«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

domenica 23 dicembre 2012

Il ciclismo davanti al caminetto (9^ p.)

SE IL CICLISMO NELLE SUE COSE FONDAMENTALI NON HA PATITO MOLTI CAMBIAMENTI, LO HA FATTO TANTO NEL COME VIENE RACCONTATO E PROPOSTO. CHE SIATE CICLISTI CAMPIONI O CHE SIATE CICLISTI PST.
L’inverno dei ciclisti che corrono è finito. Il mio invece sarà lungo ancora un mesetto. Solamente dalla seconda metà di gennaio tornerò a curiosare sul termometro pronto a cogliere l’eventuale occasione. Il periodo che preferisco nell’annata ciclistica non è solamente quello legato al Giro, ma anche quello legato alle prime giornate assolate di febbraio. Essendoci un sole che riscalda poco, quel poco te lo cerchi e quando lo trovi te lo godi appieno. Grazie (grazie?) al mio inverno senza bicicletta, o roba che gli somigli, le gambe di febbraio sono dure, doloranti, piangenti. Così è un lento ripartire da zero, un cancellare la mia lavagna ogni sera, sapendo che la mattina dopo dovrò ricominciare. Perché? Per non dimenticare come si comincia. Penso al “vecchio” ciclismo, quello che fino a metà anni ’90 aveva una stagione molto più semplice nel suo disegno. Le squadre si ritrovavano a metà dicembre, visite mediche, vestiario, misure della bici, qualche pedalata ma poca roba. Iniziavano a lavorare veramente con l’arrivo di gennaio, pedalavano insieme per una decina di giorni poi, in base al calendario di gare scelto dall’atleta, già si lavorava in maniera specifica. Se puntavi alla Sanremo e a qualche classica di Aprile eri in sella prima degli altri compagni di squadra. Iniziavi a carburare forte alla Parigi-Nizza, oppure alla Tirreno-Adriatico se decidevi per l’Italia, perché avevi già cominciato a macinar chilometri da un pezzo. Negli anni del ciclismo in bianco e nero l’inverno ciclistico durava anche un paio di settimane in più, perché le gare non arrivavano prima di marzo. L’australiano Tour Down Under, il sudamericano Giro di San Luigi nemmeno esistevano. Nemmeno la Corsa dei 2 Mari è così antica (1966). Venne pensata anche allo scopo di dare un periodo di corse ai nostri campioni, per permettergli di avere una bella condizione senza dover andare a fare la Parigi-Nizza.
Anche il raccontare il ciclista durante l’inverno era cosa diversa. Oggi, per accettata comodità di tutti, squadre e stampa, la squadra Tal dei Tali fa sapere che il ritiro si terrà dal giorno tot al giorno tot, nella località Vattelapesca. Vengono organizzati un paio di giorni da ”aprire” alla stampa, in cui i ciclisti sanno che saranno a disposizione più che gli altri giorni. Così i giornalisti inviati si ritrovano a dover intervistare tre o quattro ciclisti nell’arco di poche ore. A casa dell’atleta si va meno, anche perché appena finita la stagione i ciclisti stessi spesso partono dopo pochi giorni e vanno a farsi due o tre settimane di vacanza, andando a cercarsi il mare che solitamente devono saltare in estate. A meno che non abbiano figli che vanno a scuola, dove chiaramente tutto cambia. Un tempo capitava spesso che i ciclisti preferivano restare in casa, perché con le corse giravano l’Europa per 9 mesi e ne avevano – comprensibilmente, a pensarci – piene le scatole di andare a zonzo anche quando non correvano. Ma anche perché lo stipendio di una bella stagione serviva per comprare casa, altro che la macchina da 2.500 o passa di cilindrata! Sono cambiate anche le riviste del ciclista della domenica, con quest’ultimo razza ormai in estinzione. Cambiate non in tutto ma certo in tanto: nei servizi, oggi guardati molto alla competizione e alla preparazione ad essa (se si dovesse seguire alla lettera le tabelle di allenamento proposte, una persona non potrebbe nemmeno avere un lavoro), nel modo di impostare le pagine di pubblicità lavorando psicologicamente con frasi e slogan verso un prodotto che parlano di vittorie, di limiti da superare, per far credere al ciclista della domenica che può fare le stesse cose del campione, quindi prodotti alimentari usati dal professionista (nella foto 1 no di certo!), biciclette, vestiario, strumenti, allenamenti il più possibile uguali al professionista. Emulazione (e una barca di soldi). Fin dalle copertine delle riviste. La copertina, quella che vediamo sulla scansia dell’edicola, è la prima presa di contatto con il lettore. Avete in casa vecchie riviste della prima metà degli anni ’90? Troverete molto più sovente immagini di ciclisti sorridenti, decisamente rilassati nel loro proporsi in bicicletta (e magari con un fisico non perfettamente ciclistico…), mentre con il passare degli anni siamo passati a foto scattate in momenti di una certa intensità agonistica durante le corse stesse. Visi più seri, contratti, rappresentanti un essere umano molto preso dalla concentrazione, dalla tensione, dalla fatica del momento. “But the times, they are a changin…” cantava un tizio che ogni tanto strimpella ancora…

mercoledì 12 dicembre 2012

Il ciclismo davanti al caminetto (7^ p.)

ESISTE IL VANGELO DEL PERFETTO CICLISTA? CERTO! IL MANUALE DEL PERFETTO “CICLISTA PST”. SE STATE MESSI MALE ALLO STESSO MODO FATE SAPERE, COSI’ IL GRUPPO AUMENTA.
VESTIARIO; sembra incredibile, ma da questo punto di vista il Ciclista PST è una bestia simile alla maggior parte dei corridori. Ci sono alcuni casi preoccupanti – che non riguardano chi scrive, almeno per ora – dove si segnalano due paia di calzini ai piedi nel mese di febbraio. Se lo adotterete anche voi il paio “esterno” dovrà possibilmente essere di lana per dare un senso più “rustico” al potente gesto atletico. LA BICICLETTA; non è che ci siano cose particolari al riguardo. Speranza è che non vi sognate di pulire la catena pregna di sporco con una spazzola metallica (ebbene si, in passato un’ex componente l’ha fatto!). Per il resto credo che il Ciclista PST sia somigliante agli altri bipedi velocipedisti. Comunque, una specialissima (quella di chi stavolta scrive) con un telaio di “vecchio” alluminio, e con forcella di “vecchio” acciaio, è perfetta per ricordare a tutti il ciclismo quasi primitivo, tenendo conto che se oggi non hai anche le camere d’aria in carbonio sei vecchio. Mi raccomando la tripla moltiplica. Darà al contesto un guizzo di pietoso entusiasmo, e se vi viene chiesto perché avete voluto una tripla sulla bici la risposta sarà; “Manuel, il mio signore e padrone, usa la tripla”. Se per i primi tempi preferite usare i pedali “normali” (quelli da scarpe da ginnastica, tanto per capirci) sappiate che chi scrive lo ha fatto per anni e anni, correndo così anche una GF.
LA SALITA; …e qua ti voglio!! L’unica cosa che conta è che vi diate improvviso contegno quando state per incrociare altri ciclisti. Quindi stop a sbandamenti preoccupanti, e largo a dignità, fierezza, ecc... Come quando nelle pedalate ringiovanite di 10 anni nel giro di cinque secondi perché avete intravisto la postazione fotografica che vi immortalerà (foto n. 2 per l’esempio pratico, salendo verso Faller di Sovramonte). Se avete la possibilità di pedalare in compagnia, e altri ciclisti vi stanno raggiungendo nel salire, inizierete ad alta voce un discorso del tipo; “Allora ragioniere, ricorda che sfida nel Giro del 1988 tra l’italiano Pantani e il campione dell’Est Tonkov!” E chi è con voi vi risponderà; “Ma no ingegnere. Quella fu un’epica contesa del 1998, perché nel 1988 fu l’americano Andrew Hampstein a trionfare nella competizione sportiva denominata Giro Ciclistico d’Italia!” ALIMENTAZIONE; niente bevande particolari in borraccia. Acqua e basta, per l’integrazione in sella. Per quella invece una volta scesi di sella (foto 3, durante la prova in linea alle Olimpiadi di Atene), girate il Cristo che non veda e non ponete limite alla fantasia. Dal punto di vista del mangiare evitate almeno una cosa; spalmare Nutella sulle crostatine alla cioccolata per colazione. Chi scrive non si è mai ridotto così, ma abbiamo avuto anche chi ha tentato questa esperienza (e che secondo me ancora, zitto, zitto…).
PEDALARE IN GRUPPO; Gruppo? Quale gruppo, che se siamo in quattro è quasi roba da record? VELOCITA’ DI CROCIERA; qui c’è l’essenza del “Ciclismo PST”. Se arrivate a casa con una media superiore ai 23 chilometri orari, sappiate che probabilmente quando avrete finito la doccia noi saremo in procinto d’arrivare. C’è gente che non mi crede, perché per loro pedalare a medie sotto i 25 vuol dire andare piano. La (bassa) questione velocistica è la cosa che ci contraddistingue dagli altri. C’è gente che anni fa si è stufata presto di pedalare solo per passione. RIFORNIMENTO; le solite crostatine (quelle che Cassani non ne può più di vedere), frutta secca, banane, barrette economiche di riso soffiato, che comprerete al Lidl per pagarle meno della metà di quelle che sono di marca. Questo elenco già rappresenta un buon 80% di quella che sarà la benzina che userete per i vostri potenti bimotori. Se invece avrete organizzato una gita dolomitica, in macchina non potranno mancare vino, caffé, grappa, birra, dolci, panini, formaggio, insaccati, grappe che verranno corrette con il caffè,…. non so, fate voi! Noi una volta abbiamo organizzato anche una grigliata dopo essere saliti e discesi dal Passo Brocon. SOSTE; per la stragrande maggioranza dei ciclisti questa parola è semplice bestemmia. Fermarsi vuol dire perdere il ritmo, quindi facilmente abbassare la media, quindi rovinare l’allenamento, cose inaccettabili Dio mio! Per voi vorrà dire dai 10 ai 20 minuti di respiro, per fare fotografie sceme se uno vuole, e sedersi su di una panchina a sparlar male degli altri ciclisti che intanto passeranno, o degli esperti Rai per il ciclismo. TABELLE DI ALLENAMENTO; tabelle di che?..... al massimo la lista dei vini. Il “Ciclista PST” pedalerà dall’inizio di febbraio a tutto novembre. Praticamente decide il termometro. Raramente supererà i 100 chilometri, solitamente si manterrà in una forbice che andrà dai 40 ai 70 “cappaemme”, che comprenderanno poca pianura e tanto “mangia e bevi” (manco a farlo apposta…). Questo per quanto riguarda le pedalate della domenica mattina. Durante la settimana ognuno farà quel che gli pare. Vuoi pedalare 30 chilometri? 50? 80? Te li fai e stop. Poi spazio all’inverno del ciclista che penso di aver già raccontato nel passato.

sabato 8 dicembre 2012

Il ciclismo davanti al caminetto (6^ p)

UNA FOGNA, PER DIRLA TRISTEMENTE SEMPLICE. QUESTO STA DIVENTANDO IL CICLISMO GRANFONDISTICO. SPERANDO DI NON BECCAR DENUNCE DAL BLOG DI CYCLING-PRO (SPERO ALMENO MI AVVISINO PRIMA), “RUBO” LORO QUESTO ARTICOLO.
“La notizia l’abbiamo data un mese fa, ma solo oggi è stata ufficializzata: la Procura Antidoping del Coni ha chiesto due anni di squalifica per Lucia Asero, vincitrice del percorso medio alla Gran Fondo Campagnolo Roma. Dopo la gara la Asero era stata controllata (pare si trattasse di un controllo mirato, ad personam) e trovata positiva all’eritropoietina ricombinante. La notizie vera è però un’altra ed è molto più drammatica. Quello della signora Asero è il decimo caso in dodici mesi di positività a ormoni peptidici (Epo, Darbopoietina, Cera…) di un ciclista non professionista in Italia. Per essere chiari: nessun altro sportivo italiano, a parte questi dieci ciclisti (età 30-55 anni), è stato trovato positivo a queste sostanze nello stesso periodo e nessun ciclista europeo ha fatto la stessa fine. Insomma, veramente una situazione da prima pagina. Difficile trovare parole ma più che investigatori qui servirebbero sociologi e psicologi bravi, anche perché questi casi derivano da un numero limitato di controlli: quanti sono veramente gli amatori che si fanno di queste porcherie? Nessuno dei dopati parla, spiega, racconta. Ma perché lo fanno? Perché Lucia, che ha 42 anni, fa l’architetto e vive in Sicilia, si è fatta di eritropoietina? Sappiamo che la sua passione per il ciclismo amatoriale è relativamente fresca, che prima andava pianino poi di colpo molto forte e che addirittura a un certo punto ha cercato di mettere in piedi un team professionistico femminile dove avrebbe corso lei stessa. A quarant’anni? Ma perché? Poi i dopati tornano. Scontati i due anni di squalifica è tornato a correre l’epo-vincitore della Maratona Dles Dolomites, Michele Maccanti. E magari tornerà anche un altro ex re (?) delle Dolomiti, Giuseppe Sorrenti Mazzocchi, beccato per Epo sei mesi fa. I regolamenti lo permettono. E qui c’è l’errore fondamentale. Quello di farli tornare. Nel suo corposo programma politico pre-elettorale, Renato Di Rocco dedica poche e confuse parole agli amatori. Noi vorremmo solo che vi fosse inclusa una frase: «Chi viene squalificato per oltre due anni (quindi per positività gravi e ingiustificabili) non può ottenere più una tessera di tipo agonistico». Basterebbe questo. Non c’è diritto al lavoro da difendere: sono amatori. Vanno difese la salute pubblica e la dignità di un movimento che sta diventando lo zimbello del mondo.”
Mi piacerebbe sapere l’idea di chi passa da queste parti, che ogni tanto si ferma due minuti e legge. Gente che magari nelle GF ci corre ancora, e quindi “vive” quell’atmosfera dal gruppo. Sapere se tra i granfondisti se ne parla e come viene vissuto questo cancro. Io ho mollato l’ambiente granfondistico anni fa, non ne ho mai avuto impianto, e forse questa è un’altra cosa triste. Il doping nello sport amatoriale (parola ormai sempre più illogica visti i costi per ogni cosa e le vicende d’imbroglio che saltano fuori a numero sempre maggiore) non trova nessun appiglio giustificativo. Se il doping nel professionismo è truffa in ambito sportivo, quello del ciclista “della domenica” è ancor meno sopportabile. Ma fino a che le società che vengono rappresentate da queste persone false non andranno incontro a sanzioni o penalizzazioni (tipo; “Spiacenti, ma la vostra Società il prossimo anno non sarà accettata nella nostra corsa” non cambieranno le cose. E se poi la legge continua a permettere di tornare, tra dieci anni saremo nella stessa situazione. Nel ciclismo amatoriale non esiste l’ultima ruota del carro. Non ci sono contratti da rispettare, prestazioni da fare o da confermare per non perdere un contratto. Tutto il castello di “obblighi prestazionali” nasce nella testa della singola persona. Una cosa che vuoi, cerchi e non puoi scaricare sugli altri. Comunque se avete due righe d’idea e le lasciate, niente di meglio.

lunedì 12 novembre 2012

Il ciclismo davanti al caminetto (3^ p.)

GONFIATE LE RUOTE? IL CASCO DA FASTIDIO? TIRATE UNA TESTATA SUL MURO. SENTIRETE COSA SIA IL FASTIDIO! CHIAVI DI CASA E TELEFONO SONO IN TASCA? POTETE INIZIARE A FARE I CICLISTI E CHE LO SPIRITO DI SGARBOZZA SIA CON VOI. Ed eccovi al momento senza appello. Quello in cui capirete se i soldi fin’ora spesi saranno valsi le silenziose bestemmie scaricate dentro di voi quando lo scontrino è stato battuto. So già che dentro l’animo sentite affiorare lo spirito dei grandi Campioni del pedale e vi sentite tali. Scorrono davanti a voi leggendarie figure sportive che portano i nomi di Davide Cassani, Vladimiro Panizza, Gigi Sgarbozza, Mario Beccia. Nomi da far tremare le gambe, altro che farle girare! ULTIMI CONTROLLI. Prima di buttarvi come dei pazzi scatenati per la strada (do per scontato che avete sistemato l’altezza del manubrio e la posizione della sella) dovete provare che le “tacchette” di aggancio ai pedali siano sistemate perfettamente. Fate dieci minuti di ciclismo avanti e indietro sotto casa, per provare ed eventualmente cambiarne la posizione che terrà incollati i vostri piedi alla bici. Fate delle prove di aggancio e sgancio con entrambi i pedali, per evitare schianti a terra lesivi; A) per il vostro morale, B) per la vostra bicicletta. Provate i freni. Resterete stupiti della loro efficacia e dovrete abituarvi. Prima si agisce con il freno posteriore. Soltanto un’istante dopo tirate anche l’anteriore, che rallenterà di più il mezzo. IN SELLA LAVATIVI! Per abituarvi ad usare il cambio bastano cinque minuti. La raccomandazione è una sola; non cambiate mai sotto sforzo!! Nel momento in cui farete spostare la catena, la pedalata dovrà essere alleggerita. Bastano pochi istanti per salvaguardare il cambio che, tanto per ricordarvelo, è uno dei componenti più costosi di tutta la bici. Non preoccupatevi se non sapete che marcia usare. Intanto imparate a usare bene il cambio! Per imparare ad usare bene i rapporti avrete tempo.
PRIME FATICHE, MAGARI NON DA SOLI. Se pedalate con altre persone, non sarebbe male avere qualcuno da cui poter “copiare” qualcosa, e siccome è la vostra prima pedalata usate pazienza e buonsenso. Pazienza di non chiedere alle vostre gambe miracoli, e il buonsenso di avvertire i compagni di gruppo che siete un novizio (o novizia). Se saranno persone di coscienza, prima ancora che ciclisti di coscienza, ne terranno conto evitando di fare tanto i fighetti e avvertendovi con maggior preavviso di eventuali segnalazioni che tra loro sono abituati a scambiarsi solitamente in un battito di ciglia. Nell’arco di quattro o cinque allenamenti inizierete ad assimilare le cose più velocemente. Capirete che se in pianura dovete stare a circa 50 centimetri dalla ruota di chi vi sta davanti (col tempo saprete avvicinarvi anche di più, ma intanto iniziate così), in discesa dovrete tenere diversi metri di distanza da chi vi precede, per evitare che se un ciclista cade davanti a voi non me lo centriate in pieno. Vi sconsiglio di fare le vostre prime uscite con ciclisti che si stanno allenando da mesi perché in vista di imminenti competizioni che li attendono. Verreste abbandonati fin dai primi chilometri al vostro destino. Tenete in mente una cosa. Il primo giro in bicicletta, anche se limitato a soltanto una ventina di chilometri, darà il battesimo ciclistico al vostro fondoschiena. Sappiate che se tornerete ad inforcare la bicicletta pochi giorni dopo (diciamo fino a 3 o 4 giorni) i primi 5 minuti vi faranno vedere le stelle anche se saranno le 10 di mattina. Ma poi passa…
CHE CICLISMO? Bella domanda. Qui non c’è sito internet, rivista, Ciclismo PST o chiacchiera di ciclista che possa parlare per voi. Solo voi potete/dovete scegliere che tipo di ciclisti volete essere. Volete diventare ciclisti ammazza-madre per vincere il salame della sagra paesana? Troverete un’abbondante compagnia. Oppure il salame preferite mangiarvelo con calma e godervi ogni morso? Inscrivetevi all’AC PST e siete benvenuti. Se invece non volete iscrivervi va bene lo stesso, basta che usiate il casco e poi ci berremo un bicchier di vino alla prima occasione giù di sella. Ho messo giù consigli che, in linea di massima, vi saranno utili. Ma state tranquilli che tante cose mancano all’appello e non sono poche; sulla bici, sul come pedalare, sul vestiario, sull’alimentazione, ecc... è quel qualcosa in più che dovete metterci voi. Non sto a inculcarvi la teoria che il ciclismo è lo sport più bello del mondo, perché non ho mai sopportato una frase del genere e chi lo ripete di continuo. Anche una partita a scala 40 può essere la cosa più bella del mondo se vissuta con passione. Non fatevi dire dagli altri se una cosa è bella e quanto lo sia. Decidetelo voi. FINE.

giovedì 8 novembre 2012

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

STATE PENSANDO DI DIVENTAR CICLISTI, MA NON AVETE IDEA SU COSA VI SERVA? QUESTO E’ IL PERIODO BUONO PER PROVARE A BUTTAR GIU’ QUALCHE IDEA. INIZIAMO DA BICI E VESTIARIO.
La prima bicicletta, solitamente, arriva quando si è ragazzini. Non vi dico la mia cos’era! Ma la prima bici da corsa può arrivare a trenta, quaranta o anche cinquant’anni. Così ragazzini si torna ad esserlo. Vediamo se è possibile stilare una serie di consigli, che possono tornar buoni a chi vuole cimentarsi per la prima volta nel ciclismo. Queste considerazioni verranno fatte guardando al famoso ciclista “della domenica”, e per niente milionario. Se poi, con il tempo, cercherete lo sport vissuto in modo prettamente agonistico buona fortuna. BICI NUOVA? BICI USATA? Non è possibile dare una risposta soddisfacente. Questo per la varietà quasi infinita di occasioni – tra nuovo e usato – date dal mercato, e perché nessuno meglio di voi sa quanto potete spendere. Certamente, se potete spendere senza patemi, W l’Italia! Il punto di partenza più facile dovrebbe essere chiedervi quanto intendete usare la bicicletta. Siete padroni di spendere anche 5.000 euro per una bicicletta con cui pedalerete 500 chilometri all’anno. Chi vi dice niente? Ma con un po’ di pazienza potete trovare un buon usato che per diversi anni vi può permettere di fare migliaia di chilometri ogni anno, senza dover rinunciare a due o anche tre stipendi. Lo svantaggio principale è che una bicicletta nuova sarà fatta a misura vostra. Quella usata dovrete trovarla perfetta (può capitare, anche se già più difficile), oppure trovare una misura molto vicina alla vostra ideale, e poi “adattarla” cambiando cose come il manubrio nella sua larghezza, la lunghezza della “pipa” del manubrio stesso, forse la lunghezza delle pedivelle e spostare avanti o indietro la sella finché non sarete comodi. Posso dirvi che se non avete intenzione di fare chissà quanti chilometri, e volete vivere il ciclismo senza praticarlo in modo troppo esasperato, ho amici che da anni usano delle biciclette usate – e pagate molto meno di quando nuove – e che funzionano molto bene. Se non avete nessuna persona che possa consigliarvi, e voi nessuna esperienza, la cosa più semplice è andare dal meccanico scelto e dire chiaro che non potete spendere oltre “tot” euro. Non comprate mai, nuovo oppure usato, dalla sera alla mattina. SULLA BICI CHE COSA CI VUOLE? Se un negoziante è anche un buon venditore – e non è automatico – almeno un borsellino con una camera d’aria e quel che serve per ripararvi una foratura ve li regalerà. Rischiando di svenire, magari anche una borraccia. La mini-pompa per gonfiare le ruote dovrete invece comprarvela, ma fate attenzione che per gonfiare bene le vostre ruote allora ci vuole la cara vecchia pompa “su e giù”, quella che usiamo a casa e teniamo ferma con i nostri due piedoni sulla base. Due borracce ci vogliono, a meno che non abbiate la pazienza di fermavi quasi a ogni fontana nel periodo estivo (se fontane ne avete…).
PER ME CICLISTA? OCCHIO AL “FUORI STAGIONE”! chiedete al negoziante se comprando la bici può venirvi incontro per l’acquisto di un casco. Usatelo. Anche d’inverno. Non fate le piaghe! Basta allungare il cinturino nella regolazione di un centimetro e potrete indossarlo anche con un berrettino in testa. Senza fastidi. Il contachilometri può arrivare in un secondo tempo. Piuttosto, acquistate degli occhiali da ciclista. Un insetto anche molto piccolo dentro l’occhio farà un male cane se vi “centra” perfettamente. Su le antenne!; io ho comprato le mie ultime due paia presso un supermercato ben fornito. Non sono “marcati” ma vanno da Dio e costano la metà. A voi la scelta. Per l’abbigliamento vi consiglio di prepararvi a dover spendere non poco, e per questo vi raccomando di avere cura dei capi di vestiario. Un consiglio che mi sento di dare è quello di andare nei negozi specializzati più grandi nel “fuori stagione” di vendita e chiedere se vengono fatti sconti se qualcuno acquista a ottobre/novembre una maglietta estiva o cose per la bella stagione. Le scarpe, solitamente molto costose, vi possono durare diversi anni a meno che non le usiate per giocare a pallone con mattoni di porfido tipo Roubaix, o abbiate comprato delle mezze porcherie! Ma visto che non sono un capo di abbigliamento stagionale difficile trovare sconti, se non quelli decisi dal negozio in linea generale per un proprio periodo promozionale. Alcuni negozi, di solito quelli più grandi, esibiscono proprio la scritta “occasioni” per vendere a marzo l’abbigliamento invernale, e a ottobre quello estivo. In alcuni casi potete andare dal 15 al 20% di sconto. Io stesso ho comprato a fine aprile giacche da mese di febbraio/marzo, oppure calzini, guanti e pantaloncini estivi a fine ottobre. Ho risparmiato non poco. Comprate una mantellina per la pioggia, e credetemi che anche al mercato ne trovate di ottime pagandole metà. Un berrettino da ciclista chiedetelo al momento in cui comprate la bicicletta. Avvertimento per i calzini; anche se “di marca” non abbiate paura di comprarli almeno un numero (meglio due) più grandi. Credetemi! Anche se di qualità, dopo 4 o 5 lavaggi un “numero” sarà già andato. ALTRE COSUCCE… Altre cose verranno pian piano. Attrezzi per sistemare la bici, lubrificante (per l’amor di Dio, non andatemi dal meccanico per far oliare la catena!). Una cosa utile sono i manicotti – quei “pezzi” di manica, solitamente neri – che si rivelano utili. Essendo buoni a ogni stagione è però difficile poterli trovare venduti scontati in certi periodi dell’anno. I miei ce li ho da una dozzina di anni. L’elastico sta andando in malora. Me lo farò cambiare da una sarta, spenderò 6 o 7 euro e starò a posto per altri, diversi, anni. Oppure li ricompro e spendo 3 volte tanto? Su, andiamo! Le strisce “para-orecchie” in pile sono benedette nel periodo freddo. Sulle bancarelle del mercato ne potete trovare di perfette a metà prezzo rispetto a quelle “marcate” dei negozi specializzati. In linea di massima queste sono le cose necessarie per iniziare a far ciclismo. Poi, per dirla semplice, tutto dipende dal portafoglio che avete. Nel giro di due/tre anni vedrete che avrete tutto quel che serve per affrontare ogni stagione dell’anno. Nel prossimo appuntamento, due righe sulle prime pedalate. CONTINUA…..

sabato 3 novembre 2012

Il ciclismo davanti al caminetto (parte 1)

IL CICLISMO D’INVERNO. QUELLO DAVANTI AL CAMINO, QUELLO DELLE RIFLESSIONI, DEI PENSIERI A BORRACCE VUOTE. INCONTRIAMO ILARIA PRANZINI, SENZA ESAGERARE “THE OFFICIAL ITALIAN BLOGGER” RIGUARDANTE UN CERTO ANDY SCHLECK.
Il ciclismo davanti al caminetto è più quello del ciclismo pane e salame che non quello delle classifiche. Andiamo ad iniziare oggi questa serie di articoli che solitamente prendono spazio nel periodo autunno/inverno. Conoscendo Ilaria da alcuni anni non ho avuto difficoltà a mettere in piedi questa intervista in cui non si parla di Andy Schleck, ma di chi appunto racconta un’atleta. Ilaria segue la carriera di Andy da diverso tempo. Abita a Firenze (lei, non Andy), laureata, insegna filosofia, parla diverse lingue, fa la mamma, e per ora basta così. Il resto ce lo facciamo raccontare. Le foto di questo articolo (tranne la prima) sono state "rubate" dal profilo Facebook di Ilaria. Cara Ilaria, potrei prendere un vecchio numero di “Ciclismo” (rivista per cui in qualche occasione scrivi) e trovare spunto da lì. Ma mi piace far finta di niente e trattarti da emerita sconosciuta. Da alcuni anni nel tuo sito segui con puntualità la carriera di Andy Schleck. Perché proprio lui? Cos’è che ha fatto scoccare la scintilla ciclistica? “Meglio così visto il titolo del famigerato articolo – non scelto da me e tantomeno concordato. Che devo dire? Sembrerà strano ma nel 2007 non mi ero accorta di Andy, che a 21 anni era arrivato secondo al Giro vincendo la Maglia Bianca. L'ho notato al Tour 2008, in particolare nelle tappe alpine: aveva una potenza in salita e una compostezza non comuni.” Andy è uno dei “big” del movimento internazionale. Difficile stargli dietro dal punto di vista delle notizie o delle curiosità che lo riguardano? “Sì, molto e per due motivi opposti: da un lato Andy è una star, dall'altro è un ragazzo molto timido. Nel 2008 io sono andata tranquillamente a suonare alla porta dei suoi genitori in Lussemburgo e ho conosciuto praticamente tutta la sua famiglia, ma quando Andy è diventato famoso – dopo la vittoria nella Liegi nel 2009 e poi come sfidante di Contador al Tour de France – ha subito un vero e propro assalto da parte di media e fan, cui ha reagito male, chiudendosi in se stesso. La cosa è peggiorata dopo la 'cacciata' dalla Vuelta nel 2010 e adesso avere a che fare con Andy non è per niente facile: rilascia pochissime interviste e le notizie 'personali' passano solo per via confidenziale. Abbiamo molti amici in comune, il che significa che io vengo a sapere molte cose... ma mi guardo bene dal pubblicarle sul mio blog! Per Andy la sfera privata è sacra e MOLTO ampia. Per fare un esempio: alla presentazione della Leopard, in Lussemburgo nel 2011, gli ho detto “Allora sei andato ad abitare da solo finalmente!” e lui: “Questo è privato”. Ma lo sapevano già tutti! Io non l'ho scritto fino a quando non è stato ufficializzato in un'intervista su Le Quotidien.” Solitamente, quando ti capita di poterlo incontrare direttamente? "Nel 2010 ci siamo visti praticamente una volta al mese! Alle corse, alle conferenze stampa, durante i ritiri e altre iniziative della squadra. Due volte ho 'rischiato' di incontrarlo in Lussemburgo: la prima, sotto Natale 2009, avevamo un appuntamento, ma lui era a caccia ha fatto tardi, la seconda... abbiamo litigato di brutto. Ma alla fine è servito a rinsaldare il nostro rapporto. Quest'anno è stato un vero disastro: dopo il ritiro a Calpe pensavo di vederlo alla Parigi-Nizza, a Liegi e poi al Tour de France, ma... sappiamo come sono andate le cose. Però ci siamo sentiti per sms.”
Essendo un ciclista molto famoso a livello internazionale, i suoi sostenitori saranno ben distribuiti. Hai contatti con suoi fans di altre Nazioni? “Faccio parte del Fan Club Frank e Andy Schleck, con sede nel Lussemburgo ma iscritti in tutto il mondo. Ce ne sono molti in Francia e anche negli USA. In Italia c'erano nel 2007/2008 ma la cattiva stampa e il rifiuto di tornare al Giro li hanno decimati. Molti fan seguono il mio blog e molti mi chiedono l'amicizia si facebook. All'inizio ero contenta e curiosa, ma mi sono stufata presto: per lo più si tratta di ragazzine! Poi ci sono gli appassionati di ciclismo, quelli che lasciano commenti seri, alcuni 'interni' alla squadra o al mondo del ciclismo. Gli Schleck in Lussemburgo sono stati e in parte sono ancora eroi nazionali. Nel 2010 al Gala Tour de France c'erano 30.000 persone in un paese che ha circa 300.000 abitanti! Attualmente però la loro popolarità è in calo e molti fan si sono trasformati in 'haters', detrattori, che si divertono a prenderli in giro nei forum e su twitter. Io non mi sono mai definita né sentita una 'fan', è un approccio allo sport che proprio non mi appartiene. Mi piace il ciclismo, anche nei suoi aspetti tecnici, mi piace andare in bici – quando ci riesco! - e mi piace Andy Schleck, come ciclista e come persona. Proprio perché lo conosco sono ben lontana dall'idolatrarlo il che probabilmente mi impedisce di passare dall'esaltazione alla diffamazione.” Qual è stata la trasferta più lunga che hai fatto per seguirlo? ”Probabilmente quando sono andata nei Pirenei in treno per poi aggregarmi al pullman del Fan Club per seguire l'ultima settimana del Tour. Era il 2010 e io ero convinta che Andy avrebbe vinto. La maglia l'ha indossata quest'inverno dopo la squalifica di Contador e la riassegnazione: era contento ma non soddisfatto. Se ha combinato qualche sciocchezza alla Vuelta è stato proprio per l'immensa delusione di quel Tour: io ero a Parigi e me lo ricordo bene. Ma di trasferte lunghe ne ho fatte tante: arrivare a Calpe l'inverno scorso è stata un'impresa e una volta mi sono fatta 10 ore di treno per andare alle classiche delle Ardenne nonostante il vulcano islandese.” E quella che ti sei pentita di aver fatto, per contrattempi o difficoltà particolari? “Ahahah! Nel 2009, Tirreno-Adriatico, sono andata in treno dopo il lavoro fino a Carrara, ma il treno era in ritardo, la strada per l'arrivo già chiusa e così mi sono dovuta accontentare di vederlo passare a una rotonda sull'Aurelia! E' stato frustrante però non mi sono pentita, lo rifarei anche sapendo che andrà di nuovo così. Magari mi porterei una macchina fotografica decente in grado di dare un senso alla cosa...” Tra quel che scrivi su Facebook, su Twitter ed ovviamente nel tuo sito “Allez Andy”, ne avrai conosciuta di gente che pedala, lavora, dirige nell’ambiente ciclistico di alto livello. Due o tre nomi di persone che sono più simpatiche di altre? “Be' ovviamente Mauel Moz! Ihih. Va be', seriamente: per il reparto commentatori, fra gli italiani Laura Grazioli di CicloWeb, il mio punto di riferimento per la pista e ottima amica, poi Stefano Bertolotti, compagno di ogni partenza e arrivo vissuti sul posto, fra gli stranieri senz'altro l'americano Daniel Benson di Cycling News – la bibbia dell'informazione ciclistica! - poi l'olandese Renaat Schotte di Sporza e l'inglese Anthony McCrossan: ottimi giornalisti ma anche persone squisite. Fra i fotografi il mio preferito in assoluto è il lussemburghese Georges Noesen: quando Andy parlava in conferenza stampa dopo l'incidente al Delfinato gli ho chiesto se andava e di mandarmi una foto, perché lui sa cogliere l'anima e io volevo capire come stavano veramente le cose. Fra i dirigenti di federazione l'unico che conosco bene è il Segretario di quella lussemburghese, Ed Buchette: averne anche in Italia di dirigenti così! Ne ho detti proprio pochi, me ne vengono in mente tanti altri. Fra i ds... sarò contro corrente ma a me Bruyneel piace, come persona, al di là del bene e del male. Poi non posso non nominare il grande Danny In T Van: autista storico prima della Saxo Bank e poi della Leopard- RSNT. Corridori? Ce ne sono troppi! Ci vorrebbe una domanda a parte.” Solitamente scrivi in inglese. Penso io; da noi Andy non è seguito. Oppure è una tua scelta precisa visto che parliamo di un ciclista estero? "Ho cominciato in italiano ma non mi seguiva nessuno. Non è un fatto ciclistico ma un fatto di cultura informatica: il mio blog si è inserito in un filone preesistente in lingua inglese, quello dei blog ciclistici femminili. Negli anni però Allez Andy! è cambiato, è diventato più 'serio' e forse meno 'femminile'. Sono cambiati anche i lettori, che però sono sempre tanti e da tutto il mondo. Scrivere in inglese ha il vantaggio di metterti in contatto con tutti. Nonostante i cambiamenti, sono rimasta fedele all'ispirazione originaria: scrivo di ciclismo ma anche di me e cerco di dare importanza al raccontare, allo scrivere bene. In inglese non è esattamente un compito facile, ma insomma... dicono che sono migliorata! Il famigerato articolo di “Ciclismo” mi presenta addirittura come insegnante di inglese! Falso: insegno – ogni tanto – filosofia...”
Mai avuti “reclami” dai diretti interessati, anche se in modo bonario, su articoli che avevi fatto su Andy o altri ragazzi del Team Radioshack? Se si, quando? “Assolutamente no. Chi mi legge sa che a volte ci sono andata giù dura ma nessuno ha mai protestato. Nel 2010, come accenato sopra, io e Andy abbiamo litigato di brutto e io ho pubblicato un articolo che ha fatto arrabbiare molti. Non lui. E notare che proprio quell'inverno Andy ha chiesto e ottenuto la chiusura di un sito – www.andyschleck.com – che era stato scambiato dalla stampa per suo sito ufficiale, nonostante fosse chiaramente un sito di fan. Evidentemente fra noi si è creato un rapporto di fiducia: posso essere critica, ma Andy sa benissimo che non scriverei mai contro di lui. Inoltre il mio è un blog serio: niente gossip.” Da cosa e nata la possibilità di scrivere per la rivista “Ciclismo”? Dal caso. Ho conosciuto il capo redattore alla partenza della Tirreno-Adriatico del 2011 a Marina di Carrara e da lì ci siano tenuti in contatto. Quando sono tornata da Calpe con un sacco di foto e di interviste – e dopo aver pubblicato il mio reportage in inglese sul blog – gli ho proposto di scrivere qualcosa per loro e lui ha accettato.“ Qui a Feltre c’è un tizio che se gli parli della Madonna o della Guderzo per lui è la stessa cosa. Mai avuto a che fare con fanatici del genere tramite il tuo sito? “Sì e no. Ho avuto a che fare con ragazzine isteriche, questo sì. Sono stata accusata di lesa maestà quando ho detto che Andy era tenuto a rispondere alle mail/Sms come un comune mortale e che altrimenti era un maleducato.... Ma tutto sommato le fanatiche si rivolgono altrove. Credo che il punto dirimente sia la mia conoscenza reale di Andy, nel mondo terreno. Una volta una ragazza aveva commentato una sua foto con frasi estremamente imbarazzanti, le ho fatto notare che probabilmente le avrebbe lette e... ha funzionato. Molte persone parlano su internet come se i corridori fossero personaggi di un telefilm, irreali e privi di sentimenti. E' una cosa che non sopporto.” Hai dei ciclisti del passato che seguivi? “Da bambina il mio mito era Indurain, poi mi sono innamorata di Roche, l'anno che vinse tutto. Poi direi basta per un bel pezzo.” Hai contatti con altri blogger che magari fanno quello che fai tu, ma con altri ciclisti? “All'inizio ne avevo di più, soprattutto con Maggie di “Andy Schleck best bike racer in the Universe” and Sansen by “Men, bikes, fishes and women”. Miss Fede di “My blog” è stata una buona amica per anni, siamo anche andate insieme al Tour de France nel 2009. Purtroppo quando ho litigato con Andy ho litigato anche con lei: con Andy abbiamo fatto pace, con Fede no. Mi è dispiaciuto molto. Comunque attraverso il blog ho conosciuto molte persone in tutto il mondo e alcune le ho anche incontrate di persona. Ultimamente me la dico di più con blogger maschi seri, anche se... sono un po' troppo 'competitivi' per i miei gusti. Diciamo che le blogger donne scrivevano per divertirsi mentre molti blogger uomini vorrebbero essere pagati come giornalisti... Uno, piuttosto famoso, l'ho dovuto bloccare su Twitter perché mi copiava le idee e non citava: alla lunga dà fastidio anche perché io cito sempre. Per me internet è bello perché è un'opera collettiva. “Prossimi impegni in agenda per “Allez Andy”? “Sto aspettando le risposte di un corridore per l'ultima intervista della serie Yes We Like. Quest'anno niente Amstel Curacao perché gli Schleck non ci sono. Aspetto una decisione sul caso di Frank Schleck e poi spero di ricevere l'invito a un training camp e/o alla presentazione della squadra per il 2012. Però sto anche meditando di andare a Natale in Lussemburgo... chi sa che non sia la volta buona!” Siamo al triangolo rosso. In queste righe ti ho trattata da blogger, ma da appassionata che ciclismo speri di ritrovare tra quattro mesi? “Sarò sincera: non mi piacciono affatto i toni forcaioli che leggo in giro. Il doping nel ciclismo c'è stato, si sapeva benissimo che c'era e il documento dell'USADA (letto tutto) non svela chi sa quali sconcertanti novità. Sono d'accordo con chi dice che il gruppo da alcuni anni è cambiato e che i giovani hanno una cultura diversa. Direi: hanno una cultura, studiano di più, hanno gli strumenti culturali per capire cosa è meglio, mentre i ciclisti di una volta e fino a pochi anni fa erano spesso estremamente ignoranti e sprovveduti. Non voglio giustificare tutti però i corridori sono l'anello debole della catena: nessuno si droga per divertimento e il grosso dei soldi è sempre andato ad altri. Pulizia è stata fatta già fra chi pedala, facciamola e bene fra chi dirige perché mi sa che lì è stato ed è il grosso del problema. Infine: mi fa piacere sentire che Acquarone vuole fare del Giro una corsa 'riders friendly', amica dei corridori, perché mi fanno ridere quelli che si stracciano le vesti per il doping e poi organizzano corse con tappe di quasi 300 km, cinque gran premi della montagna, ore di trasferimento... Siamo seri: se si deve correre senza doping e senza una medicalizzazione che ci va molto vicino (recuperi, antidolorifici, pillole per dormire) allora le corse devono essere più umane. Amen :)”

sabato 13 ottobre 2012

ALTRO CHE AMARO SFOGO!....

“Non sono l’unico a dirlo e i ciclisti che ho interrogato, nessuno escluso, mi hanno detto che tutti si dopano”. Ettore Torri (Gazzetta dello Sport – mercoledì 6 ottobre 2010, pagina 25).
Due anni fa, quasi esatti, Ettore Torri fece tremare il ciclismo di casa nostra con le parole sopra riportate. Venne additato come un’irresponsabile perché aveva spiegato quello che era emerso dai colloqui fatti con atleti indagati per doping ciclistico. Sembrava fosse solo lo sfogo dettato dall’incapacità di venirne a capo, da parte di un vecchio rimbambito che non si rendeva conto di quel che diceva. Tanto che si lesse poi che non poteva essere lui ad indagare ancora su questioni di doping ciclistico, perché con quelle dichiarazioni non poteva più essere imparziale nel fare il suo lavoro. In questi giorni ecco arrivare le dettagliate, chiare, anche coraggiose dichiarazioni di Leonardo Bertagnolli (che conobbi con un amico sul Pordoi proprio nel 2010), riguardo ai “trattamenti” che per anni il ciclista usò, trattamenti preparati, consigliati, calibrati dall’ormai famoso dottor Ferrari. Bertagnolli ha fatto nomi di colleghi, di località, a spiegato i trattamenti consigliati per conservare il sangue per le sue emo-trasfusioni, i vari costi delle “prestazioni d’opera” fornitegli dall’esimio dottore. È andato avanti diversi anni Leonardo. Cita Vinokurov, Gasparotto, Bertolini, e altri ciclisti non meno noti. Poi, non potendone più, ha ceduto. Prima ritirandosi, poi spiegando tutto a chi di dovere. Coraggioso. Patetico invece Cassani che continua la litania di un ciclismo che oggi è più pulito di un tempo (ma ci spiegasse cosa intende per “un tempo”? Perché è dai tempi di Ullrich e Basso al Tour che la menano con questo “un tempo”!) come se bastasse questo a non farci sentire presi per il culo, da molti protagonisti. Da tutti non credo nemmeno io, ma certamente le favole del ciclismo ripulito è meglio tenerle per carnevale. Come ho scritto non tanto tempo addietro, quella che si va chiudendo non è l’EPOca Armstrong e basta. Non si usi il texano come il Bettino Craxi della situazione (i più giovani forse non sanno molto di chi parlo), o il Luciano Moggi del ciclismo. Entrambi sembravano i soli demoni nei giardini dell’Eden, per poi venire a capo di due fogne (tangentopoli la prima e calciopoli la seconda) che coinvolgevano una lista bella lunga di gente. Cosa centrano con Lance i vari Basso, Sella, Riccò, Piepoli, Scarponi, Di Luca, (toh!, ce n’erano di italiani!) Vedremo adesso cosa si inventeranno tutti gli “ex” che hanno un microfono in mano in veste di esperti – che vengono proprio da quel periodo ciclistico – per cercare di aggirare l’argomento, o tentare di rivoltarselo a modo loro.

lunedì 8 ottobre 2012

EPPUR STIAM DIVENTANDO COSI'.

Mi spacco il sedere su di un sellino dalla seconda metà degli anni ’80. Per questo motivo voglio tirar fuori una manciata di arroganza e dire che ho visto il ciclismo della domenica in quasi tutte le sue sfumature. Il “quasi” lo ficco dentro proprio per non fare la figura del Padreterno. In generale, cioè facendo una considerazione comprendente 25 anni di boracce svuotate in Valbelluna, i ciclisti oggi corrono di più e sono diventati più tristi. Senza distinzione di sesso e di età, il morbo del “Musonis lungo ciclisticus” dopo essersi evoluto e aver proliferato in massa soprattutto nel trevigiano, oggi è sconfinato ed è diventato ormai sempre più presente anche in Vallata. Facilmente figlio di una mentalità egoistica che dalla vita di tutti i giorni – usiamo questo modo di inquadrare la questione – non viene lasciata a casa quando le persone salgono in bicicletta. Quando iniziai a lavorar di gambe, il ciclista della domenica era per lo più un “atleta” che partiva dai 40, anche 45 anni in su. Un ciclista di 30 anni era roba rara. Ce n’erano di quell’età, ma era gente che faceva corse. A me, i ciclisti invece dai capelli (quasi tutti) bianchi, chiedevano perché alla mia età di allora non me ne stavo a correre dietro a un pallone su di un prato. Con il passare degli anni le strade della mattina di festa si sono riempite non poco e la particolarità, fino alla metà del decennio scorso, era che quando “sconfinavamo” fuori dalle nostre strade notavamo un aumento di “Musonis lungo ciclisticus”. Oggi non serve andare fino a chissà dove. Purtroppo anche dalle nostre parti questo esemplare si è moltiplicato. L’età si è abbassata – e qui vive la spiegazione probabilmente più semplice dell’aumento della velocità media – ma le facce sono diventate serie, con un velo di incazzatura verso il mondo che sempre più spesso accompagna questi o queste esemplari di “Musonis”. Un giorno di luglio mi fermo perché vedo un ciclista che ha forato. Era da venti minuti che aspettava/sperava che qualche altro ciclista si fermasse (era senza pompa; sbaglio grave) ma se non mi fermavo io, adesso mi sa che sarebbe ancora lì (vicino a Sospirolo, per la precisione). Pochi giorni dopo a Fianema di Cesiomaggiore noto un ciclista fermo sotto un’albero a telefonare, a una decina di metri dalla strada. Torno indietro e chiedo se è fermo pe problemi. Dice di no, ringrazia, ci salutiamo, e me ne torno agli affari miei. Non troppo tempo dopo buco una ruota. Mentre la sistemo passano 5 o 6 ciclisti. Non in gruppo, sparsi per i fatti loro. Io non avrei avuto necessità, ma uno di loro (una era una donna) mi avesse almeno chiesto; “Oh Manuel, sei proprio tu, nostro Campione dei Campioni. Posso umilmente esserti utile?” Col ca**o! Tutti a tirar dritti e farsi gli affari propri. Ciclisti, ma che ci succede? La bicicletta non era sport di aggregazione, divertimento, condivisione? Tutte cazzate? Beh, almeno abbiate il coraggio di dirlo, invece di regalarci a vicenda falsi sorrisi di circostanza che durano 4 secondi netti, prima di tornare a quel volto triste che sempre più portiamo in giro.

domenica 26 agosto 2012

VERDETTO FINALE? NON SOLO PER LANCE!

Guardando dall’alto l’infinita storia riguardante Lance Armstrong non si va a processare soltanto il ciclista americano, ma volenti o nolenti anche un’intera generazione ciclistica. Chi di ciclismo è profondo appassionato, segue certamente più di altri le tante sfumature che riguardano questo mondo. Nelle cose buone, in quelle cattive e nelle valutazioni che spesso emergono tra le righe. Tornare sulla questione riguardante Lance Armstrong sarebbe solamente una cosa ripetitiva e che poco aggiungerebbe di nuovo. La cosa che invece andrebbe analizzata con un po’ di tempo in più, riguarda il fatto che processare ed eventualmente condannare Armstrong, sarebbe una condanna finale e definitiva non solo per lui, ma per un’intera generazione di protagonisti dello sport ciclistico. Grazie ai miglioramenti continui che negli ultimi 15 anni la scienza medica antidoping ha potuto mettere sul piatto, al riguardo dell’efficacia del proprio lavoro, i risultati dei tanti laboratori “anti-truffa” sparsi ovunque hanno ricevuto sempre più credibilità da parte di tutti. L’attesa per una controanalisi oggi è meno sentita che non un tempo. Il primo risultato gode già di una forte credibilità, per non parlare di certezza assoluta. Anche dagli appassionati stessi. Le favole non le racconti più. Andando a ritroso negli anni (non serve scavare nei decenni precedenti ma bastano anche solamente gli ultimi quindici anni) è impressionante la percentuale di atleti che arrivati sul podio del Tour de France hanno avuto a che fare con questioni, più o meno gravi, legate al doping. Certo non è solo questione di Giro di Francia, ci mancherebbe anche questo. Anche il più tenace e convinto appassionato di questo splendido sport, quando vero e non falsato, non può pensare che solo per il Tour gli atleti facevano uso di prodotti dopanti. Dentro centinaia di fascicoli finiti sulle scrivanie dei giudici di mezzo mondo, ci sono atleti di tante nazionalità e squadre diverse, ciclisti che oggi sono tornati anche a vincere dopo aver scontato le loro rispettive squalifiche. Armstrong può essere considerato un’atleta simbolo, il nome più rappresentativo, ma non è l’unico diavolo in un mondo con sempre meno angeli. Prima di lui ci sono stati gli anni della Telecom di Bijarne Riis e Ian Ullrich, il caso mai risolto di Pantani (in quel caso al Giro) che ha distrutto l’uomo prima ancora dell’atleta, la vicenda della formazione Festina al Tour 1998 scoperta come la prima vera e propria organizzazione ciclistica votata al doping di squadra. Poi la positività di Floyd Landis che da alcuni anni accusa proprio Armstrong, dimenticando che lui stesso, una volta scoperto falso campione, è stato autore di un teatrino del ridicolo che è stato anche più imbarazzante dell’imbroglio stesso. In anni più recenti le squalifiche per Basso, per Ullrich che ha chiuso la carriera, per Vinokurov che incerottato all’inverosimile andava come il vento sulle strade di un’edizione del Tour, per poi venire pizzicato senza possibilità di replica da tanta era la chiarezza della frode. Degli italiani Piepoli e Riccò che furono autori dell’inizio della fine dell’allora formazione Saunier Duval, azienda che aveva appena deciso di investire ancor di più nel ciclismo e due mesi dopo chiuse baracca giustamente schifata. Non dimentichiamo l’edizione 2002 del Giro d’Italia con gli allontanamenti di Simoni, Garzelli, Chesini arrestato durante i giorni della manifestazione, Romano che si costituisce dopo l’emanazione di un mandato di cattura nei suoi confronti, poi Zakirov e Sgambelluri anche loro positivi ai controlli. Riis che qualche anno dopo ammette l’uso di EPO quando vinse il Tour, per poi vederlo ancora oggi a lavorare in carovana, come il tedesco Zabel. Solamente in questi ultimi tempi stampa e addetti ai lavori dei mass media iniziano a fare piccoli timidi accenni a un ciclismo odierno più pulito rispetto al passato. Piccole ammissioni che raccontano tra le righe di quanto i professionisti che hanno raccontato questo sport si siano turati il naso negli anni precedenti, per amor di cosa un giorno (forse) ce lo diranno. Perché tutte le questioni che riguardano l’ex ciclista statunitense Lance Armstrong in questi anni, abbracciano indirettamente tutto il ciclismo che ha entusiasmato con lui sulle strade, che ha fatto lo stesso in termini audience televisiva, che ha riempito di fama molti protagonisti anche idolatrati, italiani e non, degli ultimi tre lustri sportivi. Non è solo questione di ciclismo, tutto lo sport non può permettersi di scagliare la prima pietra. L’iceberg della falsità è emerso con il suo apice, in questo caso sventolando una bandiera statunitense, ma non dimentichiamo che il dottor Michele Ferrari – vero e proprio “guru” mondiale della scienza medica applicata allo sport – non è certo uomo d’oltreoceano. Fino a qualche anno fa era normale porci la domanda “Siamo presi in giro?”. Oggi quella stessa domanda è cambiata, dandoci una risposta sottintesa molto triste, nascosta tra le parole che la compongono: “Quanti e da quanto ci hanno presi in giro?”

domenica 1 luglio 2012

Luglio; l'editoriale.

L’ORMAI ENORME BUSINESS CICLISTICO NASCOSTO DIETRO ALLE GRANFONDO DEVE VEDERSELA CON PENOSI IMBROGLIONI, SPIONI, MINACCE DI QUERELE, INDI AVVOCATI, INDI PROPOSTE CHE INIZIANO A FARE UN PASSO INDIETRO VERSO IL “VECCHIO” SPIRITO GRANFONDISTICO.
“A Feltre viene corsa il 17 giugno la GF Sportful, la vecchia Campagnolo tanto per capirci. Tra le partecipanti figura l’ex olimpionica Dorina Vaccaroni che si classifica al secondo posto del suo percorso. All’ora di cena l’organizzatore (Pedale Feltrino) da notizia che la Vaccaroni è squalificata perché è stata vista attaccarsi ad uno scooter in salita. La denuncia (verbale, non scritta) è stata raccolta senza essere controllata troppo dall’organizzazione, perché la persona che l’ha fatta era persona che godeva di fiducia assoluta. Si parla di un ex atleta olimpico. Martedì 19 arrivano sui giornali le dichiarazioni di rabbia e sorpresa dell’atleta, squalificata prima e riammessa poi. Per bocca del suo Presidente il Pedale Feltrino si scusa con l’atleta, non nascondendo la figuraccia per aver accettato una denuncia d’imbroglio sulla parola, indi aver squalificato la concorrente che non andava penalizzata. Dorina Vaccaroni non ha voluto sentire scuse, ha dato mandato al proprio legale per una denuncia di risarcimento all’organizzazione, che a sua volta dovrebbe rivalersi con una denuncia verso la persona, bugiarda, di cui si erano fidati in principio. Pochi giorni dopo il vice-presidente provinciale UDACE per la Provincia di Belluno, riflette se se non sia ora di togliere la classifiche dalle granfondo, in maniera da togliere ogni possibile discussione. Ma la GF di Feltre aveva regalato momenti di penoso ciclismo fin da prima del via, con ciclisti disonesti che domenica mattina avevamo cercato di infilarsi nelle griglie di merito per facilitarsi la corsa. Scoperti dal personale dell’organizzazione sono stati fatti partire da dove dovevano. Inutile dire che sono stati giustamente svergognati dai fischi degli altri ciclisti presenti. Queste storie, questi momenti amari, nascono dal fatto che le granfondo sono diventate da una dozzina d’anni l’orto di possibile gloria per i ciclisti della domenica. Gli episodi non mancano. Il doping, ben presente senza distinzioni di età, gli imbroglioni delle griglie, gli spioni che forse più per vecchie gelosie e rancori cercano di sporcare la fatica delle altre persone. Ma la questione di fondo, anzi di gran fondo, è che ormai queste manifestazioni ciclistiche sono diventate delle gare vere e proprie. Se tornassero invece ad uno svolgimento senza classifiche sarebbe una manna per i partecipanti, visto che il costo del servizio cronometraggio non avrebbe più ragione d’esistere. Senza classifiche da stilare, se non chi parte e chi arriva, i ciclisti e cicliste disonesti non avrebbero motivo di correrle visto che arrivando con due giorni di vantaggio sui secondi non gli cambierebbe niente. Però questo vorrebbe dire abbassare certamente gli iscritti di nomea, quelli che puoi dare ai giornali per farti bello come organizzatore; “Avremo Tizio, Caio ed il grande Sempronio alla partenza e dovremmo avere anche il grande Tal dei Tali!….”. Sparirebbe il confronto con gli altri o con il te stesso dell’anno prima. Le persone tornerebbero ad essere “solamente” persone e non più numeri. Cos’avresti da raccontare ai colleghi il lunedì mattina, se non hai più un foglio di carta a certificare per la storia (!) che sei arrivato, od arrivata, in posizione numero tot, migliorando di 12 secondi netti la posizione numero….? E come andrebbe alle fabbriche che costruiscono bici da corsa, se il ciclista della domenica non potendo più emulare Contador, Amstrong, Basso, Vos, Luperini e compagnia pedalante, spendesse solamente la miseria 1500/2000 euro per una bici invece che 3500? Che scaldalo! No, lasciateci le classifiche, i numeri, i record, non vogliamo essere soltanto ciclisti, non vogliamo essere soltanto persone! Non fateci diventare come un ciclista della PST! ODDIO!!!”

domenica 3 giugno 2012

CICLO-PAGELLE GIRO 2012

LE SOLITE PAGELLINE A MODO MIO SUL GIRO DA POCO CONCLUSO. INUTILE RICORDARE CHE RAI-TV OCCUPA SOSTANZIOSA PRESENZA….
VOTO 10; a Matteo Rabottini per la vittoria del 20 maggio ai Piani dei Resinelli, e a Thomas De Gendt per lo Stelvio. VOTO 9; a Francesco Pancani. Nove a Pancani? Eh, Miseria! E che ha fatto? Ha detto la marca di tintura per capelli che (in maniera abbondante) usa Cassani? Niente di tutto questo, ma è stato l’unico che ha avuto il coraggio di definire in diretta TV; “Un calcio alla storia” il cambiamento dalla maglia verde a quella azzurra per i GPM. Cassani, che di solito di Pancani commenta anche gli starnuti, se n’è sempre stato zitto. VOTO 8; a chi non si è addormentato davanti la tivù nella prima settimana di corsa. VOTO 7; a Paolo Savoldelli, ma solo per aver inventato il motociclista lavagna, con fogli di carta e lavagnetta penzolante dal collo che appoggia sulla schiena, comoda per leggere gli appunti. VOTO 6; voto intermedio senza un bersaglio preciso, “tra color che son sospesi” (Don Lorenzo docet). VOTO 5; al percorso del Giro. VOTO 4; alla giuria del Giro. Ferrari dovevano rispedirlo a casa. VOTO 3; al percorso della prima decade di Giro, e alla sigla usata per il Giro stesso. Non ce ne abbia la buonanima di Dalla, ma quella canzone è proprio brutta. VOTO 2; alla trasmissione “Si Gira”. Dal prossimo anno consigliamo come sigla il sonoro dello scarico del water. Più realistico. VOTO 1; ad Auro Bulbarelli. Ormai la squadra RAI per il ciclismo è formata sempre, costantemente, continuamente, indissolubilmente, noiosamente dalle solite medesime persone che si scambiano le sedie negli studi televisivi. Le domande di Suor Alessandra sono “zero” totale e rispecchiano uno stile del tipo; “Beppe Conti, oggi piove. C’è la possibilità che le strade siano bagnate” Risposta; “Effettivamente se l’acqua tocca la strada, le strade possono anche bagnarsi” W Stella Bruno, casinara da Pole Position, ma che almeno Radio Paddock segnala come una che sa fare una carbonara da Gran Premio. VOTO 0; al proCESSO alla tappa. La De Stefano torni a fare la giornalista all’arrivo e non pensi che aprendo le puntate con un “buonasera” alle due del pomeriggio possa assomigliare a Sergio Zavoli.

venerdì 1 giugno 2012

Giugno; l'editoriale.

LA DELUSIONE ITALICA AL GIRO D’ITALIA E’ STATA CREATA DALLA SCUOLA CICLISTICA DI CASA NOSTRA, DISGRAZIATAMENTE FIORITA NEGLI ULTIMI TEMPI: “ASPETTA E VEDIAMO COSA CAPITA…” CHE COSI’ VINCONO GLI ALTRI.
“La cosa che non stupisce è vedere come Ivan Basso fosse diventato nell’arco di un pomeriggio da padrone del Giro a ciclista ridotto all’ormai prossima fine carriera. Almeno stando alle facce e alle dichiarazioni dei giornalisti ospiti del proCESSO alla tappa pomeridiano. Una cosa del tipo: “Va avanti perché vede gli altri andare avanti”. Insomma, un mezzo relitto alla deriva ciclistica ormai ai titoli di coda, con le mosche che gli ronzano intorno e diversi avvoltoi su di un ramo alto e pronti al volo, all’esalazione dell’ultimo respiro vitale da parte del povero ciclista italiano. Tipico del giornalista che ha sempre una voglia matta di sparare la cosa più ad affetto davanti alla telecamera. Per Scarponi l’andazzo è quello, quindi meglio che appena vince qualcosa si ritiri per non rischiare l’abbattimento a fucilate. Le vittorie che più hanno esaltato sono state quelle di Matteo Rabottini a Pian dei Resinelli e del belga Thomas De Gendt sullo Stelvio, Azioni coraggiose, facilitate – la prima – da una posizione in classifica molto lontana, mentre per la seconda c’è stata una sottovalutazione dell’avversario. Però due azioni coraggiose. De Gendt ha fatto una mezza rivoluzione sulla Cima Coppi 2012, dando il massimo per tentare di far saltare la classifica. C’è mancato poco che non facesse centro, con una fuga costruita già nella montagna precedente. Tra gli italiani da classifica è andata a finire che il più bravo è stato Damiano Cunego, anche se nella generale conclusiva si è piazzato dietro a Scarponi e Basso. Inutile menarla adesso con la nenia del; “Se c’era Nibali…” Se Vincenzo era presente Phinney avrebbe dovuto lavarsi le mutande pe conto suo, perché Suora Alessandra sarebbe stata impegnata a riassettare la camera del siciliano, leggendogli alla sera la favola del ciclista che pedala a pane e salame correndo 3 settimane tutti i giorni, montagne comprese, a 40 di media. Basso e Scarponi hanno dato sfoggio dell’ormai cara scuola ciclistica di casa nostra, dove è vietato osare lo scatto pena vai a saper cosa. I tentativi del povero Pantani – troppa gente (adesso) si mette il suo nome in bocca davanti alle telecamere – sono ricordi degli anni ’90, i tentativi di Bettini nel decennio scorso sembrano lontani 30 anni. Adesso ti ritrovi con Basso e Scaponi che dopo l’arrivo stanno bene, hanno la condizione in crescita e bla, bla, bla,,,che intanto scattano gli altri, e loro a guardarsi; “..aspetta che Ivan si è grattato il naso, me lo gratto anche io che non sai mai…”. Oggi gli anni sono questi; Basso e Scarponi a guardarsi e due ciclisti che alla vigilia non rientravano nei pronostici nemmeno da “primi cinque” li sbattono giù dal podio, Cunego che ogni anno alle Ardenne guarda sempre cosa fanno gli altri finché questi benedetti altri partono e vincono la classica di turno, Pozzato e Ballan che quando scatta Boonen stanno a guardare chi dei due va a prenderlo, così il gigante dal sorriso gentile va a vincere e tutte manfrine così. Siamo d’altronde in piena Radio-Generation, strapieni di ciclisti che arrivano da una carriera radio-comandata fin dalla categoria dilettanti, e adesso non sanno manco quando possono bere dalla borraccia. Un paio di notazioni conclusive su due ciclisti di casa nostra; il suddetto Scarponi ha mostrato dei limiti. Più di questo non può andare, specie a cronometro, quindi per vincere un Giro sarà dura. Idem per Pozzovivo, che ha vinto una tappa con una grande azione, ma da quella volta la pressione lo ha frenato. A meno che l’ultima settimana non gli sia stata indigesta per la forma “Trentino” che è andata in calando dopo metà Giro. Adesso Basso sarà gregario di NIbali in Francia. Per Vincenzo l’occasione migliore, che deve partire fin dall’inizio con l’idea di provare a vincere la corsa. A costo di sembrare arrogante, meglio così che sempre pauroso di crollare. In chiusura un certo discorso; nel vedere come salivano la seconda volta l’Alpe di Pampeago (dopo Sella di Roa, Manghen, Pampeago-uno, Lavazè) il sottoscritto è tornato a preoccuparsi seriamente.”

lunedì 21 maggio 2012

Giro d'Italia; Sappada, 6 giugno 1987.

Il Giro d’Italia torna sulle Dolomiti bellunesi, che 25 anni fa furono teatro di uno dei “casi” ciclistici più celebri degli anni ‘80. Protagonisti l’irlandese Stephen Roche e l’italiano Roberto Visentini. Questa è la storia de “Il tradimento di Sappada”
Il Giro d’Italia del 1987 prevede, il 6 giugno, un’arrivo di tappa nel paese di Sappada in provincia di Belluno. La squadra Carrera gode del favore dei pronostici per la vittoria assoluta della corsa, grazie all’italiano Roberto Visentini che si dimostra competitivo per poter ripetere il successo dell’anno precedente. L’irlandese Stephen Roche è l’altro uomo di riferimento in seno alla squadra italiana, e tra i due si fa strada fin dall’inizio della stagione una diplomatica collaborazione e niente di più. Già dal periodo della Milano-Sanremo gira l’opinione tra gli esperti che “quei due” saranno difficili da mettere d’accordo. Al Giro d’Italia Visentini arriva come detentore della maglia, Stephen Roche come vincitore del Giro di Romandia, ma con una condizione in crescita. Tra imprevisti allunghi da parte di Roche, sopportati per spirito di squadra da Visentini, si arriva alla frazione del Giro che prevede la scalata del Terminillo. Boifava, Direttore Sportivo della Carrera, per allentare la tensione nel suo ambiente s’inventa l’idea di scaricare la colpa sui giornalisti, colpevoli secondo lui di fomentare rivalità. Una voce sempre più insistente racconta che Roche ha ricevuto proposte di sponsor disposti a costruire una formazione attorno a lui. La giornata del Terminillo diventa forse l’inizio dalla fine quando Roche, in rosa, allunga a una decina di chilometri dalla fine. Visentini di certo non può scattare per andare a riprenderlo, col rischio di riportargli addosso gli altri. Ma ecco scattare lo scozzese Millar. Visentini è lesto ad attaccarsi alla ruota. Ripreso Roche, l’irlandese chiede collaborazione all’italiano per allungare ulteriormente e far si che il Giro diventi una questione Carrera. Visentini però non collabora restando sulle sue. La tensione è sempre più palpabile e Boifava cerca per l’ennesima volta di limitare la tensione in seno alla Carrera, dicendo chiaramente ai due che ci si giocherà la maglia rosa nell’ultima settimana dopo aver eliminato gli altri avversari. Dopo una caduta di Roche nella tappa di Termoli, ed una grande cronometro di Visentini a San Marino – con una debacle dell’irlandese – la situazione vede l’italiano in testa con più di due minuti e mezzo sul compagno di squadra. Vista la situazione della classifica generale, ed il distacco tra l’italiano in rosa e l’irlandese, il Giro sembra indirizzato. Sembra. Siamo al 6 giugno e Sappada aspetta il Giro con un’italiano che veste di rosa. Durante le prime fasi della tappa il ciclista belga Bagot scatta e Stephen Roche si porta sulla sua ruota facendo così parte di un gruppetto. È una fuga importante. Roche ha deciso di parteciparvi, visto che della Carrera non c’è nessuno. L’irlandese non tira, perché Visentini è leader della classifica. Boifava lo raggiunge con l’ammiraglia e gli dice di rinunciare all’azione. Roche si limita a rispondere che quello che può fare è non tirare. Che siano quelli del gruppo ad andare a prenderlo. Il vantaggio aumenta, come l’imbarazzo nell’ammiraglia Carrera. Boifava decide di star zitto con Visentini per non provocare discussioni in gara, e fa tirare la Carrera per rientrare sul gruppetto di Roche. La situazione fa si che i nervi di Visentini siano tesi come corde di violino. Roche davanti continua la sua azione e il compagno in rosa, dietro, ha ormai capito l’antifona e crolla. L’italiano molla del tutto e raggiunge il traguardo con sei minuti dall’irlandese. Il palco premiazioni è gelido. I sorrisi, pochi, sono di pura circostanza. Visentini è furioso. Quando supera la linea d’arrivo fa cenno di voler andare sul palco tivù per dare spiegazioni, ma forse un’alito di buonsenso lo fa desistere subito. La sua frase rilasciata al microfono televisivo; “Stasera penso che saranno in tanti ad andare a casa!” mentre si allontana per dirigersi verso l’albergo, vale più di tanti commenti. L’atmosfera in casa Carrera è pesante provocando una vera divisione interna al gruppo, ma ormai il Giro è deciso. Visentini cadrà giorni dopo, si farà male ad un polso e dovrà ritirarsi. Il giorno seguente al discusso esito di Sappada il pubblico italiano prese di mira Roche, sputandogli addosso e insultandolo senza risparmio lungo le salite. Tempo dopo Roche dirà che l’astio tra i due nacque al Giro. Dal fatto che Visentini voleva la squadra per se al Giro, Roche compreso, ma quando fu l’irlandese a chiedere lo stesso a Visentini per aiutarlo al Tour si senti rispondere picche a questa ipotesi, perché dopo il Giro l’italiano voleva andare in vacanza. Tanti anni dopo Visentini dirà che questa cosa fu solamente un grossa menzogna, non risparmiando parole molto pesanti per l’irlandese e per altre persone che correvano e lavoravano alla Carrera. Roberto Visentini, finita la carriera nel 1990, uscì in maniera totale dal ciclismo. Stephen Roche entrò nella leggenda di questo sport in meno di tre mesi, vincendo Giro, Tour e Mondiale su strada proprio in quell’estate del 1987.

martedì 1 maggio 2012

Maggio; l'editoriale

L’ITALIA DORME. A MILANO SONO LE 02:53 DEL 13 MAGGIO 1909. CENTOVENTISETTE UOMINI DIVENTANO, SENZA SAPERLO, I PRIMI “SCRITTORI” DI UN’EVENTO CHE LA GENTE AMERA’ FIN DALL’INIZIO. MAGGIO CI PORTA LE ROSE INSIEME ALLA ROSA, E LA MACCHINA DEL TEMPO SI RIACCENDE. 1° MAGGIO; MANCANO 54 GIORNI ALL’INIZIO DEL GIRO D’ITALIA FEMMINILE (di cui non si sa ancora un’accidente…).
“Le parole sono sempre quelle. Ogni anno, ogni primavera. Ne cambi il posto dentro a un testo, ma prima o poi arrivi al cuore del pensiero. Il Giro torna ed attesa e curiosità sono sempre alte. Un Giro “straniero” all’inizio. Un Giro che con il passar degli anni si prostra ai milioni in maniera sempre più evidente. Il retrogusto amaro. Le considerazioni tecniche, le idee sul percorso, sui possibili protagonisti, stanno invadendo in massa gli articoli nei giornali, nel web (anche qui), nelle discussioni tra gli appassionati. Ce ne sono già in abbondanza ovunque, segno che la passione spesso non aspetta che il momento per rifiorire. Da circa un’anno la devastante crisi economica sta facendo a pezzi l’Italia. E siccome i sogni non costano – almeno per il momento – leghiamoci al Giro che, per fortuna, sogno non è. Perché il Giro piace? Si potrebbero sfornare decine di risposte. Forse il suo fascino più potente è quello di saper riportare tutti noi adulti, all’epoca di quand’eravamo ragazzini. Una macchina del tempo dove torni indietro con la mente, apri lo scrigno dei ricordi, e ti rivedi in pantaloncini corti in mezzo a gente urlante, ad applaudire ciclisti che passano in pochi secondi tra le vie del tuo paese. Oppure è semplicemente la festa di un’altra macchina. Una delle più belle inventate da noi umani nella nostra storia, figlia della ruota, oggi usata non più per vivere com’era fino a 50 anni addietro, ma per vivere meglio perché tanto l’indispensabile ce l’hai. La bicicletta, dopotutto, è la prima conquista consapevole di quasi tutti noi. Nessuno di noi ricorda il giorno in cui abbiamo camminato in maniera indipendente. Il nostro primo e vero momento di libertà. Lo apprendiamo solo dai racconti dei nostri cari. Ma molti ancora ricordano la prima bicicletta, da chi arrivava, il colore, magari anche la marca. Qualcuno di noi forse le ha dato anche un nome tutto suo.
Forse è proprio lì che cadiamo tutte le volte che vediamo un Giro passare. Non riusciamo a scappare da quella gigantesca emozione dell’esser stati bambini. Emozione che in quei momenti forse non riuscivamo a vivere come tale, ed invece oggi sentiamo ancora forte nonostante non sia più possibile averla addosso. Il Giro è anche album di ricordi, album nei nostri ricordi. Come noi ha vissuto anni lieti, altri pesanti, magari tragici. Il Giro lo sentiamo nostro perché ha pedalato tra le miserie e le macerie delle guerre, tra le lacrime e le croci dei terremoti non troppo lontani, perché è lì fuori con noi e lo è sempre stato. Per vivere non si è mai chiuso dentro uno stadio, dentro un palazzo dello sport, dentro un recinto. C’è anche il Giro che si corre, ma in quel caso sono gli uomini ad emergere. Le sensazioni legate all’animo spariscono per far posto ai numeri delle classifiche, dei cronometri, dei chilometri. Il Giro dei Campioni che a volte ci hanno regalato delusioni, imbrogli, bugie. Per questo il Giro che spesso ricordiamo più volentieri è quello legato al ricordo di chi, magari sconosciuto, era con noi a bordo strada. Perché quella persona mai vista prima, e che forse mai più rivedremo, è uno dei tanti fili che compongono quella tela multicolore che con il tempo, coi decenni, con 103 anni di storia ci riporta la cosa più bella che questo evento ci mette ogni anno davanti agli occhi; l’Italia del Giro. Bentornato Giro.”

sabato 10 marzo 2012

Pedalando nella burocrazia.


IL CICLISTA DELLA DOMENICA, IL CICLISMO DELLA DOMENICA. UN TEMPO, E NEMMENO TANTO POI, ERA UNA DOMENICA DIVERSA, PER TANTI SPECIALE.
OGGI UN GIOCATTOLO SEMPRE PIU’ COSTRETTO A CONVIVERE CON REGOLE VITTIME DEL PROPRIO SUCCESSO, E DEL PROPRIO BUSINESS.

Rompersi il sedere su di un sellino con le ultime luci del pomeriggio, dopo aver lavorato per 8 o 9 ore. È il ciclista della domenica. Le strade ne sono strapiene ogni benedetta mattina di festa. Di lì è partito, da tanti anni, una nuova epoca ciclistica, quella delle granfondo. Un tempo occasioni speciali, perché potevi pedalare su strade chiuse totalmente o quasi al traffico.
Oggi le granfondo sono corse aperte a tanti. Ci sono classifiche a iosa. Perché si sa che se si pedalasse solo per passione, quanti partirebbero alle 8 di mattina per farsi due o tre o quattro montagne di fila? Nemmeno il 50% di quelli che ritrovi al via. Che sono, non dimentichiamolo, dai 30 ai 50 euro a cranio, a seconda dell’importanza delle corse.
Con il passare degli anni, in particolare il decennio ’90, le granfondo sono diventate sempre più un’evento sportivo. Tanta gente, tanto successo. Talmente tanto che anche le Federazioni hanno iniziato a vedere se le cose erano organizzate come Dio comanda. Tanta gente, che paga non poco, tanti soldi che girano. Ma ecco che gli organizzatori hanno dovuto iniziare a seguire certe regole che, un giorno han cominciato ad arrivare anche in queste corse.
Oggi le questioni riguardano l’appartenenza come tesserati ai vari Enti (UDACE, FCI, ACSI) e discorsi relativi alle coperture assicurative. Senza star qui a spiegare tutto per filo e per segno, ci sono organizzatori che si ritrovano a dover forse rinunciare a ciclisti già iscritti, perché questi non sarebbero coperti dal punto di vista assicurativo. E anche nel mondo granfondistico ci sono le corse che si pensa trattate meglio di altre. Invidie, malumori, giramenti di… ruote, provocati da situazioni in cui si ritiene che ci siano figli e figliastri.
Burocrazia, norme, vincoli, pastoie burocratiche e legali. Oggi le GF sono diventate quasi più difficili da sistemare dal punto di vista dell’iter burocratico, che non dall’organizzare il rifornimento sul Passo tal dei tali. Anche le GF diventeranno vittime del proprio successo?
Il ciclista della domenica continua sempre a rompersi quel sedere su quel sellino e con quelle ultime luci del pomeriggio. È l’unica cosa che forse non è cambiata.

domenica 5 febbraio 2012

Senza titolo; v'è forse bisogno?


(foto; A.Oriani)

A VOLTE FAI LE COSE E BASTA. QUESTO E’ QUEL CHE NE PUO’ VENIR FUORI. RILEGGI, SISTEMI QUA E LA E POI DICI “OK”. PUNTO.

Scorron quelle ruote e guidano il pensiero,
guidate con tal grazia girando un mondo intero.
Rincorri la vittoria, ma ella è ancor lontana,
fatica sempre dura, da troppo sempre vana.
Ma presto tornerai sul quel gradino alto,
e il cuor lo rivivrà facendo un grande salto.
L’immaginar così quell’attimo di gloria,
sarà nell’emozione un tingersi di storia?


Ricolmo di parole l’immaginario foglio,
si possono vergare nel modo che più voglio.
Ma non c’è paragone, non v’è incertezza alcuna,
che in gruppo come te ancor non c’è nessuna.
Ricordi mai lontani, riverberi iridati,
rivivon nella mente, ma non li hai più gridati.
E la vittoria è li, da tanto lei ti scappa,
ci provi nel sol giorno, ci provi nella tappa.



Ed ora ecco il via di un’altra tua stagione,
con tutte intorno a te racchiuse nel plotone.
Da quanto non ritornano quel podio e quel momento,
capir saprà la gloria, che a volte è un gran tormento?
E intanto ancora qui, a scriver con speranza,
sperando con passione e fede fino a oltranza,
che cambi qualche cosa in questa primavera,
finché su un bel tramonto non calerà la sera.

mercoledì 25 gennaio 2012

Allora, ricominciamo?....



L’INVERNO CICLISTICO VA VERSO LA FINE E TI PREPARI A PEDALARE. INVECCHIATO, MA CON L’ANIMO DA RAGAZZINO CHE TI RIPORTA SEMPRE INDIETRO A QUELLA VOLTA CHE…
ECCO CHE ARRIVA LA PRIMA SALITELLA STUPIDA, RILANCI LA BICI ALZANDOTI SUI PEDALI E RICOMINCI.

“Dannati panettoni, dannate cene con gli amici,…” ti fai coraggio anche così, quando torni a pedalare dopo l’inverno, anche per cercar di dimenticare che sei un’altro anno più vecchio (o anche più vecchia, prego!).
La maggior parte di noi ricorda la prima bicicletta con cui ci siamo mossi senza ruote, e senza papà o fratello maggiore a tenerci con la mano sotto al sellino. Pochi metri, cinque forse dieci e voilà, un bel volo quasi da fermi nel frenare. Eppure non è stata lei la nostra prima conquista. Non sono state quelle dieci pedalate contate, senza più ruotine.
La prima conquista è stata quella in cui senza rendercene conto ci siamo alzati in piedi da soli perché il giocattolo era lontano. Il primo metro di strada fatto da soli per raggiungerlo e poi giù di botto col sedere, che tanto c’è il pannolino air-bag. E mamma tutta fuori di testa che chiama papà a guadarti. Tu li osservi e ti domandi che c’avranno da guardarti con due occhi così, perché non ti rendi conto, non hai realizzato e vissuto l’emozione. Sorridi perché loro sorridono. Va così.
Ma la bici, vuoi mettere? Quella solitamente la ricordi; di solito rossa (ma son tutte rosse ‘ste bici da ragazzini?). La mia no; un blu/violetto. Esiste un colore così? Mah! Fatto sta che la prima pedalata indipendente spesso la rivivi. Con chi eri (io da solo, e figurarsi), dove l’hai fatta, se ti sei schiantato addosso a qualche macchina parcheggiata. Strana bestia il ciclista.
Le chiacchiere tra ciclisti. Specifichiamo; con i pochi amici con cui di solito pedalo ce la raccontiamo. Ma solo perché noi facciamo medie ciclistiche che fanno ridere gli altri ciclisti campioni. Dicevo delle chiacchierate (le “ciacolade”) tra noi. Gocce di memoria che riaffiorano dall’animo, e ti spingono quando la salita diventa carogna.
Per far credere ch’io sia persona di cultura, riporto una citazione di Hogo von Hofmannsthal, riportata a sua volta da Mauro Corona in uno dei suoi libri a me più cari “Gocce di resina”; “Amo immensamente questa terra, e più passano gli anni, più essa mi sembra ricca. Quando sarò vecchio, dai suoi torrenti, dai suoi laghi e dai suoi boschi mi verranno incontro i ricordi dell’infanzia, e il cerchio si chiuderà”
Quando pedalo lo faccio su strade ormai a me conosciute metro per metro. Vedo quindicenni che giocano a pallone nel prato fianco a casa, e ricordo il biondino che ora fa il portiere quando era alto 50 centimetri. Passo davanti una casa chiusa da qualche anno, e ricordo un vecchio che era spesso seduto nel poco di giardino che confina con la strada, a fare provvista di nostalgia.
Quella che faccio anch’io. Seduto su una panca alla fine di una salita per ascoltare il bosco di fine febbraio che inizia a svegliarsi, o come negli stessi giorni può fare il vecchio pescatore che si siede sul prato che fa riva nel Piave veneziano (giusto sarebbe “la Piave”) prima che questi, dopo aver tagliato la piana in due come una spada, muoia serenamente nel silenzio del mare.
Allora, ricominciamo?

sabato 14 gennaio 2012

Resto di stucco..... è un Barbatrucco??


Nella foto, il vincitore del Giro 2030?

IL DOPING GENETICO; L’ULTIMA FRONTIERA FORSE GIA’ RAGGIUNTA. E POI L’OMERTA’ CHE PER DECENNI HA DESCRITTO LA SIMPAMINA COME FOSSE ROBA DA BAMBINI.

Il doping genetico; esseri mostruosi in stile Frankestein che pedalano sui tornanti del Pordoi, inseguiti da un’ammiraglia nera del Gruppo Sportivo Adams, o magari che affrontano i 400 metri ostacoli saltando direttamente dal bordo di un’ostacolo all’altro grazie ai loro tentacoli, mentre l’Uomo Ragno li insegue bestemmiando perché non riesce a catturarli con la sua ragnatela. Oppure ancora una nuotatrice che dà una vasca di distacco alle altre concorrenti, e uscita dall’acqua sbatte tutta contenta la pinna che si ritrova al posto dei piedi. Non siamo a questo, per ora.
La terapia che prevede l’uso di geni iniettati dentro un corpo, è nata per sostituire geni malati con altri sani. Il problema è che nessuno, ancora, può sapere cosa capita quando si inseriscono dei geni sani, in un corpo sano (ma insano di testa, dico io).
Il doping genetico ha una particolarità; andrebbe (andrebbe…) usato solamente una volta in vita. Oggi non esistono controlli antidoping che possono scoprirlo, quindi da questo lato conviene. Però una volta che i test venissero perfezionati, il doping verrebbe trovato sempre, proprio perché non esiste niente che possa cancellare il gene falso dalle vere cellule del padrone di casa.
E poi, per esempio, se l’EPO fosse ficcata dentro al corpo in maniera genetica, per l’atleta sarebbero guai, perché la sostanza verrebbe prodotta in maniera quasi incontrollabile dal corpo.

QUANDO C’ERA LA SIMPAMINA. (C’ERA?...)
Il nome fa anche simpatia. Sembra quello di una caramella per bambini.
Vecchi ciclisti degli anni ‘50 ’60 (quelli che oggi sono venerati come semidei), dicevano o dicono che al confronto di quello che puoi trovare oggi, era una camomilla. Questo che vuol dire? Che dobbiamo chiudere un’occhio sulle “pastigliette” che pigliavano un tempo?
Lo sapete come veniva chiamata la Simpamina alle origini? Mai sentito la parola Anfetamina? Il nome Simpamina era il nome commerciale (mica scemi!). Venne venduta fino ai primi anni ’70.
Le anfetamine vennero usate le prime volte quasi 100 anni addietro per curare il morbo di Parkinson, e vennero usate senza tanti problemi per i soldati nella 2^ guerra mondiale. Non avete idea con quali termini trionfalistici venivano raccontati i “benefici” che questo… aiuto, dava alle persone che la usavano. Non è mai scomparsa, perché viene usata come anoressizzante e nella preparazione di pasticche di ecstasy.
Quindi, quando sentirete parlare vecchi ciclisti dicendo che; “….Noi si prendeva solo un po’ di simpamina…”, saprete un po’ meglio di cosa parlano, anche se chiaramente non saranno così scemi da palarvene usando il nome Anfetamina.