protagonisti. Da tutti non credo nemmeno io, ma certamente le favole del ciclismo ripulito è meglio tenerle per carnevale. Come ho scritto non tanto tempo addietro, quella che si va chiudendo non è l’EPOca Armstrong e basta. Non si usi il texano come il Bettino Craxi della situazione (i più giovani forse non sanno molto di chi parlo), o il Luciano Moggi del ciclismo. Entrambi sembravano i soli demoni nei giardini dell’Eden, per poi venire a capo di due fogne (tangentopoli la prima e calciopoli la seconda) che coinvolgevano una lista bella lunga di gente. Cosa centrano con Lance i vari Basso, Sella, Riccò, Piepoli, Scarponi, Di Luca, (toh!, ce n’erano di italiani!) Vedremo adesso cosa si inventeranno tutti gli “ex” che hanno un microfono in mano in veste di esperti – che vengono proprio da quel periodo ciclistico – per cercare di aggirare l’argomento, o tentare di rivoltarselo a modo loro.

lunedì 8 ottobre 2012

EPPUR STIAM DIVENTANDO COSI'.

Mi spacco il sedere su di un sellino dalla seconda metà degli anni ’80. Per questo motivo voglio tirar fuori una manciata di arroganza e dire che ho visto il ciclismo della domenica in quasi tutte le sue sfumature. Il “quasi” lo ficco dentro proprio per non fare la figura del Padreterno. In generale, cioè facendo una considerazione comprendente 25 anni di boracce svuotate in Valbelluna, i ciclisti oggi corrono di più e sono diventati più tristi. Senza distinzione di sesso e di età, il morbo del “Musonis lungo ciclisticus” dopo essersi evoluto e aver proliferato in massa soprattutto nel trevigiano, oggi è sconfinato ed è diventato ormai sempre più presente anche in Vallata. Facilmente figlio di una mentalità egoistica che dalla vita di tutti i giorni – usiamo questo modo di inquadrare la questione – non viene lasciata a casa quando le persone salgono in bicicletta. Quando iniziai a lavorar di gambe, il ciclista della domenica era per lo più un “atleta” che partiva dai 40, anche 45 anni in su. Un ciclista di 30 anni era roba rara. Ce n’erano di quell’età, ma era gente che faceva corse. A me, i ciclisti invece dai capelli (quasi tutti) bianchi, chiedevano perché alla mia età di allora non me ne stavo a correre dietro a un pallone su di un prato. Con il passare degli anni le strade della mattina di festa si sono riempite non poco e la particolarità, fino alla metà del decennio scorso, era che quando “sconfinavamo” fuori dalle nostre strade notavamo un aumento di “Musonis lungo ciclisticus”. Oggi non serve andare fino a chissà dove. Purtroppo anche dalle nostre parti questo esemplare si è moltiplicato. L’età si è abbassata – e qui vive la spiegazione probabilmente più semplice dell’aumento della velocità media – ma le facce sono diventate serie, con un velo di incazzatura verso il mondo che sempre più spesso accompagna questi o queste esemplari di “Musonis”. Un giorno di luglio mi fermo perché vedo un ciclista che ha forato. Era da venti minuti che aspettava/sperava che qualche altro ciclista si fermasse (era senza pompa; sbaglio grave) ma se non mi fermavo io, adesso mi sa che sarebbe ancora lì (vicino a Sospirolo, per la precisione). Pochi giorni dopo a Fianema di Cesiomaggiore noto un ciclista fermo sotto un’albero a telefonare, a una decina di metri dalla strada. Torno indietro e chiedo se è fermo pe problemi. Dice di no, ringrazia, ci salutiamo, e me ne torno agli affari miei. Non troppo tempo dopo buco una ruota. Mentre la sistemo passano 5 o 6 ciclisti. Non in gruppo, sparsi per i fatti loro. Io non avrei avuto necessità, ma uno di loro (una era una donna) mi avesse almeno chiesto; “Oh Manuel, sei proprio tu, nostro Campione dei Campioni. Posso umilmente esserti utile?” Col ca**o! Tutti a tirar dritti e farsi gli affari propri. Ciclisti, ma che ci succede? La bicicletta non era sport di aggregazione, divertimento, condivisione? Tutte cazzate? Beh, almeno abbiate il coraggio di dirlo, invece di regalarci a vicenda falsi sorrisi di circostanza che durano 4 secondi netti, prima di tornare a quel volto triste che sempre più portiamo in giro.