«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

martedì 21 dicembre 2010

DA LEGGERE!....


UN BICCHIER DI VINO IDEALMENTE BEVUTO DAVANTI AL CAMINO A PARLAR DI CICLISMO PANE & SALAME. ESSENZIALMENTE CICLISMO PST. E ALESSANDRO MI RACCONTA CHE…

Il ciclismo ha una storia grande, fatta di tante storie piccole. E visto che il lato più sentito dalla gente, degli appassionati, è quello della semplicità, ho chiesto ad Alessandro Oriani se potevo “sfruttarlo” per quelli che erano i suoi anni ciclistici. Anni che lo portarono fino ai dilettanti. Sul tavolo due bicchieri e una bottiglia. Noi li riempiamo, fateci compagnia.

Alessandro, so che la tua famiglia ha conosciuto il mondo del ciclismo già tanti anni addietro, perché uno dei tuoi nonni faceva parte delle “carovane” nelle grandi corse. Ci puoi dire qualcosa su questo?

“La mia famiglia (fino al sottoscritto) ha sempre respirato ciclismo a partire da mio bisnonno Carlo Oriani che ha vinto un Giro d' Italia nel 1912 e un Lombardia nel 1913 in maglia "Maino", mio nonno Gino Oriani é stato l' autista dell' ammiraglia di Fausto Coppi dal 1946 al 1954, mi ha regalato due maglie di Fausto che custodisco gelosamente e che sono tutt'ora in perfetto stato, ho conservato per anni (e ho anche pedalato) una Bianchi con la quale aveva corso il campionissimo nel 1953 .
I racconti di mio padre sulle corse ascoltate alla radio, i grandi pistards come Maspes, Post, Plattner, Gaiardoni, Rousseau, Harris, le 6 giorni al palasport di Milano degli anni '70 e '80, le storie di improbabili allenamenti di mio padre e mio zio alle 5 del mattino perchè bisognava tornare in tempo per andare a lavorare o nel dopo lavoro, il velodromo Vigorelli, le cadute che ho rimediato su quella pista troppo difficile e tecnica per un corridore mediocre come me, il memorabile racconto di mio padre che una volta si finse meccanico di Peter Post ed entrò nel parterre bici (di Peter Post) in spalla nei giorni precedenti il mondiale su pista che si svolgeva a Milano; ecco, queste sono le mie radici di modesto ex corridore fallito con grande passione e grande memoria storica, ho conosciuto Maspes, ho pedalato (in allenamento) con Claudio Chiappucci, con Alberto Elli, con Stefano Allocchio, da ex ho incontrato Johan Musseuw in allenamento sulle colline della Brianza, ero in maglia Gewiss e mi ha scambiato per un corridore vero, grande emozione. Arrivo da qui”

Domanda classica; la tua prima bici. La ricordi?

“La mia prima bici da corsa era una "Terruzzi" blu metallizzata ricevuta a 7 anni (credo) che trattavo come una fuoriserie e che mi ha fatto da palestra per le mie prime uscite e i miei primi mal di gambe sulle collinette della Brianza ad un certo punto era diventata talmente piccola da costringermi ad usare un canotto reggisella talmente lungo da sembrare illegale; ero aerodinamico e ridicolo, la bici ? Non so che fine abbia fatto, non ricordo”

Da ciclista sei arrivato fino al dilettantismo. Con quali Gruppi Sportivi hai corso?

“Ho corso per il "Pedale Sestese" da allievo nelle stagioni 1983 e 1984, sono passato poi alla "UC Sestese cicli Taldo" che altro non era se non una costola del Pedale Sestese (società che esiste tuttora) formata da transfughi in rotta con la dirigenza e alcuni tecnici, per questa società ho corso nel 1985 e 1986, l' ultimo anno (il 1987, da dilettante di seconda serie) ho corso per una società bergamasca, il "GS Mobili Turani", conservo tuttora una maglia da gara di questa squadra”

Oggi ci sono dilettanti che possono permettersi di pensare solo al pedalare. Com’era la tua vita da ciclista dilettante? Dovevi dividerti tra lavoro e bicicletta?

“Spiace deludere i romantici di un certo ciclismo che non esiste più da tempo immemorabile, ma già allora il ciclismo (ancorché dilettantistico) era uno sport al quale (solo per finire bene le corse) era necessario rivolgere il 101 % dell' impegno, chi lavorava non riusciva a reggere certi ritmi, sopratutto quando le categorie dilettanti di prima (gli elitè senza contratto di oggi) e seconda serie (gli "under 23" odierni) correvano insieme senza classifiche separate, a me ragazzo 18enne di belle speranze é capitato di provare a "subire" le trenate di gente di 26 - 27 anni che non passava prò perché tra i dilettanti guadagnava di più; c'era da soffrire perchè "quelli" spingevano il 12 con la facilità di un bimbo che gioca e finire bene le corse era già una mezza vittoria, anche perché al via si presentavano squadre come la "Carrera Inoxpran", la "Brescialat", la "Chateau d' Axe", mica facile”


Il tuo ciclismo da dilettante che mondo era? C’erano delle cose buone che si sono mantenute e che ricordi volentieri? Altre che secondo te si sono perse?

“Una cosa buona del ciclismo dilettantistico di allora ? Mah, è difficile, diciamo che c'era un pò meno (ma poca eh ?) esasperazione, c'era la possibilità di crescere accanto a corridori più esperti che sapevano darti i consigli giusti se vedevano che ti impegnavi e ti facevano abbassare la cresta se ti comportavi come uno "arrivato", c'erano delle gerarchie e si rispettavano. Cosa é rimasto ? Francamente non lo so, non vedo una corsa maschile da 10 anni, non so come sia l' ambiente, può sembrare strano per chi legge, ma non ne sento la mancanza. Sorry...”


Che allenamenti facevi? Eri tabella-dipendente?
“Per quanto riguarda gli allenamenti devo dire che non sono mai andato "a sensazione", se in tabella c'era scritto 160 km, quelli erano e il più delle volte diventavano 175 - 180 meglio se percorsi assieme a dilettanti di prima serie (quando in salita aprivano il turbo erano dolori !), le tabelle le facevo io perché mi piaceva essere coinvolto in prima persona, perché ho sempre pensato che un corridore debba sapersi gestire da solo per quanto riguarda gli allenamenti.
Capitolo ripetute: ho iniziato a farle da junior ma erano un qualcosa che già conoscevo fin dai tempi delle non competitive podistiche che disputavo da ragazzino, ne avevo sentito parlare da corridori come Massimo Magnani (poi ct della maratona) e Franco Arese, avevo visto gli allenamenti dei nazionali di atletica al Parco di Monza: gente che alle 7 del mattino, d' inverno, al freddo, nell' anonimato, si preparava, sputava sangue; io ho preso quei concetti e li ho trasferiti nel ciclismo, in manier molto artigianale certo, però avevo capito che mi avrebbero giovato. Mi sentivo un precursore e mi davano del pirla. Pazienza.”


Che ricordi hai dei ciclisti con cui correvi e che poi hanno avuto fortuna nei professionisti?

“Questa é una nota dolente, quelli forti (il nome che ricorre puntualmente è quello di Gianluca Bortolami) erano irraggiungibili anche al di fuori delle corse, mai capito dove e come si allenassero, andavano già in giro con la Nazionale e facevano vita a se stante, ad essere sincero ho fatto meno fatica a parlare con i "pro" che incontravo in allenamento che non con i miei pari età, c'era una barriera invisibile che nessuno (meno che meno chi lottava per terminare le gare) voleva o poteva oltrepassare.”

Ci sono un paio di corse più di altre che ricordi in particolare, nel bene o nel male? E per quale motivo?

“Ci sono diverse corse che ricordo con particolare piacere: la "Coppa d' inverno", ultima gara di calendario, si correva la prima domenica di Novembre a Biassono (MI): freddo, alta velocità, un pubblico numerosissimo (la Brianza é terra di ciclismo) e appassionato, la malinconia perché sapevo che non ci sarebbe stato un "prossimo anno"; bella gara la "coppa d' inverno",un anno ho visto vincere Bugno su quel traguardo (correva per la "Supermercati Brianzoli"), ho visto un immenso, dominante Mario Scirea, ero allievo e lì ho capito cosa significasse "fare la corsa", sembra facile, a me é capitato un paio di volte, per sbaglio, credo. Un altra corsa bellissima alla quale ho partecipato é il "piccolo giro di Lombardia", le "mie" strade, i colori dell' autunno, il lago di Lecco e di Como, il Ghisallo, il Pian del Tivano, atmosfera da "grandi", in due parole "una figata".
Di corse che ricordo nel male ce ne sono diverse: percorsi pericolosi, buche enormi, tombini a cielo aperto (mi capitò a Pozzo d' Adda (BG) ) che il gruppo evitava tutte le volte per miracolo, ne ho disputate troppe e le ho rimosse dalla mia memoria.”

Eri un maniaco del millimetro (come chi scrive) per la tua bicicletta, oppure ti affidavi al meccanico di fiducia senza pensarci troppo?

“La bici doveva essere in ordine anche perchè era la MIA bici e non potevo permettermi di sfasciarla, i lavori meno impegnativi li facevo io per il resto mi affidavo al meccanico di fiducia, avevo l' abitudine di controllare e ricontrollare tutto più e più volte, non che non mi fidassi, però mi capitava di perdere dei piazzamenti a causa dell' imperizia altrui, ero diventato meticoloso PER FORZA.”


Ora dov’è la bici?
“La bici (una Taldo rossa) é in solaio mezza smontata, la prossima primavera vorrei rimetterla in sesto, vederla nello stato in cui versa mi fa star male, non credo che pedalerò più lì sopra perché il telaio ne ha subite di ogni, ma un bel restauro se lo merita.”


Per tanti anni hai seguito il ciclismo femminile. Come iniziò la passione per quell’ambiente?

“La passione per il ciclismo femminile é nata alla 6 giorni di Milano (1983 ? 1984 ? Non ricordo esattamente), forse perché... boh, mi sembrava un mondo un pò più "pulito" rispetto a quello del ciclismo maschile, forse perché sono sempre stato dalla parte degli "underdogs" per dirla all' americana, ho sempre pensato che il movimento (le atlete in primis) avrebbe meritato ben altra considerazione e attenzione da parte di pubblico e media, ho avuto l' onore di vedere all' opera atlete del calibro di Maria Canins, Roberta Bonanomi, Imelda Chiappa, Francesca Galli, Catherine Marsal, Antonella Bellutti, Jennifer Thompson, Rebecca Twigg, Connie Carpenter, Marianne Berglund, Mery Cressari, Luigina Bissoli, Zita Urbonaite (r.i.p.), Diana Ziliute e nella mia lunga carriera di tifoso ho avuto rispetto delle atlete, della loro fatica, mi sono entusiasmato, ho pianto un sacco di volte, mi sono immedesimato nel loro dolore quando le ho viste a terra ferite nel corpo e nell' animo. Può bastare ?”


Finita la carriera agonistica, hai corso anche nelle granfondo?

“Mai fatto le Gran Fondo, ho sempre pensato che c'é un tempo per tutto, non sono riuscito a sfondare per evidenti limiti fisici e caratteriali, ho corso, mi sono divertito, non rimpiango nulla e ringrazio Dio di essere ancora qui a parlarne, correre le Gran Fondo non avrebbe aggiunto nulla alla mia (già) fallimentare carriera di mediocre dilettante No, va bene così.”


Hai conosciuto il ciclismo dilettantistico, poi anche quello femminile. Ci sono persone, in questi due “movimenti” con cui sei rimasto in contatto?

“Non sono rimasto in contatto con nessuno nell' ambiente dei dilettanti , abito di fronte alla sede della mia ex società ma onestamente non mi é mai passato per la testa il pensiero di tornare anche solo per un saluto, come tanti altri non ne ho più voluto sapere e lo stesso vale per il ciclismo femminile: gli ultimi casi di positività al doping (Cucinotta prima, Rossi poi) hanno contribuito ad allontanarmi; a volte penso che ho fatto male, che ho messo nel girone dei cattivi anche chi non c'entrava niente e ha sempre corso con mezzi leali, ma come ho già detto e ripetuto un sacco di volte sui miei defunti blog, amo troppo il ciclismo, non sono uno che fa finta di niente e passa oltre con un "dimentichiamo tutto". Mi dispiace.”

La chiacchierata finisce qui. Grazie Alessandro. Resta nei bicchieri l’ultimo sorso; alla salute.

giovedì 16 dicembre 2010

Il ciclismo davanti al caminetto.


IL DOPING NELLO SPORT AMATORALE? AUMENTATO, E PURE TANTO.
CIFRE VERGOGNOSE, TENENDO CONTO CHE SI TRATTA DI PERSONE CHE BLATERANO DI PASSIONE PER LA LORO PRATICA SPORTIVA. SERVE UN’EDUCAZIONE ALLO SPORT, MA SI FA POCO.
COS’E? PAURA PER LA CASSA DEI GUADAGNI?

Dalla bocca del ministro della Salute Ferruccio Fazio (ospite al “Giro d’Onore”, cerimonia per i 125 anni dell’FCI) le notizie sono state precise; nel primo semestre 2010 ci sono stati 500 controlli antidoping tra i ciclisti amatoriali. Nel 15,9% di questi si sono trovati atleti positivi. Per capirci in maniera meno complicata; circa 75 ogni 500 gira-gambe. Per semplificare ancora, 15 su 100 imbrogliano. Immaginiamo una GF con 1000 partenti, fate il conto da voi.
Molto spesso si viene a conoscenza di sportivi che accettano di diventare dei falsi, anche solo per vincere il prosciutto nella corsa della sagra del paese. Ma è anche peggio. Ci sono persone che nel loro sport puntano, come fosse una questione d’onore, ad essere le prime nel loro gruppo di amici. Non si usano medicine soltanto per vincere, ma anche solo per “trionfare” nella corsa interna alla propria squadra di appartenenza. Essere i migliori dentro il proprio cortile. Non c’è bisogno di prosciutti.
Per alcuni, la comitiva con cui si condivide la passione per una determinata disciplina sportiva non è un gruppo di persone, ma è una specie di branco dove si vuol essere l’animale migliore. Quello che dentro una vasca, su di un sellino, sopra un paio di sci, dentro una corsia in pista o dove pare a voi, riesca ad avere il sopravvento sportivo sugli altri. Anche solo questa ridicola soddisfazione, che per tanti non è per niente ridicola, butta in un’angolo la voglia di fare sport per ricavarne benessere. Ecco che lo sport diventa così non soltanto un modo per acquistare fiducia in se stessi, ma funziona talmente bene che più si riesce a stare al vertice, più si vuole rimanerci perché ci si sente appagati e forti. La matematica non è un’opinione. Proprio per questo motivo l’istintivo pensiero di molti vive nella filosofia del; “Io sono davanti a loro. Sono meglio di loro.”

NON SCOMPARIRA’ MAI! PUNTO. MA POSSIAMO FARE SPORT SENZA DI LUI. E CON SODDISFAZIONI ENORMI. COME? ANIMO E TESTA (CHI LE HA). MA SE NE PARLA ABBASTANZA E ALLE PERSONE GIUSTE?

Nell’autunno del 2003, presso il Salone del Ciclo di Milano (quando il salone era tale, e non una bidonata come quest’anno), si tenne un convegno sul doping nel ciclismo amatoriale. Nel proprio intervento, il Presidente UDACE Francesco Barberis suggerisce che il problema; “… ci impone di evidenziarne le problematiche e di portarle all’attenzione di tutti, addetti ai lavori e a coloro che sono amanti del vero spirito sportivo, e desiderosi di uno sport animato da sani ideali.” Poco prima anche un’accenno al supportare; “…un’informazione sui risvolti negativi e sui danni psico-fisici causati dalla pratica del doping…” Questo nell’autunno di 7 anni addietro.
So per esperienza che nelle scuole si parla di alimentazione. Nel periodo in cui preparavo un convegno sull’alimentazione nello sport per l’AC PST me ne resi conto, visto che diverso materiale usato per il nostro convegno si appoggiava a diverse di quelle informazioni. Notizie sulla bistecca di carne bianca e rossa, sulla patata che viene poco considerata, sui legumi che bla, bla, bla…, tutti argomenti giusti ed utili.
Ma di doping se ne parla? Se ne parla all’interno delle società sportive, dove i ragazzi vengono introdotti nel mondo dello sport? Quante sono le società sportive che organizzano momenti di spiegazione sui danni dall’uso di medicine senza un vero giustificato motivo? Ci sono convegni che trattano di etica nello sport, ma è poco. Si parli ai ragazzi dei meli del doping nel fisico. Cosa provoca nel corpo l’uso di medicine dentro persone sane.
Perché la stessa UDACE non obbliga le società a lei affiliate, magari quelle che hanno un minimo di tesserati (tipo; “hai almeno 30 tesserati? Allora ascolta…”), ad organizzare almeno una volta l’anno dei momenti sull’educazione allo sport? Io parlo di UDACE, ma potrebbe essere lo stesso per la FIGC, per la FISI e via dicendo altre federazioni. Un convegno lo abbiamo messo in piedi noi che non abbiamo una lira, figurarsi se altri non avrebbero ben più possibilità. Certo, quando non sei nessuno devi anche saper essere un rompi*******i come pochi per avere attenzione e credibilità. Ma se ci è riuscito chi scrive, possono senz’altro farlo anche altri.
Se invece c’è paura di perderci soldi, spiegando che il doping arriva un po’ dovunque, e che quindi i genitori, impauriti, vietino ai figli di fare sport, o agli adulti passi la voglia di fare o rinnovare la tessera con l’ente sportivo “Tal dei Tali”, allora almeno non si blateri di passione per lo sport.
Il doping è un’amico che sa venirti incontro per un’amichevole pacca sulla spalla, sospinto da belle parole ed un sorriso a 150 denti. Si prenda un bel cric e glielo si stampi su questi ultimi.

mercoledì 8 dicembre 2010

Sicurezza sulla strada; la storia infinita.


LA DEVASTANTE STRAGE CICLISTICA DI LAMEZIA TERME HA DESTATO L’ATTENZIONE SULLA SCARSITA’ DI PISTE CICLABILI IN ITALIA.
CICLISTI-AUTOMOBILI-CICLABILI; LA VERA STORIA INFINITA. ALTRO CHE FAVOLE DA CINEMA.

Cadaveri disseminati sulla strada, che hanno visto la morte arrivargli in faccia senza preavviso, e che li ha falciati via dal mondo senza alcuna remora. Su di loro lenzuola bianche a coprirli. Caschi frantumati, alcuni volati via, disseminati a 30 metri dai corpi senza vita. Una bicicletta è volata per aria. Si è appesa da sola, per la sola forza dell’urto, sul cancello di una casa vicina. Montanelli diceva che l’orrore non aggiunge niente alla verità dei fatti.
Chi scrive usa le piste ciclabili quando possibili. Cioè, in primis, quando non rischi la pelle per “prendere la pista” ed usarla (ci sono percorsi ciclabili pensati col sedere e fatti coi piedi, che sono stati usati, a suo tempo, solo per non farsi scappare i vari contributi regionali, provinciali, ecc…). Le immagini arrivate da Lamezia Terme, che hanno aperto i TG serali di domenica scorsa, sembravano provocate da una sparatoria tra bande. Subito l’argomento “I ciclisti sulle nostre strade” ha ricevuto più attenzione in tre giorni, che non in questi ultimi anni. Ma che rapporto abbiamo noi con la bicicletta?
Ventinove milioni! Di cosa? Di biciclette. In Italia possiamo quantificare in 29 milioni il numero di biciclette esistenti tra nuove e vecchie di ogni tipo. Dalle Mountain bike ultimo grido, fino alle Graziella mezze arrugginite e dormienti nei nostri sottoscala.
Negli ultimi anni i chilometri di piste ciclabili sono più che raddoppiati; in tutta Italia erano 1.000 chilometri nel 2000, mentre nel 2007 erano 2.400. Quando usiamo la bicicletta? Principalmente la domenica. Siamo un popolo ciclistico della domenica. Per il resto, il sedere lo teniamo sempre sul sedile dell’automobile.
Una curiosità? Se dal 2000 al 2007 sono raddoppiati i chilometri di piste ciclabili, sempre in quei 7 anni è raddoppiato anche il prezzo della benzina. Nel nord-est italiano i chilometri di ciclabili sono aumentati del 100%, ma siamo 4 volte sotto lo standard dell’Europa Unita.
I numeri contano solamente fino ad un certo punto. Sono tanti i chilometri di ciclabili che restano deserte perché semplicemente inutili, buttate lì per guadagnare posizioni nelle classifiche ambientali. Però una cosa va riportata. Tra il 2002 ed il 2006, l’Italia ha speso 5 milioni di euro, nei percorsi ciclabili. La Germania stanzierà 80 milioni all’anno nei prossimi anni. Qualche altro numero;

OLANDA – 19 milioni di bici, rete ciclabile prevista 6.000 km.
GERMANIA – 72 milioni di bici, rete ciclabile prevista 35.000 km.
ITALIA – 25 milioni di bici, rete ciclabile prevista 168 km.
FRANCIA – 21 milioni di bici, rete ciclabile prevista 8.000 km.
GRAN BRETAGNA – 17 milioni di bici, rete ciclabile prevista 16.000 km.

Fatevi una risata; a Torino, fino a due anni addietro, c’erano 13 metri di pista ciclabile ogni 100 abitanti. Dividete per 100; 13.000:100 = 0,13 metri. (13 centimetri a cranio!!). a Vienna avreste per voi 62 metri!
Bella cosa le ciclabili, almeno venissero usate quando presenti. Visto che tanti ciclisti o cicliste della domenica non ci pensano proprio ad usarle. Siamo in tanti, siamo fighi! Le ciclabili ai ragazzini e ai nonnetti!

Nota; questo articolo è stato redatto con notizie tratte da; Corriere della sera – Il Gazzettino – Wikipedia – www.pisteciclabili.it – Nuovo Codice della strada.
Sono state usate dalla mia Associazione un’anno addietro, chiaramente in maggior quantità, per la rassegna “15 minuti sulla strada del buon senso” che verteva su; piste ciclabili ed uso del casco.

domenica 5 dicembre 2010

Il ciclismo davanti al caminetto.


DAMIANO CUNEGO E COMPAGNIA CANTANTE TORNANO IN SELLA. FINITE LE CONSUETE VACANZE, IL VERONESE INIZIA UNA STAGIONE (O FORSE UNA SECONDA CARRIERA?) IMPRONTATA DECISAMENTE SULLE FATICHE DI UN GIORNO.
E MAGARI, STAI A VEDERE CHE......

In sella! In Italia le nevicate sono già arrivate, ed anche copiose, in molte zone. Giornate da cioccolata calda e pantofole davanti al camino, anzi, al caminetto. I campioni invece si accingono a far fare alle gambe i primi giri di fatica.
Tra questi il quasi trentenne (eh si!) Damiano Cunego, che mai come da quest’inverno sembra avviato verso l’inizio di una seconda carriera ciclistica. L’ormai ex bocia di Cerro Veronese – croce e delizia di appassionati e tecnici – con il tesseramento di Michele Scarponi da parte del GS Lampre, perde la posizione di uomo di riferimento nei grandi giri per la squadra italiana. Era dal 2005 che il biondo ciclista veneto era punto fermo della Lampre nelle gare di tre settimane.
Da almeno due stagioni erano anche in aumento le voci che consigliavano il finisseur italiano di dedicarsi alle gare di un giorno. Lo stesso ragazzo aveva cercato di “tenere duro” in questo senso nelle ultime stagioni, provando a prepararsi in maniera specifica in vista di Giri o Tours che fossero. I risultati conseguiti non andarono verso le aspettative, com’anche in qualche caso ci furono esiti molto deludenti. Se per Michele Scarponi l’avventura Lampre sembra essere la cosiddetta grande occasione, per Cunego potrebbe essere l’inizio di una seconda fase ciclistica, quand’ormai il calendario personale arriva alla soglia dei 30 anni.
Quando Cunego aveva addosso la luce dei riflettori, i risultati spesso sono mancati. La scelta di Scarponi in squadra non sembra un tentativo atto a copiare la Liquigas, che tra Basso, Pellizotti, Nibali e Kruziger, in questi ultimi anni si è portata a casa un Giro di Svizzera, un Giro d’Italia, una maglia pois in Francia e una Vuelta. Non siamo di fronte a due ciclisti, Scarponi e Cunego, che hanno un’età ciclistica ben diversa (Basso e Nibali). E nemmeno sembra che Scarponi sia il nome per i grandi giri, accasato da Saronni e C., solo per togliere attenzione e quindi pressione a Cunego. Scarponi vuole vincere il Giro, e di lì non si scappa.
L’impressione è che Damiano abbia deciso di seguire come mai prima la strada delle gare di un giorno. Oggi il calendario delle classiche riempie totalmente il periodo marzo/aprile dove, tra Gand Wevelgem e Liegi, ci sono ben 7 classiche nel giro di un mese. Poi si torna al discorso che con Scarponi in squadra, sarà quest’ultimo a ricevere notevoli attenzioni degli avversari, dopo il 4° posto – per poco 3° - nella corsa rosa di quest’anno.
Cunego potrebbe approfittare di questo, proprio riguardo al discorso che quando non gli si chiedeva il risultato, spesso tagliava il traguardo prima di tutti gli altri. Ma con l’arrivo del nuovo Direttore Sportivo, Roberto Damiani (ex Gilbert), forse per Cunego è arrivato il bivio ciclistico definitivo. Per Damiano quasi certamente cambierà anche il clima interno al suo GS dove, non essendo più l’unico riferimento della formazione del signor Galbusera, la ricerca del risultato potrà essere equamente divisa tra lui e Scarponi.
Potrebbe anche essere l’inizio di una coppia ciclistica molto più forte del previsto, e che potrebbe trovare occasioni vincenti inattese ai più. A spingere questa competitività anche gli obiettivi dei due. Scarponi per l’occasione del treno giusto per il podio alto di Milano, Cunego per evitare di perdere i “gradi” all’interno della Lampre. Quando l’acqua arriva ai c******i, solo i morti non imparano a nuotare. E questa amichevole concorrenza interna potrebbe essere la molla che Cunego aveva perso, con l’addio di Ballan alla Lampre un’anno addietro, e prima ancora Simoni alla vecchia Saeco.