«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

mercoledì 15 febbraio 2017

Il Giro d'Italia numero 90

L’abruzzese Danilo Di Luca vince il Giro numero 90, corso dal 12 maggio al 3 giugno 2007. Per festeggiare i 200 anni dalla nascita di Giuseppe Garibaldi si partì da Caprera.
Nato ciclisticamente come atleta da corse di un giorno, Danilo Di Luca vince il Giro d’Italia per la squadra Liquigas davanti all’allora giovane talento lussemburghese Andy Schleck. Con 197 corridori partiti, a Milano giungono in 141 dopo 3.489chilometri percorsi. Dopo la tappa che arrivò al Santuario di Nostra Signora della Guardia, la classifica generale faceva vestire di rosa Andrea Noè, che a 38 anni divenne la più anziana maglia rosa del Giro. Di Luca si difenderà bene dagli attacchi di Gilberto Simoni, Riccardo Riccò ed Andy Schleck. Un passo molto importante per la vittoria sarà quello della cronoscalata di Oropa vinta dall’allora tricolore a cronometro Marzio Bruseghin.
Danilo di Luca vivrà in quella vittoria il momento più esaltante della sua carriera, ma quest’ultima verrà rovinata con le traversie doping che riguarderanno lo stesso ciclista negli anni seguenti. Due i casi più gravi: la positività al Giro 2009 – chiuso al 2° posto finale – e comunicata durante i giorni in cui si stava correndo il Tour de France, e una seconda positività registrata durante un altro Giro d’Italia alcuni anni dopo. Durante quel Giro del 2007 il velocista italiano Alessandro Petacchi si vedrà togliere ben cinque vittorie di tappa, per una positività alla sostanza “salbutamolo”.

mercoledì 8 febbraio 2017

Il Giro d'Italia numero 80

Il bergamasco Ivan Gotti vince l’80° Giro d’Italia. Il ciclismo in generale inizierà a dividersi tra entusiasmi sportivi e sospetti fisiologici legati alle prestazioni.
E siamo quasi ai giorni nostri quando lo scalatore di San Pellegrino Terme, Ivan Gotti, vince il Giro del 1997. Dopo decenni in cui la corsa vedeva Vincenzo Torriani come storico patron della gara, al timone del Giro vi era ormai, da alcuni anni, l’avvocato Carmine Castellano. Tra i favoriti di quel Giro vi era lo scalatore italiano Marco Pantani, che a causa di una caduta provocata da un gatto (per altri un cane) che aveva attraversato la strada al passaggio del gruppo dovrà ritirarsi. Il corridore romagnolo vincerà il Giro successivo. Ivan Gotti, passato alla squadra Saeco – che a quel tempo poteva vantare un budget impressionate per l’epoca per una squadra italiana di 8 miliardi di lire – è leader unico. Il Russo Pavel Tonkov – che aveva vinto il Giro l’anno precedente – veste la maglia di leader per 10 giorni. Gotti ‘prende’ la rosa a Cervinia, la difende nei 40 chilometri della cronometro di Cavalese, e a nulla valgono gli attacchi del russo che non riuscirà a riprendersi il simbolo del primato.
Quel Giro partì da Venezia e fu il primo dopo che l’UCI aveva regolarizzato il limite dell’ematocrito al 50%. L’italiano Claudio Chiappucci diventa il primo ciclista, tra quelli di vertice, a dover rinunciare al Giro perché ‘segnava’ un 50,8% al precedente Giro di Romandia. Dopo dei controlli ematici effettuati in Versilia, quattro corridori vengono rispediti a casa. Siamo nel pieno periodo in cui la sostanza EPO arriva quasi ovunque. Talmente tanto che moltissimi professionisti acquistano e imparano ad usare un piccolo apparecchio a batteria chiamato semplicemente “centrifuga”. Questa viene usata per permettere al corridore di potersi auto-controllare sul fronte dell’ematocrito – a meno che non venga beccato con le mai sull’EPO – fino al famoso 50% permesso dai regolamenti. Nessuna epoca del ciclismo sarà condizionata in maniera così pesante per la sua diffusione. Soltanto dal 2000, con i nuovi controlli che arriveranno dalle Olimpiadi di Sidney, in Australia, l’EPO non sparirà ma diventerà ‘sconveniente’ riaprendo la strada alle vecchie emo-trasfusioni.

mercoledì 1 febbraio 2017

Febbraio; l'editoriale

La stagione ciclistica è già lanciata, ben lontana da quel ciclismo che vedeva il suo albore a fine febbraio. Senza squadre italiane di prima fascia, e senza troppe speranze di vederne a breve.
“Ci restano il Giro d’Italia del rinato Basso post emo-doping del 2010, la Vuelta di Nibali lo stesso anno, e la sua ‘formazione’ da talento a campione con la maglia Liquigas. Squadra che nello stesso periodo scovò, lanciò e formò l’attuale due volte iridato Sagan. Dall’altra parte la Lampre che ci ha dato l’ultimo campione del Mondo nel 2008 con Ballan e che ha cercato – fin quando le due parti non hanno pensato ch’era meglio cambiare – di riportare Damiano Cunego ai vertici. Cunego, che registrò la sua ultima grande vittoria con un esaltante tris al Giro di Lombardia appena dopo l’argento iridato alle spalle del già citato Ballan in quel di Varese. Vi sarebbe anche la vittoria a tavolino di Scarponi al Giro 2011, ma quell’affermazione non entusiasmò mai nemmeno lo stesso italiano. Poi ecco la prima, Liquigas, chiudere i battenti con una lenta uscita di scena ‘ammorbidita’dalla fusione con la Cannondale per una stagione, e poi la seconda, Lampre, con un saluto costruito sullo stesso piano ma con l’azienda Merida. Uno dei motivi? Il ciclismo ha costi che ormai sono enormi. Le favole del ciclismo costruito sulla passione vivono solo nei salotti RAI. Servono soldi, tanti e subito, punto. Oggi ci restano i singoli. Il palmares a cinque stelle di Nibali, il talento già vincente di Aru, il talento di Ulissi che sarebbe ora ‘sconfinasse’ ciclisticamente una volta per tutte per non diventare un secondo Pozzato, noto “predestinato” del ciclismo di una dozzina di anni fa per diventare, secondo l’allora idea generale, un grande del Nord per vincere a destra e a manca. Poi ci si ferma lì o poco oltre. Le soventi vittorie di febbraio dei nostri nelle prime corse assolate, in altri continenti, per poi svanire con l’arrivo della primavera e della condizione buona dei nomi più importanti. Ma siamo ai singoli, e guardando all’orizzonte pare che dovremo attaccarci a loro per un pezzo.“