«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

giovedì 27 luglio 2017

.

Per questioni di tempo non più disponibile come vorrei, questa pagina web è scesa di sella. Dopo circa tredici anni, per i primi tre come sito internet e successivamente con il più pratico blog, ho dovuto arrendermi al fatto che purtroppo, volente o nolente, basta così. Ringrazio voi appassionate e appassionati di ciclismo, con la speranza che in questi anni abbiate trovato cose di vostro interesse. Questo spazio web non ha chiuso di netto, ma è stato "scremato" nei contenuti, in una cernita di articoli che sono rimasti per farne una specie di raccolta di scritti che hanno pedalato a cavallo di tre decenni. In qualche momento mi mancherete. Buona lettura con quello che è rimasto di Ciclismo PST.

martedì 11 luglio 2017

La migliore

Dopo la vittoria del 2015 Anna Van Der Breggen bissa il successo nella 28^ edizione del Giro femminile. Una vittoria senza discussione, nata già dal secondo giorno. Giro maschile e Giro femminile all’Olanda.
Dominio pressoché totale quello della Boels Dolmans che ha tenuto la “rosa” fin dal crono-prologo di Grado. Anna Van Der Breggen ha vestito la maglia rosa dalla seconda frazione – dopo averla tolta alla compagna di team Karol Ann Canuel – e trovando un’alleata nella bella condizione fisica che ha portato al Giro e che le ha permesso di non mancare mai quando le azioni delle più vicine rivali in classifica la chiamavano all’appello. “Questa stagione è stata davvero perfetta con la mia nuova squadra, e mi sto gustando ogni momento. La differenza dalla mia prima vittoria al Giro è che due stagioni fa mi ero dedicata totalmente a preparare questa corsa, questa volta no. Credo sia proprio grazie a una squadra così forte intorno a me che sono riuscita a vincere.” Una vittoria di tappa – la crono-squadre d’apertura – e due secondi posti (in entrambi i casi dietro alla Van Vleuten e davanti alla Longo Borghini) le hanno permesso di non rischiare mai la leadership della classifica generale.
“Vincere il Giro è molto faticoso e stressante, però è una grande esperienza. Sono giorni duri perché non ci sono giorni di riposo ed ha fatto molto caldo. Sono davvero molto contenta di avere vinto il secondo Giro”. L’Olanda vince tutti e due i Giri italiani. E soprattutto lo fa con due atleti che paiono avere le qualità per essere protagonisti vincenti per diverse stagioni ancora. Quello femminile quest’anno non era un Giro pesante, duro, forse per la mancanza di salite lunghe, impegnative quindi anche nella durata stessa delle scalate. Ha esordito la cronometro a squadre (che differenze tra alcune squadre per la capacità di “muoversi” nel rispettivo treno!), che probabilmente verrà ripetuta. È migliorato in parte il servizio della RAI con un telecronista, Stefano Rizzato, che parla un buon inglese e automaticamente le interviste prima e dopo le tappe sono aumentate. Però le sintesi sono ormai ridotte al quarto d’ora o un pelo di più, e fare “salti” dal primo chilometro ai meno 30, e in cinque minuti ai meno 5, sminuisce troppo la corsa più importante del calendario femminile. L’Italia si è vista poco e solo nel finale di Giro ha rialzato la testa, ma questo è un discorso che arriverà più avanti.

giovedì 1 giugno 2017

Promossi, bocciati e rimandati della corsa rosa.

E tornò il giorno delle particolari pagelle sul 100° Giro. Come sempre qualcuno o qualcosa resta sempre escluso. Ma con tutte le pagelle che saltano fuori da ogni dove a ogni Giro fatto….
VOTO 181 a Tom Dumoulin; prendete le singole cifre che compongono il suo numero di gara e avrete il suo voto. Ha controllato la gara come un veterano, e se per chiudere i conti ha dovuto aspettare la cronometro di Milano, lo si deve ai fuochi d’artificio scoppiatigli in pancia il giorno del doppio Stelvio. Ha perso solo due minuti perché non è andato nel panico dimostrando di essere uno che ha cervello. La cosa preoccupante per i suoi avversari?: che sa usarlo. Se gli rinforzeranno la squadra (ne ha bisogno) questo Giro sarà stato solo l’inizio di altri trofei ai Gran Tour francesi, spagnoli o italiani che siano.
VOTO 9 al Giro 100; Vegni e compagnia non potevano pretendere di più. Quattro corridori dentro il minuto a 30 chilometri dalla fine. In più non solo l’incertezza su chi avrebbe vinto, ma nemmeno la più pallida idea sulla composizione del podio. Inoltre, dove arrivava il Giro ecco il bel tempo. Bello il percorso, ma una edizione storica che evita Roma, Napoli, Torino, Venezia,...mmm…… Fernando Gaviria (colombiano come Quintana) ha corso il suo primo Giro con quattro vittorie cristalline. Compirà 23 anni ad agosto e ha fatto vedere ‘numeri’di altissimo livello velocistico (e forse l’inizio della fase calante di Greipel).
VOTO 8; Vincenzo Nibali ha fatto tutto quel che poteva. Se l’Italia esce dal Giro senza lo “0” alla casella vittorie di tappa lo deve al più completo e forte ciclista italiano da corse a tappe degli ultimi 15-barra-20 anni, che quando corre per la classifica difficile manchi almeno un podio. Solo per il Giro; 19° (2007), 11° (2008), 3° (2010), 2° (2011), Giro 2013, Giro 2016, 3° (2017). Davide Formolo cercava la ‘bianca’ ma non l’ha presa. Ha chiuso al 10° posto della generale, che dopo il 9° dell’ultima Vuelta non è per niente male per uno che ha 24 anni. Se ha testa (pare ne abbia) aspettiamolo tra un paio di stagioni. Mikel Landa è stato il migliore della terza settimana e la maglia azzurra finale. Senza quel disastro nella caduta che ha incerottato mezza Sky, dove ha lasciato minuti per le botte prese, il podio avrebbe avuto un contendente in più. VOTO 7 a Nairo Quintana; non era quello che si sperava di vedere, nonostante la squadra migliore. È stato lui per la prima parte (vedi Blokhaus). Ha pagato poi un paio di tappe corse con qualche linea di febbre. Chiude al secondo posto dopo la vittoria del 2014. Il Giro fa per lui, speriamo se ne ricordi più spesso. Thibaut Pinot; subito simpatico a noi veneti per il cognome di stampo eno-ciclistico, lo si aspettava protagonista sulle montagne nella terza settimana e non ha mancato. Ottimo il suo Giro, ma per il primo gradino manca qualcosa. Una squadra con qualche cosa in più?
VOTO 6 a Domenico Pozzovivo; chiude da secondo degli italiani, ma l’impressione è che tra qualche anno ci ricorderemo di lui come di un bravissimo scalatore, volenteroso, generoso, simpatico, disponibile, paziente, cordiale, sereno, esperto di meteo, lucano,….. VOTO 5 alla RAI; eh la miseria!! Che sarà mai per un voto così alto rispetto al passato? Non sembra nemmeno la stessa TV che trasmette da cani il Giro-Donne, dove l’anno scorso si sono toccati dei vertici di mediocrità forse irraggiungibili. I fattori scatenanti di un voto così premiante sono riconducibili al fatto che gli inutilissimi Bartoletti e Pasqualin sono finalmente spariti, che Sgarbozza non s’è visto e nessuno se n’è accorto, ma restano purtroppo una trasmissione post-gara che continua ad essere riservata ai soliti commentatori che si scambiano di posto a seconda della trasmissione, con tizio oggi ospite e domani conduttore, e con i giornalisti Gazzetta spariti da anni così come i direttori sportivi. Domanda; chi ha fatto la raccomandazione di mettere Massimiliano Rosolino per una trasmissione pre-tappa? Bene il lavoro di Marco Saligari su “Moto-2”, bene gli inviati RAI per le interviste dal villaggio di partenza e per il primo dopo-gara.
VOTO 4; Casa-Italia; dopo corridori di altissimo livello come Aru e Nibali troviamo un bel salto. Una sola vittoria italiana nel 100° Giro è un bilancio fortemente negativo. Mancavano certamente corridori come De Marchi, Viviani, Ulissi, Trentin, ma una sola affermazione è ben poca cosa. Pare che diversi anni addietro, a livello Juniores, avessimo dei veri fenomeni. A distanza di alcune stagioni si sono rivelati corridori modesti, che in diversi casi sono durati due stagioni. VOTO 3 a Greipel; il tedescone ha beccato una “rosa”, una tappa e poi ciao senza rimpianti. Stessa musica già suonata al Giro in passato da lui e altri colleghi veloci. VOTO 2 a Filippo Pozzato; ha ancora voglia di correre, o era lì solamente per poter dire che al 100° Giro lui c’era? VOTO 1 a Stefano Garzelli; guardando alle cronache del Giro d’Italia di 15 anni addietro (2002), e sentirlo commentare con fare severo verso le due teste di c***o della Bardiani buttati fuori alla partenza di questo, è un prendere in giro gli appassionati. VOTO 0; alle due teste di c***o della Bardiani: Pirazzi e Ruffoni.

lunedì 1 maggio 2017

Maggio; l'editoriale

l rosa è colore delicato, elegante, che sa farsi notare senza essere appariscente. Cento è un numero che a volte sa farsi grande. Come una passione. Bentornato Giro.
“Nel 2009 il Giro d’Italia viveva l’edizione del Centenario. Sulle strade fu un successo mai visto. Tre settimane di strade piene, non solo sulle montagne. Otto anni dopo il Giro numero 100 spera di vivere le stesse fortissime emozioni che arrivarono alla fine del decennio scorso. Si arriva a questo 100° Giro con le fresche tristi emozioni per la morte di Michele Scarponi, e questo ricorda quel Giro del Centenario che partì dalla magnifica Venezia, a un mese dal terremoto che colpì il centro Italia. La terra è ancora tremante in quelle zone cuore d’Italia. E dal cuore d’Italia l’accostamento è facile con il cuore degli appassionati. Quando un edizione tocca un traguardo così grande – cento Giri – i nomi dei possibili protagonisti, e ve ne saranno diversi molto importanti, vengono superati dall’evento stesso. Ci sono i favoriti certo, ma quando vedi quel “100” non puoi non pensare a quello che sono stati i Giri che hanno preceduto questa centesima edizione. Cento è una parola che sembra abbracciarti. Lo fa velocemente, come un vortice che ti stordisce mentre ti stringe, ma per accarezzarti. Cento è un numero che abbinato al rosa fa sognare, fa ricordare quel che fu e quel che fummo anche noi stessi, fa stringere il cuore, magari sospirare, fa raccontare come nessun altro evento sportivo la nostra Storia, perché nessuno sport è mai stato così dipendente dalla vicinanza della gente.”

domenica 23 aprile 2017

I tanti Michele Scarponi di quasi ogni giorno

Si parlerà molto, così come si scriverà tanto ancora, della morte di Scarponi. Michele ha visto il suo tramonto finendo sulle pagine di cronaca. Quasi ogni giorno vi è un Michele Scarponi che se ne va. Sono cifre sempre preoccupanti quelle riguardanti le persone che muoiono sulla strada mentre pedalano. I dati che arrivano dall’Aci e dall’Istat scrivono di un morto ogni 35 ore negli anni dal 2012 al 2015. Dal 2001 sono morte più di 4.500 persone. Senza distinzioni di sesso ed età. La freddezza dei numeri ci trasforma da persone in cifre. Pedoni e ciclisti sono soprannominati gli utenti “deboli” della strada e nella mia città è iniziata, neanche a farlo apposta proprio il giorno della morte del ciclista italiano, una campagna di sensibilizzazione riguardo a questo tema. Le campagne però servono a poco se non vi è una consapevolezza comune su questo argomento. Molti pensano alle città intasate e quindi pericolose (più persone, più veicoli, quindi più possibilità di incidenti), ma molti incidenti gravissimi capitano fuori dai centri urbani. Quando hai davanti strade meno intasate, hai meno persone che ti attraversano la via, e anche quando hai meno ciclisti da superare o incrociare mentre fai la tua strada. La morte di Scarponi lascia sgomenti anche perché non vi è quel moto spesso di grande rabbia provocato da un utente della strada ubriaco, magari drogato, o di ritorno da una notte in bianco che lo ha stremato di bagordi. No. Vi è una gelida semplicità. Una persona stava andando a lavorare, un’altra aveva già iniziato il suo lavoro: pedalare per prepararsi al meglio nella sua attività sportivo-professionistica. Scarponi è morto in una maniera tristemente nota. Quasi quotidiana. Tanto da intristire si, ma che purtroppo ci intristisce senza stupirci.

sabato 1 aprile 2017

Ops!,....dimenticanza.

Visto che non sono mancati servizi tivù e salamecchi molto ruffiani (specie RAI) per celebrare il compleanno numero 50 di codesto amato atleta, pare giusto ricordarlo anche qui. Penso però meglio ricordarlo in maniera semplice con la copertina che più ha dato spazio al "suo" ciclismo. Ch'è poi lo stesso delle persone che lo rincorrono ansimanti per raggiungerlo con lo scopo di fare la foto ricordo per renderlo orgoglioso dell'esempio che ha dato, soprattutto ai giovani.

mercoledì 15 febbraio 2017

Il Giro d'Italia numero 90

L’abruzzese Danilo Di Luca vince il Giro numero 90, corso dal 12 maggio al 3 giugno 2007. Per festeggiare i 200 anni dalla nascita di Giuseppe Garibaldi si partì da Caprera.
Nato ciclisticamente come atleta da corse di un giorno, Danilo Di Luca vince il Giro d’Italia per la squadra Liquigas davanti all’allora giovane talento lussemburghese Andy Schleck. Con 197 corridori partiti, a Milano giungono in 141 dopo 3.489chilometri percorsi. Dopo la tappa che arrivò al Santuario di Nostra Signora della Guardia, la classifica generale faceva vestire di rosa Andrea Noè, che a 38 anni divenne la più anziana maglia rosa del Giro. Di Luca si difenderà bene dagli attacchi di Gilberto Simoni, Riccardo Riccò ed Andy Schleck. Un passo molto importante per la vittoria sarà quello della cronoscalata di Oropa vinta dall’allora tricolore a cronometro Marzio Bruseghin.
Danilo di Luca vivrà in quella vittoria il momento più esaltante della sua carriera, ma quest’ultima verrà rovinata con le traversie doping che riguarderanno lo stesso ciclista negli anni seguenti. Due i casi più gravi: la positività al Giro 2009 – chiuso al 2° posto finale – e comunicata durante i giorni in cui si stava correndo il Tour de France, e una seconda positività registrata durante un altro Giro d’Italia alcuni anni dopo. Durante quel Giro del 2007 il velocista italiano Alessandro Petacchi si vedrà togliere ben cinque vittorie di tappa, per una positività alla sostanza “salbutamolo”.

mercoledì 8 febbraio 2017

Il Giro d'Italia numero 80

Il bergamasco Ivan Gotti vince l’80° Giro d’Italia. Il ciclismo in generale inizierà a dividersi tra entusiasmi sportivi e sospetti fisiologici legati alle prestazioni.
E siamo quasi ai giorni nostri quando lo scalatore di San Pellegrino Terme, Ivan Gotti, vince il Giro del 1997. Dopo decenni in cui la corsa vedeva Vincenzo Torriani come storico patron della gara, al timone del Giro vi era ormai, da alcuni anni, l’avvocato Carmine Castellano. Tra i favoriti di quel Giro vi era lo scalatore italiano Marco Pantani, che a causa di una caduta provocata da un gatto (per altri un cane) che aveva attraversato la strada al passaggio del gruppo dovrà ritirarsi. Il corridore romagnolo vincerà il Giro successivo. Ivan Gotti, passato alla squadra Saeco – che a quel tempo poteva vantare un budget impressionate per l’epoca per una squadra italiana di 8 miliardi di lire – è leader unico. Il Russo Pavel Tonkov – che aveva vinto il Giro l’anno precedente – veste la maglia di leader per 10 giorni. Gotti ‘prende’ la rosa a Cervinia, la difende nei 40 chilometri della cronometro di Cavalese, e a nulla valgono gli attacchi del russo che non riuscirà a riprendersi il simbolo del primato.
Quel Giro partì da Venezia e fu il primo dopo che l’UCI aveva regolarizzato il limite dell’ematocrito al 50%. L’italiano Claudio Chiappucci diventa il primo ciclista, tra quelli di vertice, a dover rinunciare al Giro perché ‘segnava’ un 50,8% al precedente Giro di Romandia. Dopo dei controlli ematici effettuati in Versilia, quattro corridori vengono rispediti a casa. Siamo nel pieno periodo in cui la sostanza EPO arriva quasi ovunque. Talmente tanto che moltissimi professionisti acquistano e imparano ad usare un piccolo apparecchio a batteria chiamato semplicemente “centrifuga”. Questa viene usata per permettere al corridore di potersi auto-controllare sul fronte dell’ematocrito – a meno che non venga beccato con le mai sull’EPO – fino al famoso 50% permesso dai regolamenti. Nessuna epoca del ciclismo sarà condizionata in maniera così pesante per la sua diffusione. Soltanto dal 2000, con i nuovi controlli che arriveranno dalle Olimpiadi di Sidney, in Australia, l’EPO non sparirà ma diventerà ‘sconveniente’ riaprendo la strada alle vecchie emo-trasfusioni.

mercoledì 1 febbraio 2017

Febbraio; l'editoriale

La stagione ciclistica è già lanciata, ben lontana da quel ciclismo che vedeva il suo albore a fine febbraio. Senza squadre italiane di prima fascia, e senza troppe speranze di vederne a breve.
“Ci restano il Giro d’Italia del rinato Basso post emo-doping del 2010, la Vuelta di Nibali lo stesso anno, e la sua ‘formazione’ da talento a campione con la maglia Liquigas. Squadra che nello stesso periodo scovò, lanciò e formò l’attuale due volte iridato Sagan. Dall’altra parte la Lampre che ci ha dato l’ultimo campione del Mondo nel 2008 con Ballan e che ha cercato – fin quando le due parti non hanno pensato ch’era meglio cambiare – di riportare Damiano Cunego ai vertici. Cunego, che registrò la sua ultima grande vittoria con un esaltante tris al Giro di Lombardia appena dopo l’argento iridato alle spalle del già citato Ballan in quel di Varese. Vi sarebbe anche la vittoria a tavolino di Scarponi al Giro 2011, ma quell’affermazione non entusiasmò mai nemmeno lo stesso italiano. Poi ecco la prima, Liquigas, chiudere i battenti con una lenta uscita di scena ‘ammorbidita’dalla fusione con la Cannondale per una stagione, e poi la seconda, Lampre, con un saluto costruito sullo stesso piano ma con l’azienda Merida. Uno dei motivi? Il ciclismo ha costi che ormai sono enormi. Le favole del ciclismo costruito sulla passione vivono solo nei salotti RAI. Servono soldi, tanti e subito, punto. Oggi ci restano i singoli. Il palmares a cinque stelle di Nibali, il talento già vincente di Aru, il talento di Ulissi che sarebbe ora ‘sconfinasse’ ciclisticamente una volta per tutte per non diventare un secondo Pozzato, noto “predestinato” del ciclismo di una dozzina di anni fa per diventare, secondo l’allora idea generale, un grande del Nord per vincere a destra e a manca. Poi ci si ferma lì o poco oltre. Le soventi vittorie di febbraio dei nostri nelle prime corse assolate, in altri continenti, per poi svanire con l’arrivo della primavera e della condizione buona dei nomi più importanti. Ma siamo ai singoli, e guardando all’orizzonte pare che dovremo attaccarci a loro per un pezzo.“

giovedì 26 gennaio 2017

Il Giro d'Italia numero 70

Nel 1987 il Giro d’Italia viene vinto dall’irlandese Stephen Roche, che nel prosieguo della stagione vincerà il Tour e anche il mondiale. Ma quel Giro passerà alla storia per “il tradimento di Sappada”coinvolgendo l’irlandese e l’italiano Roberto Visentini.
Il Giro si prepara alla svolta per diventare da grande puntamento sportivo a grande evento in genere. Nel 1987 la corsa iniziò da Sanremo per chiudersi a Saint Vincent. Una particolarità fu una crono-discesa del Poggio di 8 chilometri di lunghezza vinta da Roche per la squadra Carrera. In rappresentanza di 20 formazioni partirono 180 corridori e conclusero il Giro in 133 per 3.195 chilometri complessivi. Stephen Roche vinse la gara davanti al britannico Robert Millar staccato di 3’40” con il 3° posto dell’olandese Erik Breukink a 4’17”. Tra i partecipanti manca lo statunitense Greg Lemond a causa di un “impallinamento involontario” da parte del cognato, durante una battuta di caccia. Quell’edizione del Giro vive tutta intorno alla squadra italiana Carrera – la formazione ritenuta da tutti come la “corazzata” di quel Giro – che durante la corsa viene spaccata in due dalla fortissima rivalità che esplode tra Stephen Roche e Roberto Visentini. “Il tradimento di Sappada” diventa il ‘caso ciclistico’ più importante nella storia dei Giri d’Italia degli anni ’80. Per completezza, da qui in avanti riporto, con un volgare copia-incolla, il testo di un articolo che io stesso avevo scritto alcuni anni addietro proprio su questa pagina web, e che cercando nell’archivio – chi vuole – può ancora trovare direttamente tra gli articoli del maggio 2012. Per gli altri questa è la copia.
“Il Giro d’Italia del 1987 prevede, il 6 giugno, un’arrivo di tappa nel paese di Sappada in provincia di Belluno. La squadra Carrera gode del favore dei pronostici per la vittoria assoluta della corsa, grazie all’italiano Roberto Visentini che si dimostra competitivo per poter ripetere il successo dell’anno precedente. L’irlandese Stephen Roche è l’altro uomo di riferimento in seno alla squadra italiana, e tra i due si fa strada fin dall’inizio della stagione una diplomatica collaborazione e niente di più. Già dal periodo della Milano-Sanremo gira l’opinione tra gli esperti che “quei due” saranno difficili da mettere d’accordo. Al Giro d’Italia Visentini arriva come detentore della maglia, Stephen Roche come vincitore del Giro di Romandia, ma con una condizione in crescita. Tra imprevisti allunghi da parte di Roche, sopportati per spirito di squadra da Visentini, si arriva alla frazione del Giro che prevede la scalata del Terminillo. Boifava, Direttore Sportivo della Carrera, per allentare la tensione nel suo ambiente s’inventa l’idea di scaricare la colpa sui giornalisti, colpevoli secondo lui di fomentare rivalità. Una voce sempre più insistente racconta che Roche ha ricevuto proposte di sponsor disposti a costruire una formazione attorno a lui. La giornata del Terminillo diventa forse l’inizio dalla fine quando Roche, in rosa, allunga a una decina di chilometri dalla fine. Visentini di certo non può scattare per andare a riprenderlo, col rischio di riportargli addosso gli altri. Ma ecco scattare lo scozzese Millar. Visentini è lesto ad attaccarsi alla ruota. Ripreso Roche, l’irlandese chiede collaborazione all’italiano per allungare ulteriormente e far si che il Giro diventi una questione Carrera. Visentini però non collabora restando sulle sue. La tensione è sempre più palpabile e Boifava cerca per l’ennesima volta di limitare la tensione in seno alla Carrera, dicendo chiaramente ai due che ci si giocherà la maglia rosa nell’ultima settimana dopo aver eliminato gli altri avversari. Dopo una caduta di Roche nella tappa di Termoli, ed una grande cronometro di Visentini a San Marino – con una debacle dell’irlandese – la situazione vede l’italiano in testa con più di due minuti e mezzo sul compagno di squadra. Vista la situazione della classifica generale, ed il distacco tra l’italiano in rosa e l’irlandese, il Giro sembra indirizzato. Sembra. Siamo al 6 giugno e Sappada aspetta il Giro con un’italiano che veste di rosa. Durante le prime fasi della tappa il ciclista belga Bagot scatta e Stephen Roche si porta sulla sua ruota facendo così parte di un gruppetto. È una fuga importante. Roche ha deciso di parteciparvi, visto che della Carrera non c’è nessuno. L’irlandese non tira, perché Visentini è leader della classifica. Boifava lo raggiunge con l’ammiraglia e gli dice di rinunciare all’azione. Roche si limita a rispondere che quello che può fare è non tirare. Che siano quelli del gruppo ad andare a prenderlo. Il vantaggio aumenta, come l’imbarazzo nell’ammiraglia Carrera. Boifava decide di star zitto con Visentini per non provocare discussioni in gara, e fa tirare la Carrera per rientrare sul gruppetto di Roche. La situazione fa si che i nervi di Visentini siano tesi come corde di violino. Roche davanti continua la sua azione e il compagno in rosa, dietro, ha ormai capito l’antifona e crolla. L’italiano molla del tutto e raggiunge il traguardo con sei minuti dall’irlandese. Il palco premiazioni è gelido. I sorrisi, pochi, sono di pura circostanza. Visentini è furioso. Quando supera la linea d’arrivo fa cenno di voler andare sul palco tivù per dare spiegazioni, ma forse un’alito di buonsenso lo fa desistere subito. La sua frase rilasciata al microfono televisivo; “Stasera penso che saranno in tanti ad andare a casa!” mentre si allontana per dirigersi verso l’albergo, vale più di tanti commenti. L’atmosfera in casa Carrera è pesante provocando una vera divisione interna al gruppo, ma ormai il Giro è deciso. Visentini cadrà giorni dopo, si farà male ad un polso e dovrà ritirarsi. Il giorno seguente al discusso esito di Sappada il pubblico italiano prese di mira Roche, sputandogli addosso e insultandolo senza risparmio lungo le salite. Tempo dopo Roche dirà che l’astio tra i due nacque al Giro. Dal fatto che Visentini voleva la squadra per se al Giro, Roche compreso, ma quando fu l’irlandese a chiedere lo stesso a Visentini per aiutarlo al Tour si senti rispondere picche a questa ipotesi, perché dopo il Giro l’italiano voleva andare in vacanza. Tanti anni dopo Visentini dirà che questa cosa fu solamente un grossa menzogna, non risparmiando parole molto pesanti per l’irlandese e per altre persone che correvano e lavoravano alla Carrera. Roberto Visentini, finita la carriera nel 1990, uscì in maniera totale dal ciclismo. Stephen Roche entrò nella leggenda di questo sport in meno di tre mesi, vincendo Giro, Tour e Mondiale su strada proprio in quell’estate del 1987.”

Dopati: perchè condannarli se il pubblico li premia?

Il ‘fenomeno’ Armstrong fa capire perché il doping farà sempre fatica a sparire. Non per Lance, ma per il comportamento nei confronti del doping di moltissimi appassionati.
Ormai quarantacinquenne, il cosiddetto vincitore di sette Tour può servire per capire di come il doping sarà una questione sempre aperta. La carriera di Armstrong è andata in pezzi alcuni anni addietro, quando fu lui stesso a rivelare l’uso continuato di prodotti doping nei suoi anni più vincenti. Chi è oggi Lance? Un ex ciclista dopato, rappresentante della truffa ciclistica più grande che si ricordi, ma che pedala con 200 persone “raccolte” in quattro e quattro otto tramite social in Nuova Zelanda e, come da foto Gazzetta, circondato da ciclo-amatori in fila per foto ricordo e autografi sulla maglietta. Ecco, lasciamo un momento Armstrong. Giriamo l’obiettivo della nostra ideale telecamera e guardiamo gli appassionati che si mettono in paziente attesa intorno a lui. L’Epo?: dimenticato. Le balle colossali dette per anni?: dimenticate. Le accuse verso persone che lui sapeva avessero ragione?: dimenticate. Quindi che si fa? Ci si mette in fila per avere l’autografo di un dopato reo confesso. Perché chiedersi come mai vi sono persone che si dopano, quando gli stessi appassionati per richiedere la foto, la firma, aspettano diligentemente il loro turno? Un tempo doparsi voleva dire ingannare volutamente gli altri concorrenti alla manifestazione a cui partecipavi. Una truffa. Sportiva, ma sempre di truffa si trattava. Voleva dire insultare indirettamente gli appassionati a bordo strada. Prenderli in giro. Ma perché il ragazzino quindicenne dovrebbe rinunciare a tentare la via della truffa usando prodotti dopanti, quando vede che un ex-dopato storico del ciclismo viene rincorso per un autografo e una foto ricordo? Ho sbagliato tutto. Perché condannare le tivù che chiamano al microfono con il ruolo di commentatori ex ciclisti con passati conditi da magagne doping? Onestà? Ma dove ho vissuto fino a oggi? Dovremmo invece ringraziarli per questo. Penso a Suor Alessandra. Lei aveva capito tutto, fin da subito. Noi appassionati amiamo essere trattati come imbecilli coglioni. E lei, capendolo, lo fa perché ci ama. Grazie alla Suora e a tutti i suoi confratelli del Convento della Sacra Omertà, e grazie a tutti quegli appassionati che al famoso ragazzino quindicenne hanno mandato questo bellissimo messaggio; “Dopati figliolo, e non preoccuparti. Dimenticheremo sempre quel che avrai fatto! E se ne avremo la possibilità ti chiederemo anche una foto assieme.”

Il Giro d'Italia numero 60

Arrivato ormai nell’epoca moderna, il 60° Giro, corso nel 1977, viene vinto dal belga Michel Pollentier. Di lì a poco inizierà la rivalità tutta italiana Moser-Saronni.
Con 140 corridori al via in rappresentanza di 14 squadre, dopo 3.968 chilometri di corsa è il belga Pollentier ad avere la meglio davanti all’italiano Francesco Moser e GianBattista Baronchelli. Quell’edizione vedrà l’iridato Maertens grande protagonista perché vincitore di sette vittorie di tappa in soli nove giorni! Maertens dovrà ritirarsi a causa di una caduta con Van Linden in volata all’autodromo del Mugello. Ma in quel periodo il ciclismo non ha dei nomi di riferimento si cui poggiare. Finiti gli anni buoni di Merckx e Gimondi, con quest’ultimo che aveva vinto il suo 3° Giro l’anno prima, con la stella di Bernard Hinault di lì ad arrivare, si cercava qualche nome che ridestasse la passione del pubblico.
Questa cosa sarebbe arrivata di lì a poco quando un affermatissimo talento italiano, il trentino Francesco Moser, avrebbe incrociato i pedali con il giovane ciclista novarese Giuseppe Saronni. Entrambi sarebbero stati gli atleti di riferimento per il ciclismo italiano fino alla metà degli anni ’80, ed entrambi avrebbero vinto quasi tutte le gare tra le più importanti. I due non si sopportavano e non mancavano stilettate o discussioni che fecero la felicità di giornali e tivù. Forse tutto questo fu provocato dal fatto che quando Moser aveva già iniziato a raccogliere vittorie importanti nella seconda metà degli anni ’70, e sembrava così ben avviato a raccogliere l’eredità lasciata da Gimondi dal punto di vista della considerazione e ammirazione del pubblico, arrivò questo “ragazzino” considerato un po’ impertinente che a soli 22 anni vinse il Giro del 1979 facendo capire che Moser avrebbe dovuto dividere la sua popolarità con il giovane connazionale.

giovedì 5 gennaio 2017

Il Giro d'Italia numero 50

La 50^ corsa rosa viene vinta da Felice Gimondi, che diverrà uno dei ciclisti italiani più celebri. In quella edizione debutta un giovane ciclista belga, di nome Eddy Merckx, che a 21 anni aveva appena vinto Sanremo, Freccia Vallone e Gand Wevelgem.
Nel 1967, difendendo i colori della squadra Salvarani, è Felice Gimondi a imporsi nella cinquantesima edizione della gara. La corsa si corre dal 20 maggio all’11 giugno, con 130 partecipanti e 70 corridori arrivati a Milano. Dietro a Gimondi chiudono l’italiano Franco Balmamion, staccato di 3’36”, ed al 3° posto Jacques Anquetil a 3’45”. Quell’edizione viene consegnata alla storia come quella dove le Tre Cime di Lavaredo vengono battezzate ”le montagne del disonore” dalla penna di Bruno Raschi. Questo succede quando la frazione che le vede arrivo di tappa viene annullata dall’organizzazione a causa della moltitudine di spinte, che quasi tutti i corridori ricevono continuamente dal pubblico assiepato a bordo strada. Se a cancellare le Tre Cime di Lavaredo ci hanno quindi pensato gli spettatori, a cancellare lo Stelvio ci pensa la neve. Gimondi aveva vinto il Tour de France l’anno precedente. Rivincerà il Giro due anni dopo e nel 1976.
Ormai il ciclismo sta uscendo dal bianco e nero. Saranno anche gli anni in cui si comincerà a parlare di doping senza più la facile ironia dei decenni precedenti, tutt’altro. Lentamente, ma continuamente, vi sarà l’evolversi di questa “piaga” sportiva che nell’arco dei successivi 30 anni assumerà proporzioni pesanti, tanto da falsare la disciplina. Il primo ciclista dopato al Giro (o meglio, trovato dopato) è il belga Victor Van Schil, gregario di Merckx nel 1968, nel 1969 sarà Merckx ad essere squalificato in maglia rosa. Seguiranno altre situazioni pesanti: Gianni Motta nel 1971 riceve 10 minuti di penalizzazione per positività alla “metil-efedrina”, nel 1985 arriva il divieto dell’emo-trasfusione usata da Moser nell’anno magico, il 1984, perchè ancora non vietata. Il pensiero principe recita; “Se non è scritto che una cosa è vietata dov’è il problema?”. Il centro di medicina sportiva di Ferrara, diretto dal professor Conconi, diventa il più famoso al mondo. Tutti i migliori ciclisti degli anni ’80 e ’90 vi passano, italiani e non. Negli anni ’90 arriva l’EPO e sarà il disastro. Il suo uso nel ciclismo sarà enorme, ma siccome all’antidoping non è ancora possibile rilevarne la presenza, per tutto il decennio molti corridori la faranno franca.
Nel 1998, due italiani Miceli e Forconi della squadra Mercatone –Uno sono espulsi dal Giro per ematocrito alto, per la stessa motivazione viene fermato Marco Pantani l’anno dopo sempre al Giro. Nel Giro del 2001, a Sanremo, i NAS e la Guardia di Finanza arrivano e perquisiscono per tutta la notte le stanze dei 143 ciclisti ancora in gara. Se ne vanno con una quantità impressionante di farmaci di ogni tipo. Il 2002 è un altro anno pesantissimo per il Giro: Nicola Chiesini è il primo ciclista arrestato al Giro, pochi giorni dopo viene rintracciato e arrestato anche Domenico Romano. Stefano Garzelli – in maglia rosa – viene espulso dalla corsa per positività alla Liegi corsa due settimane prima, ed anche Gilberto Simoni viene trovato positivo alla cocaina, che spiegherà figlia della cure del dentista per poi riuscire a salvarsi cambiando versione, dicendo che la cocaina era presente nelle caramelle di una sua zia di nome Giacinta. Gli anni successivi si passa dall’EPO alla Cera (un EPO di evoluta generazione scientifica) ma le cose non cambiano molto: Emanuele Sella nel 2008, vincitore della maglia verde con una settimana di anticipo, Danilo Di Luca nel 2009, che chiuse il Giro al secondo posto, solo per citare due casi tra i più tristi per il nostro ciclismo in quel periodo. Finche in questo decennio viene concessa l’autorizzazione a controllare vecchie fialette degli anni ’90, per capire quanto i nuovi metodi di ricerca siano validi. I risultati delle gare non possono essere più cambiati (a meno di confessione, dopo alcuni anni il reato decade), ma i risultati sono incredibili per il numero di corridori che al tempo sarebbero stati rispediti a casa, senza distinzioni tra italiani, stranieri, campioni fra i più grandi e gregari tra i più applauditi.

domenica 1 gennaio 2017

Il Giro d'Italia numero 40

Con lo svolgersi nel 1957 della sua 40^ edizione, ormai il Giro d’Italia è una manifestazione consolidata. Così come consolidata è l’Italia stessa che vive l’epoca del famoso “boom” economico.
Nelle case degli italiani iniziano ad apparire degli enormi marchingegni chiamati elettrodomestici, le strade iniziano a conoscere un fenomeno chiamato traffico, le famiglie sentono parlare di ferie d’agosto, le radio inizieranno a diventare sempre più un soprammobile nelle case delle famiglie ricche perché arrivano i televisori, le campagne si svuotano e si riempiono le fabbriche, i contadini diventano operai. In questa Italia figlia del “boom” economico all’inizio del suo esistere (e che durerà un’altra decina d’anni), il Giro viene vinto da Gastone Nencini davanti a Louis Bobet staccato di soli 19”. Al terzo posto Ercole Baldini ed al quarto il lussemburghese Charly Gaul. Corso dal 18 maggio all’8 giugno Milano è sede di arrivo e partenza. Le squadre partecipanti sono 15, i corridori al via 119, quelli che finiranno la corsa 79.
Bartali, Magni, Coppi sono ormai campioni del passato. La corsa vive il suo episodio principe in maniera curiosa. Nella frazione che aveva nel Bondone il suo teatro principale, Charly Gaul si ferma in una piantagione di uliveti nella zona della Gardesana per far pipì. Gastone Nencini non si lascia scappare l’occasione e decide di attaccarlo per portargli via la maglia rosa. Riuscirà nel suo intento e a Milano sarà l’italiano a festeggiare. Gli anni ’50 del Giro sono raccontati e conosciuti meno rispetto al decennio precedente. Forse la mancanza di assi del calibro di Bartali, Magni e Coppi porta questa tendenza. Forse anche perché sarà solo dal decennio dopo che la tivù guadagnerà spazio con la trasmissione del “Processo alla Tappa” del giornalista Sergio Wolmar Zavoli. Negli anni ’50 (per la precisione nel 1954) la RAI mandò in diretta gli ultimi 300 metri della Milano-Sanremo. Il “Processo alla Tappa” cominciò alla radio nel 1958. Quattro anni dopo (1962) diventò il notissimo programma televisivo.

Il Giro d'Italia numero 30

Nella seconda metà degli anni ’40 il Giro vive la rivalità fra Gino Bartali e Angelo Fausto Coppi. Sarà il secondo di questi a vincere il 30° Giro d’Italia nel 1947.
Il Giro comincia a diventare grande toccando la 30^ edizione. Distrutta dal secondo conflitto mondiale l’Italia si divide tra Bartali e Coppi. In quella edizione lo starter d’eccezione a Milano fu Luigi Ganna, il primo vincitore della corsa. In una delle frazioni in programma, la Perugia-Roma, i corridori percorrono il tragitto previsto pedalando molto lentamente per protestare contro la presenza, a loro dire, delle troppe strade sterrate. Cominciato a Milano il 24 maggio il Giro si chiuderà sempre a Milano il 15 giugno. Ormai diventato una corsa di tre settimane, la gara annovera 20 frazioni. I chilometri totali sono 3.843 per 192 chilometri giornalieri di media. Fausto Coppi vince con la squadra Bianchi alla media di 33,1 km/h., 2° Gino Bartali a 1’43”, 3° Giulio Bresci a 4’54”.
Una cosa che ancora contraddistingueva i Giri di quell’epoca era la carente – se non inesistente – possibilità di effettuare dei trasferimenti. Le località di arrivo delle varie tappe erano sempre i luoghi di partenza la mattina dopo. Non vi era la facilità di spostarsi da un posto all’altro come oggi, dove abbiamo giornate di corsa in cui i chilometri di trasferimento a volte superano quelli da percorrere pedalando. L’edizione numero 30 si aprì con il lutto al braccio per la morte di Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport dal 1922 al 1936.