«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

domenica 29 dicembre 2013

O adesso o mai più?

SOTTO L’ALBERO DELLA FEDERCICLISMO TROVIAMO LE DIMISSIONI DI PAOLO BETTINI. LA COSA CHE PIU’ TRASPARE? POCHE LACRIME DA ENTRAMBE LE PARTI.
Una storiella ciclistica che in estate aveva assunto i connotati di una telenovela sudamericana di secondo piano, si chiude senza troppi fazzoletti da stendere ad asciugare. La prossima avventura di Paolo Bettini vedrà riflessi giallo-rossi, ma non parliamo certo di pallone capitolino. Bettini lascia l’ammiraglia azzurra dopo stagioni precarie sul versante fiducia e mediocri nel bilancio complessivo dei risultati. Ripartirà dal progetto che vede il pilota Ferrari Fernando Alonso come artefice di primo piano, in un programma ciclistico che dovrebbe perdurare un lustro. Al posto del bi-Campione del Mondo toscano, Sciandri viene riportato in pole position, e per la milionesima volta viene rimesso in lista pretendenti Davide Cassani. Quest’ultimo rinuncerà al microfono RAI per guadagnare meno e venir criticato di più? Non è detto sia così. A parte Rasmussen, Cassani si è fatto molti amici nell’ambiente. Molto competente dal punto di vista ciclistico, il suo mai criticare – e quando lo ha fatto mai pesantemente – lo metterebbe in condizione di essere un CT paciere molto buono per i rapporti tra FCI e stampa. Amico di 1000 giornalisti, ha trovato un posto fisso nella tivù di Stato un quarto d’ora dopo essere uscito dalla Mercatone Uno di Gimondi e Pezzi verso la fine degli anni ‘90. Se quelli dell’FCI andassero a chiedere un parere a Martini – cosa fatta in maniera silenziosamente ‘ufficiosa’ per Ballerini prima e Bettini poi – avrebbe già in mano le chiavi della Skoda color argento. Insomma, basta che dica “Ok!” e la Nazionale è sua.

mercoledì 4 dicembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (5^ p.)

LA BICI STA DIVENTANDO PIU’ PRESENTE NEL NOSTRO QUOTIDIANO? EVVIVA! MA CHE NON DIVENGA UNA SORTA DI ‘FIGHETTI PRODUCTIONS CITY ENTERTAINMENT’.
Seguendo, lavorando, collaborando (ed a volte sacramentando) per questioni ciclistico/ambientali con altre realtà associative – per menzionare quelle più note FIAB e WWF – la bicicletta prende spesso il ruolo di protagonista, quando le nostre rispettive agende di lavoro (chiamiamole così per darci più importanza di quel che è) s’incrociano per questo o quel progetto. Tutta roba che, come i pedali e le ruote, gira e rigira intorno al veicolo bicicletta. Che si siano vendute più biciclette in questi due anni è cosa buona, basta che non si usi questa notizia in maniera meramente propagandistica, come troppo spesso è capitato in quest’ultimo anno. Con la crisi paurosa del settore automobilistico – tradotto; soldi che mancano nelle tasche – e con il prezzo ulteriormente maturato dal carburante in questi ultimi cinque anni, questo ‘sorpasso’ non era un traguardo così impossibile da raggiungere. Fatto sta che la bici ha guadagnato punti anche a livello urbanistico, ma purtroppo questa situazione sta sviluppando in questi ultimi anni un mercato che in molti casi è dell’inutile acquisto. Sono tornate di moda (brutta parola) le biciclette ‘nude’ con il vecchio freno a pedale. Ridotte all’essenziale – e che è meglio usare dopo un pelo di pratica per la funzione frenante – costano come un ciclo munito di ogni accessorio, alcune anche di più grazie a pubblicità mirate ad una clientela ‘under 30’ sfoggiando magari marchi che storicamente con la bicicletta hanno condiviso ben poco.
Se questa visione della bicicletta inizierà ad irrobustirsi dal punto di vista dell’immagine (scorrazzare pedalando in un mondo ovunque strapieno di macchine ti fa certamente notare), c’è il rischio che tra quattro o cinque anni garage e cantine inizino a riempirsi di questi veicoli oggi alla moda. Con il risultato che però nello scantinato non trovino poi spazio, perché già occupato da una vecchia parente. Difatti è impressionante il numero di vecchie biciclette che – con 30 o meno euro di spesa – potrebbero tornare efficienti com’erano un tempo. Il Corsera del novembre 2008 riportava che in quel periodo tra Mountain Bike – tantissime quelle comprate nuove e poi nel concreto usate davvero poco, per la felicità dei portafogli che un bel giorno sono stati aperti più per moda che non per vera necessità – bici della mamma, bici del papà e vecchie e gloriose Graziella, il numero di biciclette dormienti ed impolverate in cantine o garage italiani sfiorava la trentina di milioni di esemplari. A pensarci un momento è un numero spaventoso, anche se di queste un 30% fossero inutilizzabili. Questo perché siamo una Nazione di ciclisti della domenica. La faticata in bici è lo svago del giorno di festa o del giorno di vacanza in cui vogliamo sentirci diversi dal solito (forse più giovani?). Tra il 2000 ed il 2008 la benzina è quasi raddoppiata, ma solamente adesso stiamo pensando a riusare le gambe. Perché stiamo coltivando un pensiero ecologista? Diciamo più che altro che stiamo vicini alla canna del gas.
Volere la bicicletta ‘del momento’ da poter sfoggiare tra le gambe – non il massimo dell’eleganza nel dirlo, ma se ci pensate è proprio così – può dare soddisfazione. Ma ragioniamo se (senza ricorrere a mezzi del 15’/18’) possiamo ritrovare e rinvigorire la vecchia bici che abbiamo sotto un lenzuolo appoggiata al muro del garage, che sfioriamo ogni giorno quando mettiamo la macchina nel box, e che da due anni notiamo grazie ad un pezzo di ruota sgonfia con le ragnatele tra i raggi, che spunta da quel lenzuolo troppo corto per coprirla interamente. Chi scrive a volte si sposta ‘urbanamente’ con una vecchia bicicletta anni ’80 (nella foto), la cui sella – cambiata due anni fa perché quella vecchia faceva schifo a guardarla da com’era ormai ridotta – vale tutto il resto della bici stessa. Ruota posteriore rigorosamente scentrata, com’era regola ‘non scritta’ per quel tipo di bicicletta in quegli anni. La ruggine non manca, il cambio (un glorioso 4 marce) meglio usarlo solo quando veramente necessario, il tutto accompagnato da un vecchio portapacchi con molla appena dietro la sella, mentre i freni sono auto-urlanti. Questo veicolo credo stia insieme per volere dello Spirito Santo e di certo non mi fa figo da come sta ridotta. L’importante è che questa riscoperta del velocipede non sia strettamente legata al mezzo ‘in’, altrimenti rischiamo di ritrovarci con una mentalità a tempo determinato, e gli unici che alla lunga ne avranno tratto un concreto vantaggio saranno stati i negozianti.

sabato 23 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (4^ p.)

LO VIVO A META’ STRADA TRA L’INSOPPORTABILITA’ E LA NON COMPRENSIONE. TRA LA VOGLIA DI MANDARE UNA MALAPAROLA E QUELLA DI CHIEDERE “COME MAI?”. DI CHE PARLO? DEI PRATICANTI SPORT MP3-DIPENDENTI.
Quando pedalo entro in una specie di catalessi ciclistica chiamata “Il mio ciclismo”. È una sconfinata galassia in cui ogni mio senso si decuplica, dove supero le porte della percezione, ed è fatta di tutte quelle cose che rompono le balle alla stragrande maggioranza dei ciclisti e cicliste della domenica. Qualche esempio: 1) usare le piste ciclabili (specifico: quelle che sono pensate con la testa e non con il sedere) 2) usare il casco anche in salita e quando fa freddo 3) stare fermo con il semaforo rosso per lavori sulla sede stradale finché non arriva il verde, anche se lo stesso semaforo è su una strada su cui transita un’automobile ogni tre giorni 4) quando ho finito un qualche Passo me ne frega un c***o di quanto ci ho messo 5) rallentare lungo una salita per attendere ciclisti sconosciuti e scambiarci due parole. Tutte cose inaccettabili perché non inseguono l’ormai obbligatoria strada dell’emulazione, soprattutto nei punti 1 e 5 perché abbassano la media sul contachilometri e questa è una bestemmia. Questi pochi punti sono sufficienti a garantirmi il fatto di pedalare sempre da solo, cosa che certamente non mi piace. Spesso incrocio e magari supero (ebbene si, succede anche questo!) persone che pedalano, corrono, camminano con le loro microcuffie ficcate nelle orecchie. Siccome la musica è la mia prima passione da un lato li comprendo. Mi è già capitato di parlare con qualcuno mentre pedalavo, per poi vedere che la persona, per rispondermi, deve togliersi una delle due cuffiette e chiedermi di ripetere. La soddisfazione di capire che in quel momento non hanno capito una frasca quel che hai detto è sempre bella. A volte avevo con me la mazza da baseball e ho risolto all’antica. Ma poi – mentre magari ripulisco l’asfalto per non lasciare tracce – mi domando come mai l’ascolto del proprio corpo diventi meno importante della chitarra di Tizio e della voce di Caio dei “Sempronio Boys”.
Che la musica possa essere rilassante è come scrivere dell’acqua calda. Che poi esista il lato riguardante la sicurezza stradale questo si sa ch’è relativo alla singola persona, perché siamo pieni di gente che pedala e corre sicura del fatto che sono gli altri ad essere disattenti, noi non lo siamo mai, e quindi non ci capiterà mai niente. C’è questa sensazione di voler dire la mondo “Non rompermi le balle!” e di cercare una solitudine non solo fisica (la strada che passa per il paesino senza un’anima, il sentiero che s’inoltra nella profondità del bosco), ma anche una solitudine d’animo. Certamente viviamo in un periodo sempre più pieno di gente che preferisce parlare tramite il PC con persone che conosce più ‘informaticamente’ che non di persona. Che vive rinchiusa in casa davanti alla tivù o davanti al PC, e quando esce ‘deve’ evitare il fatto di restare più di 15 minuti senza cellulare in mano per contattare gli altri essere informatici bipedi viventi che ha nelle liste degli amici (vedi Facebook). Quindi si può ipotizzare che queste persone MP3-dipendenti cerchino la totale solitudine per non rischiare di dover avere a che fare con il mondo delle persone umane. Probabilmente non hanno mai conosciuto la solitudine vera ma solo quella a comando ON/OFF. Oppure quella solitudine gli piace e cercano di ritrovarla. Emanano tristezza, ma se amano vivere lo sport in questo modo giusto continuino.

lunedì 18 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (3^ p.)

“GODITI LA PEDALATA, ANZI ASPETTA, ORMAI CHE CI SEI FAI LE RIPETUTE, ANZI NO, GUARDA CHE PANORAMI TUTTO INTORNO E ORMAI PREPARIAMOCI ALL’INVERNO ATTIVO PER ESSER PRONTI A FEBBRAIO” …E CHE C***O!!!
Eccoci a novembre, mese che si porta via gli ultimi colori. Periodo in cui si torna (scrivendo a titolo personale) a riaprire vecchie riviste ciclistico/amatoriali, mentre è iniziato il conto alla rovescia per le ultime uscite gira-gambe. Trovi l’articolo che parla ed esalta il praticare ciclismo prendendosi il proprio tempo, che elogia il ciclista che vive la fatica con passione, con spazio a consigli per rendere – nel limite delle possibilità – il più confortevole possibile la propria bicicletta, in maniera che le ore di fatica non siano solamente quest’ultima cosa. E io penso ch’era ora finalmente il ciclismo sia veramente per tutti. Giri pagina è trovi scritto che se sei poco allenato non devi allenarti meglio avendo un po’ di pazienza finché ti sentirai pronto, ma; “….se adotterai un’accorta strategia di corsa e la seguirai riuscirai ad ottenere un buon risultato.” Ma non dovevi goderti i panorami?!
Avanti con le pagine e si legge delle uscite invernali che devono essere vissute in maniera più rilassata, per cui: “…due o tre uscite settimanali che non superino le tre ore possono bastare” , Domanda: dall’inizio di marzo quale sarà il programma del ciclista rilassato? Otto uscite in tre giorni, di cui due notturne? Il divertimento continua con i consigli per non stressare la mente nel periodo di “riposo attivo”. Infatti, ecco che se il tempo tende al brutto la bici può attendere (e meno male….) che tanto; “…un paio di sedute a settimana in palestra, che non superino l’ora e mezza, se ben organizzate….” E a lavorare, al posto nostro ci mandiamo il vicino di casa, che noi non c’abbiamo mica tempo, visto che dobbiamo perfezionare e approfondire quel fottuto stramaledetto discorso del: “...carico massimale e frequenza cardiaca”. Finché si arriva al pedalare in gruppo. Qui si riparte col discorso che il pedalare in gruppo a velocità moderata (scommettiamo che per ‘moderata’ intendono una media intorno ai 25?) è occasione per; “…scambiare impressioni sulla stagione appena passata – ma non dovevamo staccare la spina? – e poter valutare con altri le personali metodologie di allenamento, ed altri aspetti legati all’attività” oppure, per non farsi mancare niente, ecco che con la chiusura della stagione si possono fare delle conclusioni sull’annata ciclistica appena conclusa in maniera che così si possa “…inquadrare meglio, a mente fredda, la prossima e capire dov’è possibile migliorare o se valutare il cambio di alcuni obiettivi”.
Ok, ci siamo capiti: 1) se avete un lavoro valutate (magari proprio con questi famosi altri) se licenziarvi per non rischiare di essere stanchi quando la sera andrete in palestra; 2) se avete famiglia valutate pure se divorziare per non saltare gli appuntamenti importanti del calendario nel fine settimana; 3) ricordate che alcune GF vi costringeranno a partire il sabato pomeriggio a causa della distanza da casa, quindi non scordate l’eventuale ipotesi di poter vendere anche i figli per togliervi ogni pensiero, oppure scambiateli con il vostro meccanico di fiducia per una coppia di ruote leggere per i percorsi che in alcune granfondo mettono davanti molta salita; 4) prima di una corsa ragionate (anche in piena notte, ogni minuto perso può costarvi posizioni) sulla strategia di gara e seguitela con attenzione, in maniera che il ciclismo sia vissuto senza esasperazioni e in maniera naturale; 5) ricordate che adesso, con l’inverno, dovrete staccare la spina. Per questo motivo niente di meglio che nelle vostre pedalate invernali parliate ancor più di questioni tecniche – meglio ancora se approfondite con precise nozioni di Scienze Motorie – con il vostro gruppo d’allenamento. Tutte queste cose vi permetteranno di vivere l’attività ciclistica in maniera spensierata, schietta, a misura di persona, e potrete fare a meno di dar retta a qualche stronzo di passaggio che nel suo blog scrive di ciclismo pane & salame.

sabato 9 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

MANCHEREBBERO SOLO DEI TIZI CON LE ORECCHIE A PUNTA O UN ALTRO CHE DICE; “SIGNOR SGARBOZZA, QUATTRO DA FAR RISALIRE”, POI CI SAREMMO ANCHE. SE NON FOSSE CHE OGGI VIGE UN CICLISMO SEMPRE PIU’ IMPOSSIBILE.
Avete mai visto quelle scene, solitamente rappresentate in qualche film di fantascienza, dove dentro spaziosi saloni poco illuminati da tenui luci verdognole ci sono esseri umani rinchiusi magari da tempo dentro grandi campane trasparenti che li conservano negli anni? E c’è lo scienziato lucidamente pazzo che spiega cosa sono quelle cose che altri visitatori stanno guardando? Mica serve andare in un set cinematografico per queste cose, e nemmeno aspettare il futuro con tutto il suo progresso. Torniamo sulla Terra e immaginate dei ciclisti apparentemente dormienti stesi su dei lettini con una scatola di plastica trasparente che rinchiude perfettamente il capo, e che respirano ed inspirano grazie ad un tubo flessibile in plastica del diametro di circa 3 centimetri. Questo flessibile inizia dalla scatola-contieni-cranio e finisce dentro una sofisticata apparecchiatura elettronica, a sua volta collegata ad un PC che registra in tempo reale i dati che vengono raccolti respiro dopo respiro. Questo poco prima di una corsa, mica nel periodo invernale quando sugli atleti si susseguono test e prove fisiche d’ogni tipo. La macchina in questione si chiama Metabolimetro ed è uno degli ‘attrezzi di lavoro’ dei medici che oggi lavorano del ciclismo di alto livello. Un metodo medico/tecnologico/scientifico che serve a capire il grado di affaticamento raggiunto dall’atleta, e quale debba essere la dieta migliore per quest’ultimo nei giorni di corsa che ancora seguiranno. E così – mentre con il tele-trasporto il signor Sgarbozza fa puntualmente incazzare il Comandante Picard perché continua a far riapparire i componenti dell’Enterprise nei cessi della nave invece che nella sala preposta – si può capire come la fatica del ciclista non sia più calcolata solamente mentre pedala. Tutto questo perché oggi il ciclista non ha praticamente pause.
Durante il Giro d’Italia del 2011, la squadra ciclistica Radio Shack ha fatto duemilacinquecento chilometri per trasferimenti vari (alberghi, zone di partenza). Aggiunti agli allora 3.500 pedalati la cifra complessiva è impressionante quando coperta in sole 3 settimane. Non è un dato secondario che oggi il ciclista trovi nei trasferimenti una fonte di stanchezza molto forte. Del resto gli organizzatori dei Grandi Giri devono rispettare tempi stabiliti da contratti meramente commerciali (leggi: televisione). Le frazioni non devono mai arrivare prima delle 17:00 pena una probabile carenza di spettatori davanti la tivù. Per questo le tappe oggi partono raramente prima delle 11:00 del mattino. Si può (forse) partire prima solo in caso di tappe che prevedono almeno 200 chilometri, con 3 o 4 montagne lungo il percorso. I lussuosi autobus che oggi hanno in dotazione tutte le squadre di alto livello danno un buon comfort grazie a una o due docce a disposizione, possibilità di bere qualcosa di caldo nelle giornate fredde, sedili molto comodi, un minimo di angolo cucina per dare qualcosa da mettere sullo stomaco ai ragazzi (riso e patate lesse sono presenti a carriole nel primo dopo-tappa di alcune squadre). Ma quando ti devi fare un’ora di bus tra strade trafficate e di montagna non è poca cosa in un’economia di sforzo globale lunga 22 giorni. Fino a venti anni addietro i ciclisti riuscivano ad arrivare negli alberghi nel tardo pomeriggio, mentre oggi arrivarci alle 19:00 è già una vittoria. Ormai è la prassi vedere i capitani e gli uomini comunque considerati di punta, che godono del privilegio di poter fare prima i massaggi, e finire la cena quando altri compagni di squadra si sono appena accomodati a tavola. Insomma, se siete al rientro dopo una giornata appresso il Giro sul Passo del Cassani, e quando arrivati a casa vi sedete in poltrona giusto in tempo per guardarvi TGiro, forse chi vedete pedalare nelle immagini tivù non si è seduto in poltrona così tanto tempo prima di voi. Con buona pace del signor Sgarbozza e delle bestemmie del Comandante Picard in dialetto Klingon.

martedì 5 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (1^ p.)

E RIECCO IL PERIODO DEDICATO ALLA BICICLETTA LONTANA DALLA STRETTA ATTUALITA’. STAVOLTA PER PARLARE DI CHI DAL CICLISMO E’ SCAPPATO, O DI CHI CERCA (IN OGNI IL MODO) DI FARE IL CONTRARIO.
Partiamo da diversi anni addietro e andiamo a ricordare un ex talento del nostro ciclismo, uno di quelli che come si dice erano predestinati, che prima o poi doveva fare il botto nel senso buono del termine. Nel 2007 Giuliano Fugueras aveva 31 anni, ed era quindi nel periodo considerato migliore per la carriera ciclistica. Un’intervista del tempo, a firma di Luigi Perna della Gazzetta, ce lo raccontava ingrassato di 10 chili in 5 mesi: due chili al mese, media perfetta. Aveva deciso di mollare tutto, questo si di botto. “Ero solo stanco. Logoro. Stufo di alzarmi ogni mattina per fare 6-7 ore in bici. È molto semplice: mi sono "scocciato" di fare il corridore e ho deciso di smettere. Quello che dovevo dare al ciclismo l’ho dato" disse al giornalista della rosea. “Mi era venuta la nausea. È stato difficile accettare il distacco, perché sono una persona molto sensibile. Ho anche chiesto l’aiuto di uno psicologo. Ma questa depressione non è stata la causa dell’addio, semmai la conseguenza". Sul discorso doping precisò che: "Non è stata la necessità del compromesso a farmi smettere. Quello è qualcosa che esiste e che da corridore accetti. È brutto dirlo, ma è la realtà. Spetta a chi comanda il ciclismo eliminare la possibilità di scorciatoie. Ma io resto innamorato di questo sport e so che un giorno lo rimpiangerò" Chiuse con le idee chiare sul fatto che: “Nel ciclismo lavorerei solo con i giovani. Tra i pro' ci sono facce che non voglio più vedere" Questo fu il commiato di Figueras dal plotone. E risalta il fatto di quelle “facce che non voglio più vedere” che forse furono il vero motivo del non avere voglia di continuare a faticare insieme. Questo il pianeta da cui decise di andarsene il ciclista italiano. Pianeta che invece un’altro italiano, Davide Rebellin, non vuole abbandonare. E da questo lato con le idee ben chiare al riguardo. Il veneto non era un ciclista da poco. Quando correva i Mondiali era spesso la penultima carta da giocare nel finale per lanciare Bettini. A lui resta un tris di vittorie da leggenda nelle Ardenne, a cui aggiungere altre due Freccia Vallone, se non le avesse sporcato tutto con un record che speriamo rimanga imbattuto, quello del primo e fin’ora unico medagliato olimpico italiano ad aver subito poi una squalifica per doping (un’altro atleta, marciatore trentino, che mangiava decine di barrette Kinder ogni giorno e latte a secchiate, il titolo del 2008 ce l’ha ancora). Rebellin – 42 anni compiuti – durante il Giro del trentino scambiò due parole con Marco Bonarrigo di CyclingPro: “Non mi va più di parlare di quella storia. È stata troppo dolorosa.” In questi giorni è iniziata nei suoi confronti l’indagine per doping e per evasione fiscale – quando risiedeva a Montecarlo mentre la famiglia faceva la spesa quotidiana e si faceva mandare la posta in quel di Galliera Veneta – e sulle corse è convinto che nonostante i suoi 42 anni: “…sono integro, ho anni davanti. Vorrei essere un modello per i giovani, magari nel ruolo di allenatore”.
Chi parla assunse, nel dettaglio, ‘Eritropoietina, specialità Mircera di Roche classe ormoni’ e al contrario di Figueras, che stufo decise di dir basta, cerca invece di rimanere attaccato al mondo dello sport ed è anche imbarazzante che ad evidenziare ed esprimere una passione così forte per lo sport, sia una persona che allo sport ha solo fatto del male con la via dell’imbroglio. Non è l’unico atleta che smessa l’attività sportiva, e quindi la vita da sportivo, ha cercato di riciclarsi in altri ruoli ma sempre nel medesimo ambiente. Cipollini tornò anche a correre per un periodo di pochi mesi poi mollò nuovamente, successivamente si mise a fare il presunto preparatore atletico per il team femminile della MCipollini, tant’è che fu l’unica occasione in cui il TG sportivo RAI fece un servizio su di una squadra ciclistica di donne (da notare: non per parlare delle ragazze, ma perché Re Imbroglione – pieno fino alle orecchie come da Gazzetta di febbraio – si era messo a dir loro come ci si prepara fisicamente). Non contento, Cipollini meditò ancora un’altro ritorno per correre due settimane del Giro del 2012, che siccome fino a Cervinia (14^ frazione) non era poi così tremendo, s’era messo in testa di tornare con la Farnese di Scinto, sfruttando il fatto che quest’ultima usava le sue biciclette. Per fortuna Scinto gli fece capire che era meglio non parlarne proprio. Altri casi sono più recenti: Bartoli si era messo – e probabilmente lo fa ancora – a seguire la preparazione atletica di alcuni ciclisti Lampre, o Di Luca che poche settimane addietro ha fatto scena muta davanti al PM, perché tanto che ti cambia se comunque sai che ti squalificano a vita? Meglio non fare la figura del traditore, così i ciclisti e gli altri personaggi marci sapranno indirettamente che di me possono ancora fidarsi e dall’ambiente sportivo riuscirò a non uscirne mai. Non vorrai mica che mi tocchi d’andare a lavorare?

martedì 15 ottobre 2013

"Questo è per te tesoro. Lo sai che ti amo tanto!"

DALLE PENE PER IL DOPING, AL PENE PER L’ANTI-ANTI-DOPING, FINO A DI LUCA IN PERFETTO STILE CHARLIE CHAPLIN.
In questo giorni fa curiosità il pene finto anti-doping – regalo della premurosa fidanzata – che un rappresentante dell’Aeronautica, Devis Licciardi, ha cercato di usare durante il controllo urine. Tesi difensiva: pare che l’atleta volesse dimostrare che i controlli anti-doping possono essere aggirati. Dunque il tentativo è stato fatto per il bene dello sport. Se cliccate nel motore di ricerca qualcosa tipo “Pene finto anti-doping” penso possiate trovare qualcosa con facilità, visto ch’è roba recente. Ah, l’Aeronautica non ha perso tempo nel presentare richiesta di dimissioni immediate del fiero rappresentante. Che ingrati!
Questionando di organi riproduttivi maschili, non si esce dal seminato parlando di un coglione. Di Luca, autore a quanto pare di una scena muta davanti al Giudice di turno, dovrebbe ricevere una radiazione a vita. Cosa gli cambierà questo nessuno lo sa, visto che la sua carriera era già agli sgoccioli. Restano le emozioni e la gratitudine dei dirigenti scolastici che in passato lo avevano invitato a parlare ai ragazzi in alcune scuole, per dire loro che il doping è uno sbaglio. Buon erede dell’abruzzese, irrompe sul palco Santambrogio che aveva ricevuto la richiesta da parte della Procura Anti-doping di fare nomi e cognomi. Ma preferendo seguire le orme del suo maestro, l’ex ciclista della Fantini ha tenuto un’onorevole livello d’omertà. Chiaro che avendo ancora la possibilità di correre, Santambrogio vuole tornare in gruppo con il timbro dell’uomo che non tradisce. Casomai gli andasse male, potrebbe sempre chiedere un lavoro a Di Luca nel negozio di biciclette dell’abruzzese. Già possiamo immaginare le belle future biciclette Di Luca, modello EPO 2007, oppure quella speciale modello EPO/2-2013 fare bella presenza in gruppo.

venerdì 4 ottobre 2013

"Gentili signore e signori, buongiorno!"

IL GIRO DI OGGI, QUELLO (NON TROPPO) DI IERI, E LE PICCOLE GIOIE CHE DAVA QUEL GIORNO DI PIENO AUTUNNO.
Quest’anno toccherà il 7 ottobre – quindi lunedì – e a meno di notizie dell’ultima ora, dovrebbe ricalcare l’invisibile presentazione (tivù) dell’anno scorso. Dal punto di vista televisivo, il Giro d’Italia fece un bel salto in avanti alla fine del secolo scorso. La corsa iniziò ad avere un suo spazio televisivo ben preciso, che grazie alla diretta televisiva integrale portava in presa diretta le piccole emozioni all’appassionato che un’ora di televisione poteva dare. La squadra giornalistico/ciclistica RAI non era numerosa come oggi, e forse per questo ti annoiavi meno, e non vedendo l’ora – come nella seconda metà del decennio scorso – che mandassero i filmati delle frazioni. Oggi la presentazione viene fatta il prima possibile. Aldilà che, potessero farlo, il Giro 2015 forse lo presenterebbero il giorno in cui finirà quello 2014, voglio mettere giù le piccole soddisfazioni che per diversi anni ti dava il ‘vecchio’ calendario del Giro. Intanto quello che era ed è il Giro: una avvenimento sportivo di primaria importanza prettamente primaverile (anche se nell’ultima edizione manicotti, bestemmie, tè caldo, mantelline e a volte guanti sono stati bei protagonisti in gruppo), che trasporta quel sentore primaverile sempre simpatico e amico. Per questo motivo il ‘vecchio’ Giro – presentato solitamente nella seconda metà di novembre – ti dava 90 minuti di primavera nell’animo, specie quando guardando fuori dalla finestra vedevi il sole andare a nanna, ed erano solamente le 4 del pomeriggio. Sullo schermo vedevi Cassani con i capelli ancora non tinti (a proposito: ultimamente ha schiarito un po’ il nero e comunque anche Martinello pare andargli dietro) pedalare in maniche corte nel sud Italia, e nel contempo ficcavi un pezzo di legno nella stufa. Lo vedevi fiancheggiare il lungomare che al massimo metteva i manicotti, e tu mettevi il pile perché dovevi uscire 2 secondi per un cesto di legna. Chiaro che questa visione ciclistico/romantico/stagionale non fa nessun effetto a chi abita lontano da vallate alpine o dolomitiche. Quando abiti in zone in cui l’inverno vero dura un mese e mezzo al massimo, difficile raccontare gli umori che respiravi dalla tivù, in quello ch’era solitamente un sabato pomeriggio. Era come se il Giro avesse già corso la sua prima tappa. Se poi vedevi la tua città scritta a caratteri evidenti sullo schermo, ti sentivi come se una tappa l’avessi vinta. Con il passare degli anni la presentazione è cambiata. Suor Alessandra è diventata presentatrice, gli esperti sono sempre quelli da anni, ed i filmati – ch’erano la mezz’oretta che gli appassionati attendevano – diventarono sempre più rari, fino a due anni fa quando Savoldelli li fece in motocicletta e lì si capì che il Falco di far fatica aveva proprio perso la voglia. Resta sempre impareggiabile, anche per la lunghezza che superò la mezz’ora, la presentazione filmata delle frazioni del Giro 2000 – fatta nel 1999 – con Sandro Fioravanti al commento e Cassani alla bici che bucava salendo verso il Croce d’Aune o che, astemio, si beveva il vino ‘primitivo’ prima di ripartire. “La, dove il salmastro sarà nelle nari di chi, respirando forte, si preparerà all’arrivo”, diceva Fioravanti. “Anquetil andava a Champagne, io vado a vino primitivo” diceva Cassani.

lunedì 30 settembre 2013

133 motivi per parlare di medaglie.

SPESSO E’ DAI DETTAGLI CHE SPUNTANO LE SPIEGAZIONI PER CAPIRE DA DOVE NASCONO LE GRANDI DIFFERENZE. LE DIFFERENZE CHE TI PORTANO UNA MEDAGLIA OGNI ANNO. DAL 2007 A OGGI.
Mentre in Spagna si prepareranno a grandi accoglienze per l’intelligenza ciclistica dimostrata da Valverde, che da vero campione ha buttato un titolo Mondiale nel cesso, noi guardiamo all’altra sponda con una scena nata il tardo pomeriggio del giorno precedente intorno ad una domanda. La domanda che sulla zona d’arrivo viene rivolta a una ciclista è del giornalista RAI Francesco Pancani. Sono passati pochi minuti dalla fine della gara elite donne in linea, con l’italiana Rossella Ratto terza: “Ma quanto è andata forte la Ratto?”. La ciclista intervistata è una delle capitane della squadra italiana, che dopo aver ripetuto in toto la domanda testé rivoltagli dal giornalista, si ferma un secondo, si guarda intorno, sospira, sembra cercare qualcosa con gli occhi, carica il colpo in canna, sembra voler dire qualcosa e poi, con scocciata diplomazia, prende la mira e risponde; “Ma quanto è andata forte la Nazionale Italiana?” Il giornalista osserva; “Hai ragione”. Lì, in quell’esitazione prima di rispondere, in quel guardarsi attorno prima di aprir bocca per riflettere prima di farlo, c’è tutto il colossale lavoro di squadra del CT Salvoldi. L’uomo che ha costruito il più forte ciclo ciclistico mai visto nelle squadre nazionali femminili, e che sta silenziosamente effettuando un lento, costante, continuo ricambio generazionale, che da sette anni consecutivi porta almeno una medaglia ogni anno (e contiamo solo la squadra elite).
Salvoldi ha costruito la medaglia numero 133 gettando nel contempo le basi ciclistiche per l’Italia femminile dei prossimi anni. Longo Borghini, Scandolara, Ratto, rappresentano quell’ossatura che tra pochi anni sostituirà quella macchina vinci-medaglie guidata dalla Bronzini, da una certa fenomenale ciclista italiana e dalla Cantele. Donne che sono le capitane, le cicliste di riferimento, ma non le stelle, le prime attrici sempre e comunque. Quando lungo l’ascesa di Fiesole una certa atleta, di cui come da tradizione non ricordo il nome, ha sentito la gamba cedere verso il finale di corsa ad un principio di crampi, è stato deciso con poche parole che la vicentina avrebbe invertito i ruoli programmati trasformandosi in gregaria per la Ratto. Detto fatto (e la rima non centra): la veneta richiama le compagne in fuga con lei in quel momento di gara, e spiega la nuova impostazione tattica. Fu lo stesso anche l’anno scorso. Elisa Longo Borghini era la ragazza che meglio pedalava, e nonostante fosse la più giovane, quella che godeva di minore esperienza, fu lei la pedina principe per la squadra italiana. Anche in quell’occasione scaturì una medaglia di bronzo, e come questa volta non ci furono tentennamenti nel deciderlo in gara. Una nazionale dallo spirito camaleontico che da sempre lavora in questa maniera, perché costruita intorno ad una persona, Salvoldi, che da sempre gode di una stima colossale, totale, da parte delle atlete che porta in azzurro di volta in volta. La partigianeria di chi scrive è ormai nota, e quando poi si tratta di ciclismo femminile di origine marosticense siamo a livelli da ricovero. Ma sapere che, una volta tanto, chi occupa il ruolo di CT è persona che ha nozioni di base sull’attività sportiva che porta avanti (quella cosa che si chiama competenza), e quindi non solo perché amico plurisponsorizzato da nomi importanti della Federazione, è motivo per attirare la mia simpatia nei suoi confronti. In un momento di ennesima soddisfazione come questo, dispiace che in ottica nazionale italiana si sia forse persa la presenza di Marta Bastianelli, che dopo l’iride vinta nel 2007 non è mai tornata ai vertici se non in occasioni molto sporadiche. Ma è giusto ricordare che fu proprio lei, sette edizioni addietro, ad aprire quel ciclo vincente e plurimedagliato che oggi possiamo goderci appieno. Comunque, conoscendo Salvoldi, aspettiamo ancora un momento prima di scrivere davvero la parola ‘Fine’ su valutazioni agonistico/personali di questo tipo. W la Guderzo. (la foto in alto è concessa da Ilaria Pranzini)

lunedì 16 settembre 2013

E finalmente le ragazze alzarono la voce.

LA NOTIZIA CATTIVA: IL FINALE DEL ‘TOSCANA’ NE FA LE SPESE. QUELLA BUONA: FINALMENTE LE RAGAZZE SI SONO ROTTE LE SCATOLE. C’è voluta Marianne Vos a dare il ‘la’ alle colleghe. L’olandese ha perso un Giro di Toscana di cui era leader, ma prima o poi la pazienza doveva finire ed è un peccato non sia finita ben prima. Ennesima figuraccia degli organizzatori, grazie al traffico veicolare fermato a singhiozzo quando stanno ancora passando le cicliste, mentre quella delle strade in pezzi è purtroppo storia vecchia ma che non doveva mai essere raccontata perché nel movimento ‘rosa’ tutto è bello, tutto piace (vedi Facebook), e siamo tutti amici che ci volgiamo tanto bene. Intanto le cicliste stanno in mezzo a cotanta felicità e gaiezza. Così domenica 15 quasi tutte le migliori non sono partite nell’ultima frazione, quella con l’arrivo classico a Firenze ed ecco Brunello Fanini, il boss del Giro di Toscana, che dichiara dopo 18 edizioni la morte della corsa. Adesso le cattive sono quindi le cicliste non partite, che ancora una volta hanno dovuto essere loro a metterci la faccia, perché figurarsi se DS o dirigenti aprono bocca una volta. Il CT Salvoldi ha detto che il modo è sbagliato anche se condivide la motivazione, Fanini parla di decisione inqualificabile. Quando patron Brunello Fanini giudica il gesto del ritiro in massa come dannoso al ciclismo femminile, tornano in mente le immagini della 3^ frazione del Giro-Donne 2010 a Biadene con le ragazze sedute sui marciapiedi e sulla strada a cambiarsi dopo la cronometro individuale, o il giorno prima (2^ tappa con arrivo a Riese Pio X°) quando un genitore disse al personale che le aveva sistemate, che le transenne erano messe in maniera molto più pericolosa che non protettiva sul rettilineo d’arrivo (con ragione sacrosanta!). Chiaro che situazioni come quella di Biadene non devono saltar fuori e venir raccontate, e se poi le ragazze devono pedalare a 40 allora su strade che fanno schifo, o con transenne sistemate coi piedi, lo facciano e basta. Visto che l’Associazione Corridori va avanti con la velocità della famosa lumaca zoppa, visto che le cicliste da anni vengono prese per il c**o (meglio usare gli asterischi, perché culo non sta bene scriverlo), visto che a raccontare solo le cose che funzionano non cambierà mai un ….come si chiama?.... pupazzo?, meglio stare sui maroni oggi che al pronto soccorso domani.

domenica 15 settembre 2013

Horner scrive una pagina storica? Speriamo di si.

NONNO CHRIS METTE IN RIGA I NIPOTINI, ED ENTRA PROBABILMENTE NELLA STORIA. CON LA SPERANZA CHE PROPRIO QUESTA STORIA NON VADA OLTRE CON APPENDICI FUTURE.
Eh dai che questa è bella! Si perché puoi guardartela in diversi modi. Il modo che parlerà di momento da ricordare nel ciclismo, con un quarantaduenne che vince una gara di tre settimane, mettendo in fila ciclisti con dieci anni di meno nella carta d’identità, ma soprattutto che ha ribattuto colpo su colpo di pedale, in una Vuelta che regalava 11 arrivi in salita. In questi anni vedevamo Pantani, Armstrong, Contador, Froome come dei fenomeni. Sarà mica che ci siamo persi uno che invece fenomeno lo era sul serio, uno che aspettava il momento buono per uscire allo scoperto? E aspetti d’essere un over 40? C***o se ne hai di pazienza Chris! L’altro modo è quello che in molti pensano: che si mette nel latte questo qui la mattina? Eh certo che se l’antidoping funziona sul serio, allora salterà fuori qualcosa. E se invece non vien fuori niente? Sai che smacco per Valverde, Nibali, Rodriguez – mica ragazzini del gruppo – che si son fatti mettere in riga da uno che si porta dietro quarantadue primavere? E Froome? Miseria, adesso cosa diciamo di Froome, classe ’85, che uscito dal Tour con un vagone di sospetti, ora si vede spodestato nelle attenzioni da un ciclista 14 anni più vecchio? Ci accontenteremo di dire che questo è l’anno dei Chris? Beh, pensando alla mitica conferenza stampa del dopo Ventoux, dove al keniota-britannico fecero domande velate di diffidenza, a Horner che faranno? Lo piglieranno a mazzate fino allo sfinimento? La Vuelta che ci consegna? La sorpresa di Horner, sperando non sia una storia che regalerà un capitolo extra. Poi Nibali che si conferma in grado di ben figurare quando prepara una gara con attenzione. L’italiano voleva competere per vincere la Tirreno-Adriatico e l’ha vinta, idem per il Giro e anche quello l’ha vinto, così come voleva cercare la vittoria in Spagna e se l’è giocata fino all’ultimo. Per i Mondiali dovrebbe avere un condizione perfetta e potrà essere considerato une dei favoriti. Ma non quello da battere. Perché anche gli spagnoli hanno mostrato una condizione, con vista Firenze, molto buona. Rodriguez e Valverde sono stati protagonisti fin quasi all’ultimo. Non hanno avuto la tenacia di Horner e Nibali, ma Rodriguez si presenterà come l’uomo più pericoloso – in ottica italiana – per la vittoria conclusiva (chissà come stanno Cancellara e Sagan…). Intanto festeggiamo ‘nonno’ Chris.
Adesso però viene il bello. Si perché quando un’atleta di 42 anni si mette dietro gente che viaggia a più d’un decennio d’anni di meno (Nibali è del 1984), e gli arriva davanti rispondendo colpo su colpo, in una Vuelta con 11 arrivi in salita, adesso si che la curiosità è tanta. Christopher Horner è un ciclista in gamba, uno di valore, ma vederlo mettere in riga Valverde, Nibali, Rodriguez ti lascia il dubbio. La sensazione che ne scaturisce è forse definibile come un misto d’incredulità e ammirazione. Però ripensando al Froome del Tour ed i sospetti che gli sono cresciuti attorno, cosa si dovrebbe scrivere di Horner, 14 anni più vecchio? Cattiveria? No di certo. Il fatto è che la paura di essere imbrogliati adesso non la nascondi più, non la tieni per te. Perché sei stanco, sei stufo marcio d’essere preso in giro. E la diffidenza patita da Froome sulla sua pelle durante il Tour – o anche quella verso Usain Bolt ai Mondiali d’atletica di Mosca – ormai sarà cosa che molti vincitori dovranno tener sempre presente che possa farsi viva con una domanda antipatica. La storia d’oggi ci dice che la Vuelta di Spagna 2013 è passata alla storia, grazie ad un ultraquarantenne che ha battuto la sua futura generazione ciclistica. Che il giorno, sabato, in cui lo statunitense ha praticamente vinto il Giro di Spagna, un ciclista che poteva essere suo figlio (22 anni) ha vinto la tappa. Speriamo sia una favola. Speriamo che la storia di questa Vuelta si fermi qui e che non ci siano altri capitoli extra.

martedì 27 agosto 2013

E venne il giorno del; "Ma chi me l'ha fatto fare?"

NELL’AUTUNNO SCORSO AVEVO SCRITTO QUALCOSINA PER CHI AVEVA LA MEZZA IDEA DI DARSI AL CICLISMO. ADESSO IL SALTO IN AVANTI: DOPO UN’ANNETTO DI FATICHE, STATE MICA PENSANDO ALLE GRANFONDO?
Ne avevo già scritto in un post datato novembre 2012 (lo trovare sotto il titolo: Il ciclismo davanti al caminetto: parte 2^). Ora facciamo il grande passo avanti: le granfondo. Vediamo di capirci in poche righe come piace a me. Siete diventati ciclisti da poco? Vi siete appassionati? State mica facendo un pensierino alle GF? Queste righe non guardano al ciclista della domenica descritto dalle riviste. Cioè quello che potendo vivere senza lavorare può seguire tabelle, chilometraggi, palestre, allenamenti simil-professionistici dietro moto (si, ci sono anche quelli che se li fanno), insomma quasi tutto quello che voi non potete fare, perché nelle vostre giornate di ore ne avete solo 24. IPOTESI BASE: siete un/a ciclista che percorre al massimo 2.000 chilometri all’anno, e non più di 50/60 chilometri alla volta, andate in bici una volta per settimana, poche volte due, salite in sella in marzo fino a fine ottobre.
QUANTO TEMPO AVETE?: questa è la domanda che dovrete farvi il 1° gennaio; “Quanto tempo ho per la bici?” parte tutto da qui. Tutto. Non dalla bicicletta o da come stanno le vostre gambe o da chissà che diavolo di qualunque altro motivo, ma da quanto tempo avete. Qualunque cosa leggerete da qui in avanti dovrà per forza passare per questa domanda. Se avete un lavoro che vi occupa dalla mattina fino al tardo pomeriggio, certamente fino a fine aprile non potrete allenarvi un paio d’ore verso sera. Non guardate nemmeno chi fa un lavoro che, per un motivo o per l’altro, gli dà l’occasione di ritrovarsi con mezze giornate libere. Queste persone ci mettono poco a chiacchierare e a darsi tonnellate di arie sui chilometri messi nelle gambe con facilità irrisoria. Mandatele a lavorare al posto vostro, e se insistono anche in malora. Pensate a divertirvi. L’INIZIO DELLA STAGIONE: il buonsenso dice di faticare per gradi. Dovete far capire al corpo, ai suoi muscoli (ricordate, anche il cuore è un muscolo), che dovranno ri-abituarsi alle faticate in sella, ma che da stavolta le faticate saranno più lunghe. Le prime pedalate, quelle fatte con rapporti agili, nelle ore tiepide del giorno, vanno molto bene. Salite in bici almeno 15 giorni prima del solito (diciamo metà febbraio). Quanto pedalavate solitamente all’inizio: 30, 40 chilometri? Allungate di una decina di chilometri. Anche fatte pianino sarà un buon inizio. Non pensate solo alla strada percorsa, ma anche al tempo passato in sella. Ogni 15 giorni mettete dentro una decina di chilometri in più. Ogni 40 chilometri almeno 5/7 km. di salita. Non serve andare a cercarsi una salita che sale al 15%. Però non pedalate nemmeno su 10 salite da un chilometro, per poi dire che avete le gambe per un Passo lungo 10 chilometri. Penso e spero che ci siamo capiti. Pensate a divertirvi.
LE SCHEDE DI ALLENAMENTO: qui potremmo far notte. Non mancano mai nelle riviste ciclo-turistiche. Ma se fate caso ai ritmi di lavoro consigliati, queste sembrano pensate – nella maggior parte dei casi – per gente che non ha niente da fare da mattina a sera. Tenete conto di questo. Leggetele, valutatele, se volete seguirle con scrupolo allora beati voi, perché vorrà dire che avete tempo solo per la bicicletta. Altrimenti usatele solo come spunto per i vostri allenamenti. Su una cosa invece potete trovare un’aiuto prezioso da queste benedette riviste: i consigli sull’alimentazione. Anche se le stesse tra le loro pagine hanno pubblicità riguardanti gli integratori dove si parlerà di voi, perché ciclisti, come una specie di razza umana superiore, e usando immagini associate a frasi, parole, terminologie studiate appositamente a tavolino per farvi esaltare oltre quel che valete, cercheranno di farvi il lavaggio del cervello, perché non dovete pensare con la vostra testa ma con i loro slogan. LA TESTA: se piove e mancano due mesi a una GF potete saltare il turno, ma se piove e mancano pochi giorni, dovrete pigliarvi l’acqua in testa. Volenti o nolenti siate pedalanti. Ricordate che se eravate abituati a pedalare circa 3 ore, una volta in gara ve le troverete anche raddoppiate. Se poi farete i percorsi più lunghi, mettete in conto dalle 8 alle 10 ore. Cercate di non fare di una corsa un’obiettivo troppo importante. Non fatela diventare il modo per dimostrare qualcosa ad altri o a voi stessi. Altrimenti così facendo, appena fatta la gara, butterete la bici da parte e la lascerete alla polvere in attesa di uno stimolo che spunti da dove non si sa. Spesso la passione si smorza – cioè sentirete noia per quel che fate – perché molti cercano l’emulazione per fare le cose nella maniera più simile possibile al campione visto in tivù, ma poi vi accorgete che intorno a voi non ci sono giornalisti e gente che vi rincorre con il foglietto e la penna. Voi non siete professionisti, anche se le parole usate dalle riviste specializzate nei loro articoli faranno di tutto per farvi sentire come loro. Pensate a divertirvi.

mercoledì 7 agosto 2013

Noi non siamo lui. Capirlo è così impossibile?

AMARE LO SPORT VUOL DIRE IN PRIMIS RISPETTARE NOI STESSI. PER QUESTO MOTIVO IN CERTI CASI L’AMAREZZA SI VELA DI RABBIA.
Non so dalle vostre parti che aria tiri con il caldo. Qui da diversi giorni le temperature sono impossibili e pericolose. Tant’è che tra Friuli e Valbelluna tre persone sono morte pedalando, e non perché finite sotto le ruote di qualche altro veicolo. La passione può supportarci, spingerci, ma non dobbiamo diventare esseri viventi pronti ad ogni suo comando. Specialmente quando a lasciarci la pelle è gente che da un pezzo ha i capelli bianchi, e dovrebbe essere d’esempio per chi il bianco in testa lo avrà fra qualche decina d’anni. Andare a sforzare il proprio corpo senza motivi professionali, sotto un cielo che trasforma tutto in un forno, vuol dire essere troppo incoscienti di quello che si sta facendo. Fare sport non vuol dire essere d’acciaio ma sembra che invece l’idea sia questa. In una disciplina faticosa come quella ciclistica, serve anche un minimo di cultura su quello che si sta facendo, su quello che in quei momenti si sta chiedendo al nostro fisico. Se si crede che la passione possa rimediare in ogni occasione non si è capito un c****o e magari si continua a vivere pensando di dover dimostrare sempre qualcosa a noi stessi o al mondo. E allora mettiamoci alla prova, e se qualcuno ci darà del deficiente pronti a tirare fuori la scusante della passione. Niente da fare. Non riesco a trovare scusanti davanti a persone che per età dovrebbero essere il primo esempio buono. Foto: M.Zanella - Alpe del Nevegal(BL) 2011.

domenica 4 agosto 2013

Primi giri di vite tra gli amatori. Era ora.

EX PROFESSIONISTI, DOPING, AUTOCERTIFICAZIONI ETICHE, PRESIDENTI CON PIU’ RESPONSABILITA’, NUOVE VISITE MEDICHE, ECCETERA ECCETERA. RIPORTO (QUINDI COPIO) DAL SITO SPORT-PRO UN’INTERVISTA A SUA VOLTA GIA’ RIPORTATA DI SUO. SE FATE GARE LASCIATE LA VOSTRA IDEA.
Dal sito della Federciclismo riprendiamo questa interessante intervista a Gianluca Santilli, responsabile del settore amatoriale, che per la prima volta da tanti anni in qua sta cercando di sistemare un settore degradatosi negli anni e ridare dignità a tutto il movimento. “Con l’introduzione dell`auto-certificazione etica abbiamo dato il via ad una vera e propria rivoluzione culturale che era necessaria in un ambiente, quale è quello del ciclismo amatoriale, inquinato da logiche ad esso del tutto estranee che lo stavano negativamente condizionando. Al requisito della salute, attestata dalla certificazione medica che attesta la possibilità di svolgere sport agonistico si aggiunge, dal 1° gennaio 2014, quello dell’etica. Chi ha avuto a che fare con il doping, per capirci, non si può più tesserare come amatore.” Così esordisce Gianluca Santilli, 56 anni, un passato agonistico nel nuoto e da amatore nella corsa nel triathlon e, da una decina di anni, nel ciclismo. Dopo aver ricoperto il ruolo di Procuratore federale nella FCI, dall’inizio di questo quadriennio, l`avv. Santilli è diventato responsabile nazionale del Settore amatoriale. Incarico che affronta con lo stesso spirito che l’ha condotto a vincere battaglie molto dure proprio per affermare la supremazia dell’etica nell’attività sportiva, con particolare riferimento al mondo dei giovani e degli amatori. La decisione sicuramente più innovativa, però, riguarda l’istituzione di un nuovo requisito per il tesseramento. “Dobbiamo far comprendere a tutti gli amatori che, per la tutela della propria salute, bisogna riscoprire le logiche che muovono lo sport amatoriale, ovvero quella della passione, divertimento e del benessere fisico. Per questo motivo le decisioni assunte all`unanimità nell`ultimo Consiglio Federale hanno un profondo valore innovativo.” L`attenzione dei media e degli operatori di settore si è concentrata in particolare su due decisioni ben precise. La prima stabilisce che il passaggio dall`agonismo all`attività amatoriale sarà graduale: 4 anni per i professionisti, 2 per le donne, 1 per gli Elite e U23. La seconda invece, ha un profondo valore culturale ed introduce, per la prima volta nello sport amatoriale in Italia, un requisito etico per chi vorrà svolgere attività amatoriale. Perché questo periodo di `decantazione` tra l`attività agonistica e quella amatoriale? “La decisione risponde ad un`esigenza di tutto l`ambiente e risponde a due logiche, quella di rendere meno esasperata l`attività e, al contempo, di aumentare la sicurezza nelle manifestazioni. La presenza in gruppo di atleti particolarmente veloci ha creato in questi anni un pericoloso spirito di emulazione che ha stimolato anche comportamenti e pratiche non lecite, in una assurda logica emulativa. Inoltre, l`eccessivo divario tecnico tra chi ha l`allenamento del professionista e continua ad esser tale anche da amatore e la massa che invece pedala nel tempo libero, faticosamente ritagliato tra lavoro e famiglia, rende la gara molto meno gestibile dal punto di vista della sicurezza. I tutelati, ed è assurdo, sono i pochi che riescono a tenere ritmi appunto da professionisti mentre la maggior parte dei partecipanti è lasciata senza alcuna tutela dalle scorte tecniche.
Ovviamente la presenza di pro o ex agonisti non è esclusa nel gruppo, anzi è molto apprezzata dal movimento amatoriale, ma solo a fini ludici e fuori dalle classifiche. “Dal primo gennaio del prossimo anno ogni amatore che vorrà tesserarsi dovrà produrre un certificato (il cui modulo sarà presto scaricabile dal sito federale, ndr.) che attesti l`assoluta estraneità, nella propria vita, da vicende legate al doping, sia dal punto di vista sportivo che penale e/o civile. Un`autodichiarazione che riguarderà non soltanto eventuali condanne, ma anche procedimenti e indagini. Si tratta, di fatto, dell`introduzione di un nuovo requisito per potersi tesserare quale amatore.” Dal punto di vista pratico come farà la Federazione a controllare? “Come nel caso del certificato medico, l`autocertificazione dovrà essere consegnata al Presidente di società che si preoccuperà di valutarne la veridicità e che, di conseguenza, ne risponderà di fronte alla Federazione quale responsabile legale.” Si è vociferato, prima del CF, dell`introduzione di nuovi certificati medici per lo svolgimento dell`attività. Poi invece, non sono state prese decisioni al riguardo. Cosa ci riserverà il futuro? “Insieme alla Commissione Tutela della Salute si sta valutando quali ulteriori analisi e accertamenti introdurre per garantire ancora di più la salute degli amatori. Lo sforzo di una gara amatoriale merita tutta la massima attenzione e gli accertamenti oggi sufficienti per il rilascio del certificato medico agonistico sono considerati non del tutto adeguati per garantire all`atleta certi sforzi senza alcun rischio per la salute; qualsiasi indicazione proveniente dagli esperti, volta ad evitare episodi tragici, saremo pronti a recepirla. Ci tengo a chiarire che è in gioco la salute di ogni praticante e il nostro obiettivo è proprio quello di salvaguardare tutti, in modo che la pratica ciclistica, e sportiva in generale, diventi un momento di serenità e benessere e non il contrario.” E` logico domandarsi se tutte queste novità troveranno sponda anche tra gli altri Enti di promozione sportiva. “Il 29 luglio ci sarà un incontro della Consulta finalizzato a deliberare sulla normativa introdotta dalla FCI, che è già stata analizzata e discussa in quella sede e che ha trovato pieno consenso. Credo ci sarà quindi un totale allineamento.”

giovedì 25 luglio 2013

Tocchera' mica comprare un tappeto più grande?

E COSI’ UN GIORNO SCOPRIMMO CHE IL CICLISMO ERA FALSATO. MA ORA GLI APPASSIONATI FARANNO DUE CONTI OPPURE; “CHI SE NE FREGA, VOGLIO LO SPETTACOLO!”? IL CAMBIARE MENTALITA’ PARTE DA QUI.
Una cosa emerge dall’inchiesta doping post Tour ’98: Ullrich era più dopato di Pantani, ma Olano in questo pare non lo battesse nessuno. Ci sono ciclisti che hanno pagato pesante. Chi con il palmarès come Armstrong, chi con il sistema nervoso prima e la pelle poi come Pantani, chi se l’è goduta per anni e anni come Riis (ma dall’aria che tira forse durerà poco) solo perché se apre bocca se ne tira dietro a decine tra dirigenti, ciclisti, team manager…. C’è chi è stato preso per il sedere come gli appassionati, chi continua a prenderci per il sedere come Gimondi, perché ritiene cosa migliore che le provette vengano buttate dopo le controanalisi, della serie; vengo a rubare a casa tua, ma se non mi beccano subito posso tenermi quel che t’ho rubato perché sono i poliziotti che dovevano essere più bravi a fare i poliziotti. Giusto che non c’è senso nel cambiare adesso gli ordini d’arrivo, perché se lo fai dev’essere per tutti. Però non possiamo cercare di far ammucchiare la sporcizia sotto il tappeto. Ullrich, Armstrong, Tafi, Riis, Jalabert, Zulle, Virenque, Brochard, Pantani, Cipollini, Zabel, per dire i nomi maggiormente altisonanti di quel periodo, sono stati protagonisti consapevoli di una disciplina sportiva falsata, che non può essere presa ad esempio. Non si possono trattare come dei miti dello sport solo perché tutti correvano ‘comunque’ alla pari. Allora si ridanno i Tour a Lance, a Landis, a Contador, una Vuelta a Heras. Vieni a rubare a casa mia, quindi posso farlo nella tua? Allora dovemmo trattare come dei miti i velocisti e velociste che nell’atletica hanno assunto tutto e il contrario di tutto. Se a Pantani andava bene ‘adeguarsi’ agli altri ha sbagliato. E questo si deve dire. Inutile parlare di svolte culturali se continuiamo a mitizzare quel periodo ciclistico perché ci ha dato tante corse combattute. Allora si abbiano i coglioni di dire; “Affari loro. Il sangue era il loro. Sapevano quel che facevano. Non gliel’ho mica chiesto io di prendere quelle robe.” E così almeno possiamo continuare a girarci dall’altra parte guardando alle granfondo dove la situazione è da sudori freddi, che nei dilettanti i controlli sono un’optional ma chi se ne frega perché non è mio figlio quello che ci corre, che negli juniores adesso uno può scegliere il medico che gli pare e parliamo di ragazzi ancora minorenni. Poi continuiamo a trattare come campioni esemplari vecchi ciclisti, e li sentiamo in vecchie interviste – perché ormai morti – dire che il loro doping a confronto di quello di oggi era all’acqua di rose perché usavano la simpamina, derivata da?... Andate a curiosare. Come cambi mentalità se trattiamo come idoli persone che hanno accettato di falsare quello che facevano, e ne stimiamo altre che cercano di difenderne l’operato lavorando di omertà?

venerdì 12 luglio 2013

Il Giro-Donne va in archivio con un'edizione apparentemente buona.

E COSI’ LA 24^ MAGLIA ROSA FEMMINILE E’ VOLATA OLTREOCEANO. DUE GIORNI SU OTTO AD ALTO LIVELLO E DA PARTE DELLA STATUNITENSE ABBOTT TANTI SALUTI. IL PODIO? UNA FOTOCOPIA DEL 2010. UN’ARTICOLO CHILOMETRICO, COME DA TRADIZIONE NEL POST GIRO-DONNE.
Mara Abbott corse in Italia un paio d’anni addietro con la Diadora-Pasta Zara. Patendo alcune magagne fisiche, ma nondimeno distanza e ambiente rinnovato, l’americana riprese presto in mano le sue valigie e se ne tornò in Patria (senza troppi pianti da parte dei trevigiani). Meglio hamburger e Coca-Cola che radicchio rosso e Prosecco. Ma quando si tratta di Giro d’Italia la ragazza non ha fatto mancare i risultati, visto che la sua carriera è marcata in maniera determinante dalla nostra corsa. Nel 2010 (come quest’anno) vinse la corsa imponendosi in due tappe consecutive, con gli allora traguardi a Livigno e sul Passo dello Stelvio. Nel 2010 (come quest’anno) non si fece mai vedere se non nelle frazioni più importanti e temute, nel 2010 (come quest’anno) tolse la maglia a Marianne Vos e non la mollò più, nel 2010 (come quest’anno) si mise dietro una certa ciclista italiana di cui non ricordo il nome e Claudia Hausler. Seconda nel 2010 fu la tedesca Arndt, oggi un’ex del gruppo, quindi i valori sono praticamente gli stessi a tre edizioni di distanza. Nel 2009 l’americana giunse seconda nella generale, a soli 30” da Claudia Hausler e s’impose nella Calcinaia – Monte Serra davanti alla miglior Hausler (che per l’appunto vinse quel Giro) e alla britannica Pooley. Erano gli anni in cui la Cervelo e la Columbia High Road comandavano quasi come gli pareva. Fatto sta che l’atleta statunitense quando ha corso il Giro un segno lo ha sempre lasciato. Anche storico, essendo la prima e fin’ora unica atleta a stelle e strisce ad aver vinto il Giro italiano. Una ciclista da massimo risultato con il minimo sforzo, che ‘lima’ il più possibile, resta sempre coperta dalle compagne di squadra, e che solitamente quando esce dal gruppo lo fa per arrivare davanti per i fatti suoi. La Abbott ha beneficiato in diverse occasioni proprio delle compagne di squadra, che le hanno permesso di arrivare all’inizio delle salite senza spremersi troppo. Cosa che solitamente fa anche la Vos, che però essendo un po’ impaziente ama pensar lei in prima persona a sfiancare le avversarie. Tenendo conto che l’americana è al momento migliore della carriera (ha 28 anni), non è da escludere che per due o tre anni ancora sarà protagonista. Giorgia Bronzini avrà pensato; “Ecco che la Toitemberg non è più un pensiero, e mi ritrovo questa qui tra i piedi anche per le volate!” pensando alla Vos? Probabile. Intanto l’ex iridata – aiutata da un’imprevisto per l’olandese – ha vinto una tappa, e questa è già una notizia, visto che da quattro anni uscivamo dalla gara con le tasche vuote per le vittorie di giornata. La Vos ha preso due scoppole pesanti nella Varazze – Monte Belga e nella Terme di Premia – San Domenico. Tra l’una e l’altra di queste due frazioni, vinte proprio dalla Abbott, l’olandese si è trovata sul groppone 7 minuti. Scena inusuale, forse non casuale, l’arrivo della 4^ frazione, Monte San Vito – Castelfidardo, quando l’olandese era seduta sull’asfalto e stremata come poche volte la si è vista. Comunque, maglia ciclamino, tre vittorie, due secondi posti sono bottino da protagonista. Tra le altre straniere la statunitense Evelyn Stevens, fresca di ‘Trentino’ vinto, ha disputato una corsa senza infamia e senza lode. Il 5° posto conclusivo nella generale premia un’andamento da brava formichina. Peggiora un po’ rispetto al 3° dell’anno scorso. Formichina ritrovata è stata la tedesca Claudia Hausler, che con due secondi posti di giornata è riuscita nel costruirsi un 3° posto finale che le fa risentire l’aria del vertice. La tedesca ha un ottimo bilancio ‘rosa’, con la vittoria nel 2009 e altri piazzamenti tra le migliori già nel 2008 e nei successivi a quello dell’edizione vinta. Forse patisce il fatto che spesso è ciclista molto (troppo?) attendista nonostante le gambe buone. Ricorda una certa ciclista veneta….
Marta Bastianelli è una ciclista sopravvalutata? Domanda cattiva, ma riguardo al Giro di lei si sono quasi perse le tracce. Per questo c’è ben poco da scrivere. Chi invece ha fatto un bel Giro è stata Francesca Cauz, che per la Top Girls Fassa Bortolo porta via la maglia bianca come miglior giovane, e due piazzamenti tra le prime 3 nelle due frazioni vinte dalla Abbott – un caso? – mettendosi dietro tali Luperini e Guderzo. Mai saputo niente sul rifornimento ‘paterno’ nella 4^ frazione, quando il genitore le ha passato borraccia e lattina di Coca-Cola da bere. La cosa, notata anche dal telecronista – è lui che ha detto che si trattava del padre della ciclista, quindi si può ipotizzare che si fosse informato prima di fare il commento della sintesi tivù – è permessa a pochi chilometri dalla fine o c’è stata manica larga? Alla fresca tricolore Dalia Muccioli, appena ventenne, giusto era non chiedere se non presenza in prima fila nelle partenze, per sfoggiare il bel simbolo del tricolore ciclistico. Valentina Scandolara? Bene. Fino a quando a potuto la maglia verde era sua, cercando di raccogliere punti su ogni minimo avvallamento esistente sul percorso delle tappe. Presente in diverse fughe fino alla 6^ frazione, ha lavorato poi come gregaria per la Guderzo. Nei finali non riesce ancora a ‘tener botta’ cioè ad essere lì con le migliori, ma questa è la terza come elite per la veronese. Non sono tutte Vos, Guderzo, Hausler, Pooley. Dal prossimo anno magari si potrà iniziare a chiederle qualcosa di più. Due parole tiriamole fuori per Valentina Bastianelli. Da anni ormai questa benedetta ragazza parte a testa bassa non appena il Direttore di Corsa abbassa la bandierina. O la pagano per farlo – e sapendo degli stipendi delle cicliste potrebbe essere – o qualcuno le dica che queste fatiche assurde potrebbe tentarle dopo i 50 chilometri, invece che mettendo in atto 40 tentativi per tappa nei primi 10 chilometri di strada. Se facessero la maglia della combattività per i primi chilometri, vincerebbe per manifesta superiorità. Prima di andare a toccare il momento più atteso dai voi lettori, e cioè il pezzetto dedicato all’allegra brigata della Radio e Televisione Italiana, due parole su COLEI che non ricordo chi sia, ma comunque il secondo posto conclusivo Le da la miglior prestazione della carriera nella corsa rosa. Piazzamento che rappresenta anche il miglior risultato di un’italiana, dalla vittoria 2008 della Luperini. Però, ecco un’altra occasione in cui la vittoria era nei paraggi ma è scappata via. Come scritto l’anno passato, LEI più di così non và. Ma se non si attacca, sperando solo in una selezione naturale causa fatica, si combina poca roba. Chi metteva in difficoltà la Vos in questi anni? La Pooley e la Abbott. Due che quando hanno avuto la possibilità partivano rischiando di saltare. Nessuna sorpresa nel Suo recupero sulla maglia rosa nella cronometro – non sarà mica sempre un caso se una vince diverse volte il tricolore contro il tempo – ma c’è sempre questo modo di correre troppo attendistico, molto Cunego, che spesso porta più risultati per rimediare alla meno peggio, quando invece le qualità per far impazzire le avversarie ci sarebbero. A meno che essere la migliore delle italiane sia già quello che basta. Davanti a Lei l’anno scorso si piazzò la Luperini, quest’anno squalificata verso la fine, perché la sua bicicletta è stata trovata troppo leggera ai controlli. Pochi grammi, ma quel che bastava per buttare un Giro. Giro-Donne che saluta Alessandra D’ettorre, ‘senatrice’ delle nostre ragazze da tempo. Mai stata campionessa, ma sempre vista con rispetto. Tante le maglie azzurre portate, tante le capitane “riportate sotto”. Due righe ci stavano. In teoria la stessa cosa si potrebbe scrivere per Noemi Cantele, che ha dovuto rinunciare all’ultimo momento a quello che – pare – doveva essere il suo ultimo Giro. Già due anni fa parlava di ritiro. Poi forse il fatto di correre un Mondiale in Italia le ha fatto allungare la strada. Ipotesi: vince il Mondiale. Si ritira?
E ora, senza necessità di effetti speciali, arriviamo ai nostri eroi. All’inizio del Giro una bella notizia. Tania Belveredesi che fa da ‘spalla’ all’amico Severini al posto di Silvio “assolutamente” Martinello. Purtroppo si rivelerà un falso allarme. Già dal giorno dopo “assolutamente” riprende il microfono. Anche se quest’anno non ci sono assoli da parte dei protagonisti, il gioco di squadra non manca. Bulbarelli, che a parte la Suora comanda tutti nella redazione ciclistica, la facesse finita con il far dire a Cip & Ciop com’è finita la tappa del Giro, quando di lì a due ore me la mandi in onda. Fossi in Giuseppe Rivolta, patron del Giro – a proposito, bel lavoro, visto che alla buon’ora i ridicoli uomini-cartello-stile-gare-da-sagra-paesana erano spariti e sono arrivati i cartelli con i confiabili per segnalate i chilometri finali – farei due parole con Auro e gli direi; “Caro Bulbarelli Auro, capisco che siccome i fagioli di Malacarne tu sei ancora qui che li aspetti da anni (tant’é che quando puoi lo dici anche in tivù per fare un’indiretta pressione psicologica al diretto interessato), la testa non sia pienamente concentrata nel tuo lavoro. Ma già ste benedette ragazze le seguono poco, se poi tu gli fai dire a quei due come finiscono le tappe due ore prima che le mostrate,….. che cazzo mi combini, uomo!!” Si scriveva del gioco di squadra RAI, che si è espresso a buoni livelli quando la 4^ tappa è stata mandata in onda al contrario. Nel dettaglio: 1) inizio trasmissione con subito le immagini della volata finale e interviste del dopo corsa 2) Stop improvviso alle immagini 3) riavvolgimento veloce con ‘nero’ sullo schermo 4) ripartenza video con stavolta le immagini esatte ma ovviamente ormai totalmente inutili. Bene invece sull’incremento di cicliste intervistate prima e dopo le tappe. Come ai bei tempi di Don Lorenzo. Due parole di corsa sul fatto che sembrerebbe si sia verificato un (lieve) aumento di pubblico. Di certo non per merito RAI, visto che quando mancavano 10 giorni al Tour le pubblicità al riguardo non mancavano, mentre sul Giro zero notizie. Come penoso lo spazio riservato dalla Gazzetta non durante, ma nel numero di lunedì 8 luglio. Minimi i rumori di sottofondo. Due anni fa il trionfo dei grilli – facile che il tavolino fosse quindi posizionato in piena campagna – l’anno passato il continuo trascinare di transenne, con qualche martellata ogni tanto. Quindi, possiamo azzardarci nel dire che quest’anno c’è stato, tutto sommato, un miglioramento del servizio.

mercoledì 3 luglio 2013

Avete impegni per giovedi 18 luglio?

DUE DOMANDE: 1) CHI SI RICORDA DI OSCAR PEREIRO? 2) SARA’ IL 18 LUGLIO IL GIORNO PIU’ IMPORTANTE DEI TOUR E DEL CICLISMO DEGLI ULTIMI 15 ANNI?
Prima o poi dovevamo arrivarci. Dal 1998 a oggi, in mezzo trionfano le quattro, cinque o sei volte in cui il ciclismo era ripartito. E meno male! Dalla Festina, la prima squadra con un’organizzazione interna di doping che ha fatto scuola per altre formazioni. Quanto è stato falsato il ciclismo negli ultimi 3 lustri? A questa domanda hanno risposto in maniera soddisfacente Bertagnolli e Armstrong nei mesi precedenti. Quanti poster verranno idealmente staccati dalle pareti? Oggi che gli sport di resistenza vivono di tende ipossiche – le ipobariche sono altra roba – o di doping genetico (molto più pericoloso), parlare di EPO è robetta. Oggi l’EPO viene comprato da sempre più sportivi e sportive della domenica, vedi ciclisti che in Sicilia hanno tagliato la corda in una GF (più del 30% degli iscritti), quando hanno ricevuto le telefonate di avviso dagli amici (falsi quanto loro), perché erano arrivati i medici per l’anti-doping. Sarà una giornata antipatica anche per i giornalisti di stampa e tivù che per anni hanno cercato di far pensare al solo atleta statunitense Armstrong come del doping fatto persona uno unico e solo, dimenticando la superficiale specifica che il dottor Ferrari – suo stretto ‘collaboratore’ – non è giapponese, australiano, islandese, indiano,….. Di quelli che di Bertagnolli, Rasmussen, Sorensen, Ullrich si sono dimenticati sul riferire delle loro ammissioni durante l’inverno passato, che di Cipollini è vietato parlare. Eh si, sarà una giornata antipatica anche per queste persone, perché di specchi su cui arrampicarsi ce ne sono sempre meno. Fatti nomi e cognomi, poi cosa cambia? Hai poco da fare. Togli le vittorie ai ciclisti che hanno vinto imbrogliando? Ok, allora devi farlo per tutti. Le lasci? Bene così. Continueremo a idolatrare campioni di cartone. Oppure dividiamo il ciclismo nell’EPOca del ciclismo da laboratorio? In questo caso l’Italia ha due carte da poter fieramente giocare, e che pochi possono vantare: Conconi e l’allievo Ferrari. Due perle, due medaglie, che se dessero la lista delle persone che si sono appoggiate ai loro consigli e trattamenti in questi vent’anni, dovrebbero fare un volume a fascicoli settimanali in stile Fratelli Fabbri Editore per farci stare dentro nomi e discipline sportive. Tutto arriverà il 18 luglio, un giovedì. Oscar Pereriro avrà degli eredi?

lunedì 1 luglio 2013

E dai ch'era ora, benedette ragazze!

Dopo 34 frazioni consecutive - dall'edizione 2009 fino a quella di quest'anno - una ciclista italiana vince al Giro. Giorgia Bronzini, aiutata da un quasi-volo della Vos a dieci metri dalla linea bianca, vince la seconda tappa del Giro-Donne che si è corsa sul circuito di Montecagnano Faiano. Da notare che domani (2 luglio) il Giro toccherà Cerro al Volturno, località in cui ci fu l'ultima vittoria italiana nel 2009.

martedì 4 giugno 2013

Ecco bravo, sventola pure. Già che ci sei, vai a cercarti un mestiere e restaci!

La notizia, nella sua essenzialità più semplice, racconta che: il ciclista italiano Mauro Santambrogio, 29 anni, rappresentante del Gruppo Sportivo Vini Fantini è stato licenziato, perché trovato positivo ad un controllo anti-doping effettuato il 4 maggio 2013, dopo la prima tappa della manifestazione sportiva denominata Giro Ciclistico d’Italia. La sostanza rilevata è l’EPO. Questa la cronaca. Ora continuiamo col dire che il ciclismo continua ad essere preso a calci nelle palle proprio dai suoi protagonisti, e che bisogna smetterla con la litania ormai insopportabile che i ciclisti sono l’ultima ruota del carro. La smetta Suor Alessandra (o Bicisport) con il suonare la campana dei ciclisti che devono svegliasi, quando sa bene che i ciclisti sono già ben svegli. Adesso la Vini Fantini rischia non poco. Due ciclisti falsi su nove partecipanti al Giro. Santambrogio era stato elogiato per tutto il Giro sulla sua primavera. Come lo fu Di Luca per il suo ritorno a livelli abbastanza alti fin dalle prime corse pre-Giro. Intanto la gente ha pieno diritto si essersi rotta i maroni, di preferire lo stare a casa invece che andare sul famoso Passo Tal dei Tali. Ora tanti (tra questi mi ci metto anch’io) a tirare fuori nuovamente l’ipotesi della radiazione. Se la Federazione lo facesse certamente ci sarebbero poi quelli che scriverebbero che radiare è troppo e che bisognerebbe radiare solo in casi gravi. Poi tornerebbero fuori alla carica nuovamente quelli per cui la seconda possibilità non deve esserci. Il doping è una scelta. Ho trovi chi un giorno te lo propone (o te lo impone) e tu comunque puoi scegliere la risposta, oppure sei tu a cercarlo. Non te lo trovi sotto l’albero di Natale e nella cassetta della posta. Tranne in quella dell’amico, a cui hai chiesto di aiutarti a fartelo spedire, perché tu sei uno sportivo professionista, mentre l’amico non lo conosce nessuno e quindi nessuno s’interesserebbe nel vedere un pacchetto con l’indirizzo per Mario e Maria presso la località Tal dei Tali, in Via Tizio, Caio e Sempronio al civico 0.

giovedì 30 maggio 2013

Promossi, bocciati.... le pagelline del Giro 2013.

ESISTE GENTE CHE SOLO A GIRO FINITO GUARDA QUESTO SITO. NON GLI PIACE? MICA PER QUESTO. MA PERCHE’ A CORSA CONCLUSA ARRIVANO LE MITICHE PAGELLINE IN ROSA (fatte a modo mio chiaramente). VOTO 10 AD AURO BULBARELLI SE….; ….se è stato lui a dire “No” a quella porcheria ciclistica ch’era diventata la trasmissione che Bartoletti conduceva verso mezzogiorno. Anche se pare che in mezzo a questa ‘dolorosa’ rinuncia all’interno del palinsesto rosa, ci sia lo zampino di RCS. Il cuor ci duole per l’avvocato Pasqualin che adesso dovrà trovare un’altro spazio televisivo per invitare e propagandare ciclisti e calciatori che lui segue come procuratore (ma non era ‘opinionista’ anche alla trasmissione della RAI per la serie B? Pensa che curiosa e fortuita combinazione...). VOTO 9 ANCORA PER AURO; se nell’assenza di Savoldelli c’ha messo il becco (ma stavolta non credo). Scelta di RAI-Sport, scelta dell’ex ciclista, o qualcuno ha guardato le squadre in cui ha corso Savoldelli nella sua carriera, i capitani per cui ha portato le borracce, e poi ha fatto due conti? VOTO 8 AL CORAGGIO DI CIPOLLINI; …per essersi fatto vedere in giro in alcune tappe e si sia messo a fare autografi, fotografie, strette di mano (con l’avvocato dietro al sedere, perché è notorio che quando te ne vai in giro per gli arrivi di tappa lo fai con il tuo legale appresso). VOTO 7 AL CASSANI MATTINIERO DEL TGIRO; bella idea quella di andare dalle squadre alla mattina per la colazione. Voto 9 al Cassani in ‘versione Auro’, che si mangia gli spaghetti all’olio alle 9 di mattina con Paolini, al tavolo della Katusha. VOTO 6 ALLA SIGLA DEL GIRO; un mio chiodo fisso che perpetuo negli anni. Purtroppo non usano la melodia completa di qualche anno addietro (pronti col 10!), ma pensando alle musiche di Paolo Belli non c’è paragone visto che faceva sembrare il Giro la corsa della sagra. VOTO 5; non saprei a chi dare questo voto intermedio. Se voi che leggete avete una qualche mezza idea…..VOTO 4 ALLE SCRITTE TV IN INGLESE; d’accordo che il Giro deve venire internazionalizzato dal punto di vista televisivo, ma insomma non esageriamo. Acquarone, che ci sei mica tu dietro ‘sta pensata? VOTO 3 A FRANCESCO PANCANI; al primo Giro commentato era stato bravo. Solo che poi di lì non si è più mosso. Ogni minima cosa che dice deve sempre farla seguire dall’assenso di Cassani; “Davide, quel vecchietto che abbiamo investito stamattina nel salire quassù, facendolo rotolare per diversi metri sull’asfalto, perché noi due alle 11 siamo già sbronzi…” Ci mettesse un po’ di suo nel lavoro. VOTO 2 A SUOR ALESSANDRA; ormai notoria la mia profonda ammirazione per la reggente del CSO (Convento della Sacra Omertà). Anche quest’anno si è portata dietro gli stessi medesimi commentatori degli ultimi anni, con le solite domande-non-domande da perfetta padrona di casa; “Allora Beppe…” – Conti e non Grillo, oppure – “Allora Silvio… – Martinello e non Berlusconi – quel ciclista ha bucato una gomma, che peccato…” “Eh si – la risposta di Conti, tutto sudato per l’impegnativa domanda postagli – quel ciclista ha bucato una gomma, veramente un peccato. Parliamo di Balmamion?” Tornando alla suora, molto bello sentirle dire alla Longo Borghini che “…finalmente parliamo anche di ciclismo femminile”, lasciandola parlare in totale libertà più di un minuto. Il ciclismo rosa ringrazia per l’immane sforzo, sicuri che così vivranno di rendita per un paio d’anni. VOTO 1 AI TEMPI; a quello del cielo (pioggia, neve, freddo…..) e a quello di Cassani, che nel mentre gli anni passano i suoi capelli scuriscono. Misteri della biologia o sono gli spaghetti della Katusha? VOTO 0; a quelli che fanno le pagelle sul Giro, di qualunque tipo esse siano, e a quel cretino di Danilo Di Luca.

martedì 28 maggio 2013

"L'ho fatto per i ragazzi di oggi" (venerdì 15 ottobre 2010).

NON E’ UN MISTERO CHE IL MONDO DELLO SPORT SPESSO CREI UNA ‘DIPENDENZA’ DALLO STESSO. SE POI HAI DEL TALENTO, VIVI IN MEZZO A GENTE CHE TI DICE SEMPRE SI, E UN GIORNO SCOPRI CHE IL GIOCO DEVE PER FORZA FINIRE…. La speranza è che adesso Di Luca passi un sacco di guai, per le rogne che ha portato a Luca Scinto, al Giro, e per l’ennesima imbecillità regalata al nostro ciclismo da uno dei suoi peggiori rappresentanti. Anche se Suor Alessandra, colonna portante dell’SCO (Sacro Convento dell’Omertà) ha già tentato di levigare la questione con la specifica del “caso umano” (andasse a guardare le famiglie che pagano 500 euro al mese di affitto e ne portano a casa 1200, con un paio di marmocchi da tirar su, prima di dire che il caso umano è Di Luca), fa piacere che i ciclisti più giovani – da Nibali in giù tanto per capirci – hanno preso bene le distanze dal cretino abruzzese, e parrebbe che un’azione legale nei confronti dell’ex ciclista della Fantini verrà fatta. Di Luca si merita di restare in mutande, se poi vorranno regalargliele rosa gli staranno ancora meglio. Scrissi in data 13 febbraio del codesto anno di Grazia che i ciclisti più giovani dovevano; “…..Staccarsi, prendere le distanze, andare avanti per la propria strada. E se qualche “vecchio” santone del ciclismo o qualche ex ciclista degli anni passati gli desse del ragazzetto arrogante, dicano a quel santone o a quell’ex ciclista di andare a vedere le cronache anti-doping degli ultimi tre lustri, dicendo che i giornali non li hanno scritti loro ma chi ha semplicemente riportato la cronaca.” Certamente non basta. Ma è l’inizio che ci vuole. Danilo Di Luca rappresenta quella categoria di persone incapaci di capire che la vita non è solo classifiche, interviste, o gente sorridente che ti applaude anche se sputi per terra. La vita ‘normale’ per molti atleti è una realtà che non riescono a comprendere. Quella che racconta di un litro di latte che ti manca in frigo e devi andare a comprartelo, che il rotolo di carta igienica vicino al water non lo trovi sempre pronto per via dello Spirito Santo, ma perché te lo devi cambiare quando vedi che mancano poche ‘rullate’ alla sua fine. Situazioni vissute in maniera più o meno uguale da Schumacher (Michael), Armstrong, oppure l’innominabile (per la cricca RAI) Cipollini, con il suo rientro alle gare tentato dopo un paio d’anni dal ritiro. Un rientro, quello di Re Imbroglione, che durò pochi mesi. Seguirono altri tentativi di reinserirsi nell’ambiente prima come ‘motivatore’, come tecnico, poi come un simil-preparatore atletico – qualcuno ricorda quando seguiva le ragazze della MCipollini? – e il tentativo di un nuovo rientro nel 2012 (la Vini Fantini usa biciclette Cipollini e l’anno scorso il percorso del Giro era molto ‘morbido’ nella sua prima metà). Per fortuna Scinto gli fece capire subito che non era cosa. Succede. Quando sali su di una bicicletta che sei un ragazzetto delle scuole medie, capita che se mostri talento trovi chi ti sprona a proseguire. Allora, gasato in totale buona fede da questo, lo fai. Magari cogli risultati di primo piano che automaticamente ti convincono a continuare. Quasi ogni giorno passi ore a pedalare per migliaia di chilometri ogni anno, la bici diventa la tua vita. Se poi sei un ciclista forte, sei un’atleta che fa la differenza, finché vinci trovi spesso persone che ti dicono sempre si, e faranno sempre il possibile per continuare a farlo. Diventi figlio dell’ambiente, finché ne diventi dipendente, parli e incontri solo persone che hanno a che fare con la bicicletta, credi che finché riuscirai a stare in sella a quegli aggeggi che oggi costano lira di Dio riuscirai a stare al mondo, perché prima di vincere con la bicicletta nessuno ti guardava. Poi quando scendi capisci che non sai nemmeno attraversare la strada senza qualcuno che ti dica come si fa. Gli anni passano, e quando ne sono passati tanti non lo accetti. Te lo tieni per te, però nel contempo cerchi di non uscire mai da quel mondo. Diventi come il bambino consapevole che se scende da quella giostra, facilmente non si divertirà più. In quel mondo ci sei cresciuto, mentre sai che se nell’altro ti chiederanno di piantare tre chiodi in un pezzo di legno, a metà del secondo lo starai già piantando storto. E questo è meglio non succeda. Succede ogni giorno nello sport, nell’ambiente del cinema, della musica, della politica, in tanti ambienti. Di Luca una vittima? No. Di Luca per restare nel ciclismo, nel mondo degli applausi, della notorietà, ha imbrogliato. Per di più lo ha fatto ancora, fregandosene di quel che faceva al suo corpo, alla gente che lavorava con lui, allo sport che praticava. Lui che andava a parlare nelle scuole per riabilitare la sua immagine, e raccontava ai ragazzi quello che non dovevano fare. Per far correre lui, Luca Scinto è stato obbligato a lasciare a casa un altro dei suoi ciclisti. e visto che Di Luca è stato integrato nella squadra pochi giorni prima del Giro, chi ha dovuto rinunciare probabilmente stava facendosi un sedere tanto per correre la corsa da almeno due mesi, forse tre. Danilo poteva restarsene a Pescara nel suo negozio di biciclette, che a quanto pare è pure un bel negozio. Davide Malacarne della Europcar ha scritto giustamente del suo ‘Tweet’ che l’abruzzese andrebbe pigliato a calci in c**o. Se un giorno mi capita di incrociarlo di nuovo in bici – Malacarne, non Di Luca – mi viene voglia di dirgli che casomai gli presto io le mie scarpe da lavoro con la punta anti-infortunistica.