«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

martedì 21 dicembre 2010

DA LEGGERE!....


UN BICCHIER DI VINO IDEALMENTE BEVUTO DAVANTI AL CAMINO A PARLAR DI CICLISMO PANE & SALAME. ESSENZIALMENTE CICLISMO PST. E ALESSANDRO MI RACCONTA CHE…

Il ciclismo ha una storia grande, fatta di tante storie piccole. E visto che il lato più sentito dalla gente, degli appassionati, è quello della semplicità, ho chiesto ad Alessandro Oriani se potevo “sfruttarlo” per quelli che erano i suoi anni ciclistici. Anni che lo portarono fino ai dilettanti. Sul tavolo due bicchieri e una bottiglia. Noi li riempiamo, fateci compagnia.

Alessandro, so che la tua famiglia ha conosciuto il mondo del ciclismo già tanti anni addietro, perché uno dei tuoi nonni faceva parte delle “carovane” nelle grandi corse. Ci puoi dire qualcosa su questo?

“La mia famiglia (fino al sottoscritto) ha sempre respirato ciclismo a partire da mio bisnonno Carlo Oriani che ha vinto un Giro d' Italia nel 1912 e un Lombardia nel 1913 in maglia "Maino", mio nonno Gino Oriani é stato l' autista dell' ammiraglia di Fausto Coppi dal 1946 al 1954, mi ha regalato due maglie di Fausto che custodisco gelosamente e che sono tutt'ora in perfetto stato, ho conservato per anni (e ho anche pedalato) una Bianchi con la quale aveva corso il campionissimo nel 1953 .
I racconti di mio padre sulle corse ascoltate alla radio, i grandi pistards come Maspes, Post, Plattner, Gaiardoni, Rousseau, Harris, le 6 giorni al palasport di Milano degli anni '70 e '80, le storie di improbabili allenamenti di mio padre e mio zio alle 5 del mattino perchè bisognava tornare in tempo per andare a lavorare o nel dopo lavoro, il velodromo Vigorelli, le cadute che ho rimediato su quella pista troppo difficile e tecnica per un corridore mediocre come me, il memorabile racconto di mio padre che una volta si finse meccanico di Peter Post ed entrò nel parterre bici (di Peter Post) in spalla nei giorni precedenti il mondiale su pista che si svolgeva a Milano; ecco, queste sono le mie radici di modesto ex corridore fallito con grande passione e grande memoria storica, ho conosciuto Maspes, ho pedalato (in allenamento) con Claudio Chiappucci, con Alberto Elli, con Stefano Allocchio, da ex ho incontrato Johan Musseuw in allenamento sulle colline della Brianza, ero in maglia Gewiss e mi ha scambiato per un corridore vero, grande emozione. Arrivo da qui”

Domanda classica; la tua prima bici. La ricordi?

“La mia prima bici da corsa era una "Terruzzi" blu metallizzata ricevuta a 7 anni (credo) che trattavo come una fuoriserie e che mi ha fatto da palestra per le mie prime uscite e i miei primi mal di gambe sulle collinette della Brianza ad un certo punto era diventata talmente piccola da costringermi ad usare un canotto reggisella talmente lungo da sembrare illegale; ero aerodinamico e ridicolo, la bici ? Non so che fine abbia fatto, non ricordo”

Da ciclista sei arrivato fino al dilettantismo. Con quali Gruppi Sportivi hai corso?

“Ho corso per il "Pedale Sestese" da allievo nelle stagioni 1983 e 1984, sono passato poi alla "UC Sestese cicli Taldo" che altro non era se non una costola del Pedale Sestese (società che esiste tuttora) formata da transfughi in rotta con la dirigenza e alcuni tecnici, per questa società ho corso nel 1985 e 1986, l' ultimo anno (il 1987, da dilettante di seconda serie) ho corso per una società bergamasca, il "GS Mobili Turani", conservo tuttora una maglia da gara di questa squadra”

Oggi ci sono dilettanti che possono permettersi di pensare solo al pedalare. Com’era la tua vita da ciclista dilettante? Dovevi dividerti tra lavoro e bicicletta?

“Spiace deludere i romantici di un certo ciclismo che non esiste più da tempo immemorabile, ma già allora il ciclismo (ancorché dilettantistico) era uno sport al quale (solo per finire bene le corse) era necessario rivolgere il 101 % dell' impegno, chi lavorava non riusciva a reggere certi ritmi, sopratutto quando le categorie dilettanti di prima (gli elitè senza contratto di oggi) e seconda serie (gli "under 23" odierni) correvano insieme senza classifiche separate, a me ragazzo 18enne di belle speranze é capitato di provare a "subire" le trenate di gente di 26 - 27 anni che non passava prò perché tra i dilettanti guadagnava di più; c'era da soffrire perchè "quelli" spingevano il 12 con la facilità di un bimbo che gioca e finire bene le corse era già una mezza vittoria, anche perché al via si presentavano squadre come la "Carrera Inoxpran", la "Brescialat", la "Chateau d' Axe", mica facile”


Il tuo ciclismo da dilettante che mondo era? C’erano delle cose buone che si sono mantenute e che ricordi volentieri? Altre che secondo te si sono perse?

“Una cosa buona del ciclismo dilettantistico di allora ? Mah, è difficile, diciamo che c'era un pò meno (ma poca eh ?) esasperazione, c'era la possibilità di crescere accanto a corridori più esperti che sapevano darti i consigli giusti se vedevano che ti impegnavi e ti facevano abbassare la cresta se ti comportavi come uno "arrivato", c'erano delle gerarchie e si rispettavano. Cosa é rimasto ? Francamente non lo so, non vedo una corsa maschile da 10 anni, non so come sia l' ambiente, può sembrare strano per chi legge, ma non ne sento la mancanza. Sorry...”


Che allenamenti facevi? Eri tabella-dipendente?
“Per quanto riguarda gli allenamenti devo dire che non sono mai andato "a sensazione", se in tabella c'era scritto 160 km, quelli erano e il più delle volte diventavano 175 - 180 meglio se percorsi assieme a dilettanti di prima serie (quando in salita aprivano il turbo erano dolori !), le tabelle le facevo io perché mi piaceva essere coinvolto in prima persona, perché ho sempre pensato che un corridore debba sapersi gestire da solo per quanto riguarda gli allenamenti.
Capitolo ripetute: ho iniziato a farle da junior ma erano un qualcosa che già conoscevo fin dai tempi delle non competitive podistiche che disputavo da ragazzino, ne avevo sentito parlare da corridori come Massimo Magnani (poi ct della maratona) e Franco Arese, avevo visto gli allenamenti dei nazionali di atletica al Parco di Monza: gente che alle 7 del mattino, d' inverno, al freddo, nell' anonimato, si preparava, sputava sangue; io ho preso quei concetti e li ho trasferiti nel ciclismo, in manier molto artigianale certo, però avevo capito che mi avrebbero giovato. Mi sentivo un precursore e mi davano del pirla. Pazienza.”


Che ricordi hai dei ciclisti con cui correvi e che poi hanno avuto fortuna nei professionisti?

“Questa é una nota dolente, quelli forti (il nome che ricorre puntualmente è quello di Gianluca Bortolami) erano irraggiungibili anche al di fuori delle corse, mai capito dove e come si allenassero, andavano già in giro con la Nazionale e facevano vita a se stante, ad essere sincero ho fatto meno fatica a parlare con i "pro" che incontravo in allenamento che non con i miei pari età, c'era una barriera invisibile che nessuno (meno che meno chi lottava per terminare le gare) voleva o poteva oltrepassare.”

Ci sono un paio di corse più di altre che ricordi in particolare, nel bene o nel male? E per quale motivo?

“Ci sono diverse corse che ricordo con particolare piacere: la "Coppa d' inverno", ultima gara di calendario, si correva la prima domenica di Novembre a Biassono (MI): freddo, alta velocità, un pubblico numerosissimo (la Brianza é terra di ciclismo) e appassionato, la malinconia perché sapevo che non ci sarebbe stato un "prossimo anno"; bella gara la "coppa d' inverno",un anno ho visto vincere Bugno su quel traguardo (correva per la "Supermercati Brianzoli"), ho visto un immenso, dominante Mario Scirea, ero allievo e lì ho capito cosa significasse "fare la corsa", sembra facile, a me é capitato un paio di volte, per sbaglio, credo. Un altra corsa bellissima alla quale ho partecipato é il "piccolo giro di Lombardia", le "mie" strade, i colori dell' autunno, il lago di Lecco e di Como, il Ghisallo, il Pian del Tivano, atmosfera da "grandi", in due parole "una figata".
Di corse che ricordo nel male ce ne sono diverse: percorsi pericolosi, buche enormi, tombini a cielo aperto (mi capitò a Pozzo d' Adda (BG) ) che il gruppo evitava tutte le volte per miracolo, ne ho disputate troppe e le ho rimosse dalla mia memoria.”

Eri un maniaco del millimetro (come chi scrive) per la tua bicicletta, oppure ti affidavi al meccanico di fiducia senza pensarci troppo?

“La bici doveva essere in ordine anche perchè era la MIA bici e non potevo permettermi di sfasciarla, i lavori meno impegnativi li facevo io per il resto mi affidavo al meccanico di fiducia, avevo l' abitudine di controllare e ricontrollare tutto più e più volte, non che non mi fidassi, però mi capitava di perdere dei piazzamenti a causa dell' imperizia altrui, ero diventato meticoloso PER FORZA.”


Ora dov’è la bici?
“La bici (una Taldo rossa) é in solaio mezza smontata, la prossima primavera vorrei rimetterla in sesto, vederla nello stato in cui versa mi fa star male, non credo che pedalerò più lì sopra perché il telaio ne ha subite di ogni, ma un bel restauro se lo merita.”


Per tanti anni hai seguito il ciclismo femminile. Come iniziò la passione per quell’ambiente?

“La passione per il ciclismo femminile é nata alla 6 giorni di Milano (1983 ? 1984 ? Non ricordo esattamente), forse perché... boh, mi sembrava un mondo un pò più "pulito" rispetto a quello del ciclismo maschile, forse perché sono sempre stato dalla parte degli "underdogs" per dirla all' americana, ho sempre pensato che il movimento (le atlete in primis) avrebbe meritato ben altra considerazione e attenzione da parte di pubblico e media, ho avuto l' onore di vedere all' opera atlete del calibro di Maria Canins, Roberta Bonanomi, Imelda Chiappa, Francesca Galli, Catherine Marsal, Antonella Bellutti, Jennifer Thompson, Rebecca Twigg, Connie Carpenter, Marianne Berglund, Mery Cressari, Luigina Bissoli, Zita Urbonaite (r.i.p.), Diana Ziliute e nella mia lunga carriera di tifoso ho avuto rispetto delle atlete, della loro fatica, mi sono entusiasmato, ho pianto un sacco di volte, mi sono immedesimato nel loro dolore quando le ho viste a terra ferite nel corpo e nell' animo. Può bastare ?”


Finita la carriera agonistica, hai corso anche nelle granfondo?

“Mai fatto le Gran Fondo, ho sempre pensato che c'é un tempo per tutto, non sono riuscito a sfondare per evidenti limiti fisici e caratteriali, ho corso, mi sono divertito, non rimpiango nulla e ringrazio Dio di essere ancora qui a parlarne, correre le Gran Fondo non avrebbe aggiunto nulla alla mia (già) fallimentare carriera di mediocre dilettante No, va bene così.”


Hai conosciuto il ciclismo dilettantistico, poi anche quello femminile. Ci sono persone, in questi due “movimenti” con cui sei rimasto in contatto?

“Non sono rimasto in contatto con nessuno nell' ambiente dei dilettanti , abito di fronte alla sede della mia ex società ma onestamente non mi é mai passato per la testa il pensiero di tornare anche solo per un saluto, come tanti altri non ne ho più voluto sapere e lo stesso vale per il ciclismo femminile: gli ultimi casi di positività al doping (Cucinotta prima, Rossi poi) hanno contribuito ad allontanarmi; a volte penso che ho fatto male, che ho messo nel girone dei cattivi anche chi non c'entrava niente e ha sempre corso con mezzi leali, ma come ho già detto e ripetuto un sacco di volte sui miei defunti blog, amo troppo il ciclismo, non sono uno che fa finta di niente e passa oltre con un "dimentichiamo tutto". Mi dispiace.”

La chiacchierata finisce qui. Grazie Alessandro. Resta nei bicchieri l’ultimo sorso; alla salute.

giovedì 16 dicembre 2010

Il ciclismo davanti al caminetto.


IL DOPING NELLO SPORT AMATORALE? AUMENTATO, E PURE TANTO.
CIFRE VERGOGNOSE, TENENDO CONTO CHE SI TRATTA DI PERSONE CHE BLATERANO DI PASSIONE PER LA LORO PRATICA SPORTIVA. SERVE UN’EDUCAZIONE ALLO SPORT, MA SI FA POCO.
COS’E? PAURA PER LA CASSA DEI GUADAGNI?

Dalla bocca del ministro della Salute Ferruccio Fazio (ospite al “Giro d’Onore”, cerimonia per i 125 anni dell’FCI) le notizie sono state precise; nel primo semestre 2010 ci sono stati 500 controlli antidoping tra i ciclisti amatoriali. Nel 15,9% di questi si sono trovati atleti positivi. Per capirci in maniera meno complicata; circa 75 ogni 500 gira-gambe. Per semplificare ancora, 15 su 100 imbrogliano. Immaginiamo una GF con 1000 partenti, fate il conto da voi.
Molto spesso si viene a conoscenza di sportivi che accettano di diventare dei falsi, anche solo per vincere il prosciutto nella corsa della sagra del paese. Ma è anche peggio. Ci sono persone che nel loro sport puntano, come fosse una questione d’onore, ad essere le prime nel loro gruppo di amici. Non si usano medicine soltanto per vincere, ma anche solo per “trionfare” nella corsa interna alla propria squadra di appartenenza. Essere i migliori dentro il proprio cortile. Non c’è bisogno di prosciutti.
Per alcuni, la comitiva con cui si condivide la passione per una determinata disciplina sportiva non è un gruppo di persone, ma è una specie di branco dove si vuol essere l’animale migliore. Quello che dentro una vasca, su di un sellino, sopra un paio di sci, dentro una corsia in pista o dove pare a voi, riesca ad avere il sopravvento sportivo sugli altri. Anche solo questa ridicola soddisfazione, che per tanti non è per niente ridicola, butta in un’angolo la voglia di fare sport per ricavarne benessere. Ecco che lo sport diventa così non soltanto un modo per acquistare fiducia in se stessi, ma funziona talmente bene che più si riesce a stare al vertice, più si vuole rimanerci perché ci si sente appagati e forti. La matematica non è un’opinione. Proprio per questo motivo l’istintivo pensiero di molti vive nella filosofia del; “Io sono davanti a loro. Sono meglio di loro.”

NON SCOMPARIRA’ MAI! PUNTO. MA POSSIAMO FARE SPORT SENZA DI LUI. E CON SODDISFAZIONI ENORMI. COME? ANIMO E TESTA (CHI LE HA). MA SE NE PARLA ABBASTANZA E ALLE PERSONE GIUSTE?

Nell’autunno del 2003, presso il Salone del Ciclo di Milano (quando il salone era tale, e non una bidonata come quest’anno), si tenne un convegno sul doping nel ciclismo amatoriale. Nel proprio intervento, il Presidente UDACE Francesco Barberis suggerisce che il problema; “… ci impone di evidenziarne le problematiche e di portarle all’attenzione di tutti, addetti ai lavori e a coloro che sono amanti del vero spirito sportivo, e desiderosi di uno sport animato da sani ideali.” Poco prima anche un’accenno al supportare; “…un’informazione sui risvolti negativi e sui danni psico-fisici causati dalla pratica del doping…” Questo nell’autunno di 7 anni addietro.
So per esperienza che nelle scuole si parla di alimentazione. Nel periodo in cui preparavo un convegno sull’alimentazione nello sport per l’AC PST me ne resi conto, visto che diverso materiale usato per il nostro convegno si appoggiava a diverse di quelle informazioni. Notizie sulla bistecca di carne bianca e rossa, sulla patata che viene poco considerata, sui legumi che bla, bla, bla…, tutti argomenti giusti ed utili.
Ma di doping se ne parla? Se ne parla all’interno delle società sportive, dove i ragazzi vengono introdotti nel mondo dello sport? Quante sono le società sportive che organizzano momenti di spiegazione sui danni dall’uso di medicine senza un vero giustificato motivo? Ci sono convegni che trattano di etica nello sport, ma è poco. Si parli ai ragazzi dei meli del doping nel fisico. Cosa provoca nel corpo l’uso di medicine dentro persone sane.
Perché la stessa UDACE non obbliga le società a lei affiliate, magari quelle che hanno un minimo di tesserati (tipo; “hai almeno 30 tesserati? Allora ascolta…”), ad organizzare almeno una volta l’anno dei momenti sull’educazione allo sport? Io parlo di UDACE, ma potrebbe essere lo stesso per la FIGC, per la FISI e via dicendo altre federazioni. Un convegno lo abbiamo messo in piedi noi che non abbiamo una lira, figurarsi se altri non avrebbero ben più possibilità. Certo, quando non sei nessuno devi anche saper essere un rompi*******i come pochi per avere attenzione e credibilità. Ma se ci è riuscito chi scrive, possono senz’altro farlo anche altri.
Se invece c’è paura di perderci soldi, spiegando che il doping arriva un po’ dovunque, e che quindi i genitori, impauriti, vietino ai figli di fare sport, o agli adulti passi la voglia di fare o rinnovare la tessera con l’ente sportivo “Tal dei Tali”, allora almeno non si blateri di passione per lo sport.
Il doping è un’amico che sa venirti incontro per un’amichevole pacca sulla spalla, sospinto da belle parole ed un sorriso a 150 denti. Si prenda un bel cric e glielo si stampi su questi ultimi.

mercoledì 8 dicembre 2010

Sicurezza sulla strada; la storia infinita.


LA DEVASTANTE STRAGE CICLISTICA DI LAMEZIA TERME HA DESTATO L’ATTENZIONE SULLA SCARSITA’ DI PISTE CICLABILI IN ITALIA.
CICLISTI-AUTOMOBILI-CICLABILI; LA VERA STORIA INFINITA. ALTRO CHE FAVOLE DA CINEMA.

Cadaveri disseminati sulla strada, che hanno visto la morte arrivargli in faccia senza preavviso, e che li ha falciati via dal mondo senza alcuna remora. Su di loro lenzuola bianche a coprirli. Caschi frantumati, alcuni volati via, disseminati a 30 metri dai corpi senza vita. Una bicicletta è volata per aria. Si è appesa da sola, per la sola forza dell’urto, sul cancello di una casa vicina. Montanelli diceva che l’orrore non aggiunge niente alla verità dei fatti.
Chi scrive usa le piste ciclabili quando possibili. Cioè, in primis, quando non rischi la pelle per “prendere la pista” ed usarla (ci sono percorsi ciclabili pensati col sedere e fatti coi piedi, che sono stati usati, a suo tempo, solo per non farsi scappare i vari contributi regionali, provinciali, ecc…). Le immagini arrivate da Lamezia Terme, che hanno aperto i TG serali di domenica scorsa, sembravano provocate da una sparatoria tra bande. Subito l’argomento “I ciclisti sulle nostre strade” ha ricevuto più attenzione in tre giorni, che non in questi ultimi anni. Ma che rapporto abbiamo noi con la bicicletta?
Ventinove milioni! Di cosa? Di biciclette. In Italia possiamo quantificare in 29 milioni il numero di biciclette esistenti tra nuove e vecchie di ogni tipo. Dalle Mountain bike ultimo grido, fino alle Graziella mezze arrugginite e dormienti nei nostri sottoscala.
Negli ultimi anni i chilometri di piste ciclabili sono più che raddoppiati; in tutta Italia erano 1.000 chilometri nel 2000, mentre nel 2007 erano 2.400. Quando usiamo la bicicletta? Principalmente la domenica. Siamo un popolo ciclistico della domenica. Per il resto, il sedere lo teniamo sempre sul sedile dell’automobile.
Una curiosità? Se dal 2000 al 2007 sono raddoppiati i chilometri di piste ciclabili, sempre in quei 7 anni è raddoppiato anche il prezzo della benzina. Nel nord-est italiano i chilometri di ciclabili sono aumentati del 100%, ma siamo 4 volte sotto lo standard dell’Europa Unita.
I numeri contano solamente fino ad un certo punto. Sono tanti i chilometri di ciclabili che restano deserte perché semplicemente inutili, buttate lì per guadagnare posizioni nelle classifiche ambientali. Però una cosa va riportata. Tra il 2002 ed il 2006, l’Italia ha speso 5 milioni di euro, nei percorsi ciclabili. La Germania stanzierà 80 milioni all’anno nei prossimi anni. Qualche altro numero;

OLANDA – 19 milioni di bici, rete ciclabile prevista 6.000 km.
GERMANIA – 72 milioni di bici, rete ciclabile prevista 35.000 km.
ITALIA – 25 milioni di bici, rete ciclabile prevista 168 km.
FRANCIA – 21 milioni di bici, rete ciclabile prevista 8.000 km.
GRAN BRETAGNA – 17 milioni di bici, rete ciclabile prevista 16.000 km.

Fatevi una risata; a Torino, fino a due anni addietro, c’erano 13 metri di pista ciclabile ogni 100 abitanti. Dividete per 100; 13.000:100 = 0,13 metri. (13 centimetri a cranio!!). a Vienna avreste per voi 62 metri!
Bella cosa le ciclabili, almeno venissero usate quando presenti. Visto che tanti ciclisti o cicliste della domenica non ci pensano proprio ad usarle. Siamo in tanti, siamo fighi! Le ciclabili ai ragazzini e ai nonnetti!

Nota; questo articolo è stato redatto con notizie tratte da; Corriere della sera – Il Gazzettino – Wikipedia – www.pisteciclabili.it – Nuovo Codice della strada.
Sono state usate dalla mia Associazione un’anno addietro, chiaramente in maggior quantità, per la rassegna “15 minuti sulla strada del buon senso” che verteva su; piste ciclabili ed uso del casco.

domenica 5 dicembre 2010

Il ciclismo davanti al caminetto.


DAMIANO CUNEGO E COMPAGNIA CANTANTE TORNANO IN SELLA. FINITE LE CONSUETE VACANZE, IL VERONESE INIZIA UNA STAGIONE (O FORSE UNA SECONDA CARRIERA?) IMPRONTATA DECISAMENTE SULLE FATICHE DI UN GIORNO.
E MAGARI, STAI A VEDERE CHE......

In sella! In Italia le nevicate sono già arrivate, ed anche copiose, in molte zone. Giornate da cioccolata calda e pantofole davanti al camino, anzi, al caminetto. I campioni invece si accingono a far fare alle gambe i primi giri di fatica.
Tra questi il quasi trentenne (eh si!) Damiano Cunego, che mai come da quest’inverno sembra avviato verso l’inizio di una seconda carriera ciclistica. L’ormai ex bocia di Cerro Veronese – croce e delizia di appassionati e tecnici – con il tesseramento di Michele Scarponi da parte del GS Lampre, perde la posizione di uomo di riferimento nei grandi giri per la squadra italiana. Era dal 2005 che il biondo ciclista veneto era punto fermo della Lampre nelle gare di tre settimane.
Da almeno due stagioni erano anche in aumento le voci che consigliavano il finisseur italiano di dedicarsi alle gare di un giorno. Lo stesso ragazzo aveva cercato di “tenere duro” in questo senso nelle ultime stagioni, provando a prepararsi in maniera specifica in vista di Giri o Tours che fossero. I risultati conseguiti non andarono verso le aspettative, com’anche in qualche caso ci furono esiti molto deludenti. Se per Michele Scarponi l’avventura Lampre sembra essere la cosiddetta grande occasione, per Cunego potrebbe essere l’inizio di una seconda fase ciclistica, quand’ormai il calendario personale arriva alla soglia dei 30 anni.
Quando Cunego aveva addosso la luce dei riflettori, i risultati spesso sono mancati. La scelta di Scarponi in squadra non sembra un tentativo atto a copiare la Liquigas, che tra Basso, Pellizotti, Nibali e Kruziger, in questi ultimi anni si è portata a casa un Giro di Svizzera, un Giro d’Italia, una maglia pois in Francia e una Vuelta. Non siamo di fronte a due ciclisti, Scarponi e Cunego, che hanno un’età ciclistica ben diversa (Basso e Nibali). E nemmeno sembra che Scarponi sia il nome per i grandi giri, accasato da Saronni e C., solo per togliere attenzione e quindi pressione a Cunego. Scarponi vuole vincere il Giro, e di lì non si scappa.
L’impressione è che Damiano abbia deciso di seguire come mai prima la strada delle gare di un giorno. Oggi il calendario delle classiche riempie totalmente il periodo marzo/aprile dove, tra Gand Wevelgem e Liegi, ci sono ben 7 classiche nel giro di un mese. Poi si torna al discorso che con Scarponi in squadra, sarà quest’ultimo a ricevere notevoli attenzioni degli avversari, dopo il 4° posto – per poco 3° - nella corsa rosa di quest’anno.
Cunego potrebbe approfittare di questo, proprio riguardo al discorso che quando non gli si chiedeva il risultato, spesso tagliava il traguardo prima di tutti gli altri. Ma con l’arrivo del nuovo Direttore Sportivo, Roberto Damiani (ex Gilbert), forse per Cunego è arrivato il bivio ciclistico definitivo. Per Damiano quasi certamente cambierà anche il clima interno al suo GS dove, non essendo più l’unico riferimento della formazione del signor Galbusera, la ricerca del risultato potrà essere equamente divisa tra lui e Scarponi.
Potrebbe anche essere l’inizio di una coppia ciclistica molto più forte del previsto, e che potrebbe trovare occasioni vincenti inattese ai più. A spingere questa competitività anche gli obiettivi dei due. Scarponi per l’occasione del treno giusto per il podio alto di Milano, Cunego per evitare di perdere i “gradi” all’interno della Lampre. Quando l’acqua arriva ai c******i, solo i morti non imparano a nuotare. E questa amichevole concorrenza interna potrebbe essere la molla che Cunego aveva perso, con l’addio di Ballan alla Lampre un’anno addietro, e prima ancora Simoni alla vecchia Saeco.

venerdì 26 novembre 2010

Il ciclismo davanti al caminetto.


IL CICLISTA PEDALAVA RASENTE AL BOSCO. QUEST’ULTIMO AVEVA INIZIATO A DORMIRE. NON SI SENTIVANO PIU’ LE SUE VOCI. TIRAVA UN’ARIA STRANA….

Il ciclista guardava se tra gli alberi c’erano presenze amiche. Ma non ve n’erano quasi più. Un Pettirosso uscì rapido dal sottobosco, incuriosito da quell’essere passante. Poi sparì veloce dietro un mucchio di rametti accatastati. V’erano infatti delle piccole fascine, lasciate lì da uomini che avevano tagliato il bosco per rifornirsi di legna da ardere. Quei rametti, messi assieme con pazienza, sarebbero serviti per dare vita al fuoco al momento di accenderlo. Poi per scaldarsi veramente ci avrebbero pensato i pezzi di legna veri e propri. Mentre il ciclista non pensava a niente, sentì un pizzico di freddo al viso. Questa sensazione scomparve subito. Pochi secondi dopo la sentì ancora.
“Ehi!” si sentì dire. Ma non capì chi fosse stato. “Vai a casa, è ora.” Sentì ancora. Si fermò rasente al bosco. Tutto silenzio. Fece per ripartire, ma si bloccò subito. Sentì un’altro brivido sul viso. Alzò lo sguardo, e capì.
“Ora è tempo che torni a casa, devo cadere” disse la neve. Aveva messo sull’avviso il ciclista, accarezzandolo sul viso con i suoi fiocchi.
“L’inverno deve ancora arrivare. Stattene tu a casa, lassù sulle vette, che nessuno ti rompeva le scatole!” rispose a tono il ciclista.
“Ma senti questo – borbottò la neve – nessuno mi aveva mai parlato così!”
“Cosa servi da queste parti? Vattene a cadere in montagna, dove almeno porti soldi. Da queste parti siamo in collina. Porti solo spese… e rotture di scatole” il ciclista non aveva nessuna intenzione di dargliele vinta.
“Ma chi pensi d’essere uomo? – sbotto la neve – Hai pedalato da febbraio, che io ero ancora sulle strade. Adesso è il momento che ti togli e lasci lo spazio a me!”
“Ma se cadi in montagna non dai fastidio. Nelle nostre città invece, dove ti posi ti spostano subito per ammucchiarti un po’ qua e là.” Rispose il ciclista.
“Ma io non sono qui per te. – disse la neve – Sono qui per proteggere il bosco e gli orti dalle gelate invernali. Cosa vuoi che m’importi di te, insolente e viziato d’un essere bipede, che quando ti faccio comodo perché devi sciarmi sopra mi vorresti alta un metro! Non sei mai stato ragazzino?” chiese spazientita la neve.
“Certo, ma questo cosa c’entra?” chiese sbigottito il ciclista.
“Quando mi vedevi cadere, mentre eri alla finestra nel calduccio di casa tua, cosa facevi? Piangevi?”
“Beh,… no…” rispose il ciclista.
“Perché invece di lamentarti sempre, non mi usi per fare contenti i tuoi figli? Regalagli un pupazzo di neve. Se vuoi cadrò abbondante vicino a casa tua” disse la neve.
“Ma io non ce l’ho perché cadi, ma non potevi aspettare?” domando il ciclista, che iniziò a cercare di trovare un’accordo. “Io vorrei pedalare ancora un poco” disse ancora.
“Posso capirti, ma pensi che il mondo debba essere qui per te? Vuoi avere il sole caldo quando vai in ferie, per poi lamentarti che fa caldo e cerchi l’ombra. Vuoi avere me quando vai a sciare,… Ma chi ti credi di essere? Mi hai mai conosciuta da vicino, o ti sei dimenticato com’ero” rispose la neve spazientita.
Il ciclista rimase in silenzio, poi disse; “Non volevo offenderti…” Pensò a quando era ragazzino, ai tempi in cui gli amici sotto casa non avevano bisogno di Internet per stare insieme. A quando andava con suo padre a raccogliere la legna nel bosco, e alla fine si scaldava in casa con una tazza di cioccolata. Il ciclista si scrollò di dosso i fiocchi che iniziavano ad imbiancargli le spalle. Ripartì con la bici.


La neve intanto cadeva sempre. Non aveva tempo di star dietro all’insolenza dell’egoismo. Lei cadeva per dare un riparo agli animali in letargo, facendo da coperta coprente sopra le tane, per proteggerle dall’aria gelida dell’inverno. Per dare un gioco ai bambini, così da “stanarli” dalle loro case a rincretinirsi di televisione. Cadeva per dare poesia alle feste del Natale, per far capire che le primavere più belle sono quelle che arrivano dopo gli inverni più rigidi. Però la neve ci rimase male. Da sempre cadeva, e gli uomini l’avevano sempre rispettata. Temuta sempre, ma rispettata. Ora doveva cadere quando volevano gli uomini e dove loro volevano? La pioggia infatti iniziò a cadere insieme a lei, abbracciate. Era la neve che iniziò a piangere. Ma poi pensò ai bambini che sarebbero stati contenti quando avrebbero giocato con lei il giorno dopo. Gli adulti la buttavano sempre via. Lontana. Non la volevano. Ma i bambini no. Per loro la neve era ancora il gioco più bello dell’inverno. Allora tornò ad essere neve. I fiocchi tornarono asciutti, larghi, poetici.
Il ciclista intanto arrivò a casa. Pensò alle cose che aveva detto e sentito parlando con la neve. Nello scendere di sella vide sua figlia più piccola andargli incontro contenta perché nevicava. Allora si svegliò dentro l’animo e tornò ragazzo, almeno lì.
“Vai a dire alla mamma che ci metta su una cioccolata, e poi domani facciamo il pupazzo di neve vicino al cancello”
“Ci mettiamo la scopa, e la carota per fare il naso?” disse la figlia.
“Va bene, ci mettiamo anche quello” e rientrarono assieme.
Il giorno dopo, un pupazzo di neve era stato fatto da poco. Aveva una carota grossa così che gli faceva un nasone enorme. Una sciarpa rovinata attorno al collo, una vecchia scopa in mano ed un berrettino da ciclista in testa.

domenica 14 novembre 2010

Giu il termometro, via il casco; motivo?




LE STESSA SOLFA OGNI AUTUNNO. CALA IL TERMOMETRO, ED INSIEME CALA LA PERCENTUALE DEI “PORTATORI DI CASCO”.
VIRUS SCONOSCIUTO, O NUOVE TECNOLOGIE A CUI STAR TREK GLI FA UN BAFFO?

Non so come va dalle vostre parti ma, per quanto concerne le strade della vallata feltrina, ogni volta che si è in un periodo freddo o quasi, si ripete un fenomeno strano. Pedalando fino al mese di settembre, un buon 80% (facciamo 70) dei vari ciclisti o cicliste ha il suo casco. Come il ciclismo abbraccia le foglie cadenti, forse arriva puntuale un qualche potente virus misterioso, che elimina senza scampo quasi tutti i ciclisti che usano il casco, per lasciarne pochi altri in giro, la maggior parte di questi senza casco.
Oppure si tratta di una nuova plastica invisibile (sono quasi convinto che sia questo!), che fa sembrare le persone senza il casco. O magari, perché alla tecnologia non c’è freno spazio-temporale, un nuovo tessuto mostruosamente rivoluzionario che, sotto le sembianze di un berrettino di lana, fornisce una corazza durissima che sfiora il diamante per robustezza. Robe da Star Trek!
Non saprei quali altre ipotesi proporre, se non che io sono male informato sui periodi più o meno pericolosi per pedalare. Può darsi benissimo che nei mesi autunnali, fino a fine febbraio, le strade siano più sicure rispetto al solito. Pensavo il contrario. Perché altrimenti non saprei come spiegarmi questa scomparsa dei caschi dalle zucche delle persone che pedalano, da novembre e fine febbraio.

venerdì 5 novembre 2010

Il ciclismo davanti al caminetto.


TORNA IL PERIODO-RELAX DEL CICLISMO DAVANTI AL CAMINETTO. AVETE VOLUTO LA BICI? ALLORA BECCATEVI LA POESIA!

Cala il sipario su questa stagione,
piange il perdente, esulta il campione.
Giorgia Bronzini sorride felice,
Sgarbozza continua a non saper quel che dice.

Cala il sipario e più triste è il mio cuor,
ma forse sta peggio il buon Contador.
Arriva un vecchietto che puzza di guai,
“Son tutti dopati!” che vuoi che sia mai?

Cala il sipario e si scende di bici,
con un’arrivederci a tutti gli amici.
Passando l’inverno e pensando al momento,
in cui torneremo a correr nel vento.

Cala il sipario sui falsi campioni,
eroi puzzolenti di finte emozioni.
Ai ladri di sogni nessuna pietà,
si metta in borraccia soltanto onestà.

Cala il sipario, s’accende il camino,
e dentro di noi rinasce il bambino.
E mentre il mio cuore ricorda di ieri,
il tappeto ora brucia; chi chiama i pompieri?

Cala il sipario e cerco un finale,
unendogli un’ode che sia universale.
all’unica stella che splende sovrana,
poema supremo di nome Tatiana*.


Osservando le cime innevate delle Prealpi bellunesi da CesioMaggiore (BL).
21 ottobre 2010; foto Marzo Z.


(*) nome ovviamente scelto a caso.

lunedì 1 novembre 2010

Novembre: l'editoriale.


LENTAMENTE, ANCHE TROPPO, IL MERCATO DELLE BICICLETTE STA INIZIANDO AD ABBASSARE I COSTI. PIU’ CHE ALTRO, SI STA FACENDO MEZZO PASSO INDIETRO IN TERMINI DI MATERIALI.
GRAZIE COSTRUTTORI, MA DOVEVATE ASPETTARE DUE ANNI DI CRISI ECONOMICA PER DISSANGUARCI DI MENO?

Chi scrive pedala su una specialissima che, al cospetto di una gamma medio/bassa di oggi, fa ridere. Non perché di bicicletta vecchia si tratti, ma se oggi entrate in un negozio ed acquistate una bicicletta da corsa da 1.500 euro, avete buone speranze di poter entrare nella categoria poveracci. Non parliamo poi del costo dei cosiddetti accessori, cioè tutte quelle cose che compongono a pezzi una bicicletta, e che sono il vero guadagno per il negoziante. Poi troviamo gli articoli d’abbigliamento che almeno, se ben trattati, durano diversi anni e ne possono giustificare il prezzo bello salato. Il ciclismo costa, altro che storie. Sembra però che, solo ora, il mercato della bicicletta stia facendo un passo indietro per quello che è l’uso di alcuni materiali. L’alluminio sta tornando nei cataloghi, in maggior misura rispetto agli ultimi anni, permettendo così un costo dell’articolo (la bici), meno pesante per il portafogli del cliente.
Dieci anni addietro, una bicicletta “classica” offriva un telaio in alluminio ed una forcella in carbonio; era una signora bicicletta. Ma nel decennio appena morto, il carbonio ha invaso quasi ogni parte della bici, portandosi appresso i suoi costi spropositati, spesso totalmente ingiustificati per l’uso che veniva fatto della bicicletta da chi sopra vi pedalava. Come? Anche sulla psicologia, contando molto sull’esaltazione del gesto atletico e con il trattare l’amatore come un mezzo campione – o una possibile campionessa in caso di cicliste – per fargli spendere 500 euro in più. Date un’occhiata alle pagine pubblicitarie, in una rivista specializzata. Questo approccio ha spinto tanta clientela a spendere ben oltre le finalità che poteva raggiungere in sella. Così si è alimentata per almeno un lustro la crescita del mercato delle cosiddette “media ed alta gamma”, favorendo un rialzo dei prezzi dove i clienti stavano zitti e sognanti, ed il mercato ringraziava. Sempre meno alluminio e sempre più carbonio. Questa è stata la specialissima dell’ultimo decennio. Chi era signore; “…e vai col titanio!”, mentre l’acciaio è morto, nonostante abbia qualità “salvaschiena” che sono state messe in un’angolo senza complimenti.
Succede che però adesso i portafogli non si aprono più come 3 o 4 anni addietro. Allora i costruttori, capendo che andando avanti così non avrebbero potuto cambiarsi il SUV comprato ben 3 anni fa, hanno pensato di tornare all’alluminio per permettere un costo delle biciclette meno pesante. Questo anche perché se, fino a 15 anni addietro, la qualità europea stava davanti a quella orientale o americana, ora il livello si è appiattito. Quindi se vuoi vendere, ma stai a parità di qualità, l’unica è tornare a materiali meno costosi – ma non meno affidabili, l’alluminio ha riempito le strade a fine anni ’90! – e provare ad acchiappare tre ciclisti nella gamma media, che due in quella alta.
Non è da escludere che l’alto costo di una bicicletta da corsa, sia anche il motivo per cui un salone come quello milanese sia andato a perdere i pezzi (interesse del pubblico) negli ultimi anni. Un conto è presentare telai che (solo telaio) costano 1.200/1.400 euro e biciclette che vanno dai 3.000 euro in su. Altra storia è poter offrire al ciclista – soprattutto della domenica! – un telaio da 700/800 euro oppure una specialissima da 1.500/1.700 euro tutto compreso (ragazzi, 1.700 euro sono 3.300.000 delle vecchie Lire!). Poi che a Milano la gente si fosse stufata di fare 20 minuti in coda per un panino che costava pure caro, questo è una cosa che dipende dall’organizzatore. E lì i cocci sono suoi.
Chiudiamo con qualche riga volutamente un po’ carogna. Da poche settimane il codice della strada obbliga tutti i ciclisti a vestire dei capi d’abbigliamento non solo visibili, ma con caratteristiche riflettenti per le ore serali fino all’alba (e anche nelle gallerie non illuminate). Stai a vedere che per il prossimo anno arriveranno nuovi capi d’abbigliamento già predisposti, che metteranno in piedi un nuovo periodo di business per le aziende d’abbigliamento sportivo?

mercoledì 20 ottobre 2010

Presi per il sedere; punto.


Alla salute del ciclismo onesto, apriamo una bottiglia in allegria!!

“L’HO FATTO PER I RAGAZZI DI OGGI” (Danilo Di Luca – Gazzetta dello Sport del 16 ottobre 2010). SIMPATICA COMICA FINALE, OPPURE CICLISTICA PRESA PER IL DERETANO? SALUTIAMO COMMOSSI L’ARRIVO DEL NUOVO SALVATORE PER I CICLISTI DEL FUTURO.

Marta Bastianelli è stata proprio fessa. Eh si, la ragazza si è fatta due anni di squalifica, senza tante manfrine, per un prodotto dimagrante, quando facendo uso di doping ben più pesante e grave poteva cavarsela molto prima.
Come accidenti lavorano nelle procure anti-doping? Quali sono le motivazioni per dare un pesante sconto di squalifica a Danilo, ascoltando poi il ciclista affermare alle telecamere RAI che lui non ha fatto nomi? Aiuti per l’inchiesta sul Giro-Bio riguardante la squadra Lucchini-Unidelta di Bruno Leali? Cosa sapeva Di Luca di tutta quella storia? Siamo alla presa in giro bella e buona. Altro che Contador, qui siamo al limite del mandare a quel paese le procure e non i ciclisti.
Di Luca ha detto di non aver fatto nessun nome riguardo ad altri ciclisti. Ha tenuto a sottolinearlo, così almeno i colleghi non gli daranno della spia e l’onore è salvo. E l’omertà sorride, perché la sua pianta cresce ed ha fatto sbocciare un’altro dei suoi fiori puzzolenti. Ha ”collaborato” riguardo alle metodologie che vengono messe in atto per fare uso di sostanze dopanti. E per questo motivo ha meritato 9 mesi di sconto sulla squalifica; grazie tante.
Imbrogli con il CERA (l’EPO di ultima generazione, e non una purga per perdere mezzo chilo), poi una volta scoperto mi gridi ai 444 venti che i controlli dell’UCI non sono affidabili, e bla-bla-bla-bla… La tua collaborazione me la devi dare senza il lecca-lecca in regalo perché non hai pianto dopo la punturina. Mi dici chi ti ha detto cosa comprare, chi ti ha aiutato a doparti, se ti sei arrangiato chi te lo ha insegnato o dove lo hai imparato. Stai zitto? Fai due anni (io ci metterei anche il divieto per un’anno, dopo il ritorno alle gare, di vestire la maglia della nazionale), oppure la scelta più dolorosa; alzarti alle sette di mattina e andartene a lavorare 5 fottuti giorni su sette (se non 6), come fanno in tanti che sono vero e concreto esempio per i giovani!
Gianni Bugno (presidente dell’Associazione dei Corridori Professionisti) dice bene sul fatto che Torri ha sbagliato a tirare scariche di mitra su tutti i ciclisti. Ma il mitico Gianni – uno dei pochi idoli di chi scrive – dovrebbe dire ai ciclisti squalificati di non rompere le balle e collaborare come si deve senza chiedere nulla in cambio. Questo sarebbe il comportamento più rispettoso nei confronti dei colleghi del pedale onesti – che ce ne sono – e più ancora degli appassionati che sono stati presi in giro, quando si prendono il giorno di ferie con 3 o 4 mesi di anticipo, si alzano alle 6 di mattina, si fanno 2 ore di macchina per andarsene sul tornante del tale Passo, e lì aspettano 4 o 5 ore, per poi farsi altre 2 ore per tornare. Oppure vanno al Giro di Lombardia e si prendono tonnellate di pioggia quando potrebbero starsene al calduccio a casa loro.
“L’ho fatto per i ragazzi di oggi.” Allora ricordiamo ai ragazzi di oggi che Di Luca arriva dalle inchieste per avere frequentato il dottor Carlo Santuccione, che nel suo ambulatorio aveva un vero e proprio crocevia del doping, ai Mondiali del 2007 viene mandato a casa per l’inchiesta “Oil for Drug” con 3 mesi di squalifica, poi la famosa “pipì degli angeli” nel dopo Zoncolan a quel Giro, quando le urine del ciclista erano stranamente perfette, visto che dopo uno sforzo del genere nelle urine ci sono delle fisiologiche dissonanze legate allo sforzo, che lì invece non avevano lasciato segno.
La Madonna del Ghisallo è la protettrice dei ciclisti? Meglio protegga gli appassionati da questi ciclisti, che di legnate in quel posto ne abbiamo prese già troppe.

OMERTA’;
1) solidale intesa che vincola i membri della malavita alla protezione vicendevole, tacendo o mascherando ogni indizio utile per l’individuazione del colpevole di un reato
2) intesa tacita o formale fra membri di uno stesso gruppo o ceto sociale.
(Nicola Zingarelli – Vocabolario della lingua italiana)

Dimenticavo; ben ritrovati a tutti.

giovedì 16 settembre 2010

Ancora sulla pelle dei nostri giovani; basta maledizione!!


GUAI GROSSI PER LA SOCIETA’ DILETTANTISTICA “TEAM TRENTINO” E PER IL LORO DIESSE MARIANO PICCOLI, DOPO UN CONTROLLO DELLE FIAMME GIALLE FATTO IN LUGLIO AL GIRO DEL MEDIO BRENTA.
ORA SE NE SA DI PIU’ E DOPO LA VICENDA DEL GIRO-BIO L'AMAREZZA DIVENTA RABBIA.

(notizie tratte dal Gazzettino di giovedì 16 settembre 2010)

L’ex professionista Mariano Piccoli è stato perquisito, dalle Fiamme Gialle, al Giro del Medio Brenta corso a luglio, e gli sono state trovate delle compresse anonime e di presunta provenienza estera. Ma se in questa caso si parla di compresse anonime e di una provenienza presunta – quindi senza certezze – le notizie che coinvolgono i ciclisti della squadra danno meno dubbi a causa di un’altro dell’episodio capitato nella medesima occasione.
Infatti, mentre un gruppo di finanzieri si stava dirigendo a perquisire il furgoncino della squadra, sarebbero state viste volare fuori da un finestrino delle confezioni di farmaci che sono state raccolte poi in un fosso. Uno dei ciclisti che è stato visto gettare i farmaci, è poi risultato positivo all’EPO.
Piccoli ora dovrà vedersela con l’accusa forse più pesante; non solo doping ma anche ricettazione dello stesso.

martedì 31 agosto 2010

BON VOYAGE LAURENT......


Laurent Fignon, 12 agosto 1960 – 31 agosto 2010.

RICORDATO QUASI PIU’ PER DUE SECONDI POSTI CHE PER TRE GRANDI GIRI VINTI, LAURENT FIGNON NON HA SUPERATO LA SALITA PIU’ ARDUA, UN TUMORE CHE – ANCOR ABBASTANZA GIOVANE – LO HA UCCISO.

(Quasi tutte le notizie di questo articolo, sono tratte dalla collana “I campioni del ciclismo”.)

Nato a Parigi nell’estate del 1960, Laurent Fignon diventa professionista come gregario del grandissimo Bernard Hinault. Già nel 1983 le sue doti portano un ragazzo di 23 anni a vincere la più importante corsa al mondo, facendolo arrivare a Parigi in maglia gialla. Nel 1984 Hinault cambia squadra e Fignon diventa il capitano in squadra. Niente cambia per i risultati, visto che Fignon vincerà ancora il Tour. Il mondo del ciclismo è senza parole davanti a quell’occhialuto ragazzo che a 24 anni ha vinto due volte la Grande Boucle.
Nel 1984 aveva sfiorato il Giro d’Italia, dopo che l’italiano Moser lo superò in una prova a cronometro corsa a Verona vincendo la corsa rosa. Moser potè usare, in quell’occasione, la bicicletta che aveva usato per il record dell’ora. Tutta un’altra cosa rispetto alle biciclette ancora “normali” di quel periodo. Per l’italiano un vantaggio enorme. Fignon vincerà il Giro nel 1989 davanti a Flavio Gipponi e si preparerà così al Tour de France.
Il Tour regalerà il finale più epico che si ricordi. Al via dell’ultima frazione, Fignon veste la maglia gialla. L’americano Greg Lemond – che ha già vinto un Tour – è il suo sfidante principale. Si parte da Versalilles fino a Parigi per complessivi 24,5 chilometri a cronometro. Il francese ha 50” secondi di vantaggio, ma Lemond è molto forte a cronometro. L’americano parte come un missile. Fignon non riesce a tenere testa allo statunitense, che conclude la cronometro con un distacco di 58” sulla maglia gialla. La classifica entra nella storia; per 8” Greg Lemond vince il Tour de France. Mai più Fignon dimenticherà quel caldo pomeriggio parigino.
Fignon era una persona dal carattere particolare, ma anche di un’intelligenza come pochi. Conosceva 3 lingue (oltre al francese, italiano, spagnolo, inglese), riservato per la sua vita di tutti i giorni. Amava leggere libri prima delle corse, aveva una gran passione per i testi antichi. Per questo motivo era soprannominato “Il professore”. Aveva passione per letture come l’Iliade o l’Odissea, per la pittura e infatti dipingeva.
Si ritirò nell’autunno del 1993 come gregario dell’italiano Gianni Bugno alla Gatorade. “Continuerò a correre se vincerò il Mondiale!” disse Fignon in quella primavera. Ma la maglia iridata, da lui tanto sognata, non sarebbe mai stato in grado di vestirla.


Alcune delle sue vittorie più importanti;
1983 – Tour de France; 1984 – Tour de France, Campione di Francia; 1986 – Freccia Vallone; 1988 – Milano- Sanremo; 1989 – Milano-Sanremo, Giro d’Italia; 1993 Giro del Messico.

Nota dell'autore;
a tutte le persone che stanno pedalando su una salita lunga e difficile - come quella che Laurent non è riuscito a vincere - un pensiero e un grazie per l'esempio stupendo che voi portate avanti.

sabato 7 agosto 2010

Complimenti e grazie.


IDEE, OPINIONI, OSSERVAZIONI BASATE SULL’ESPERIENZA MATURATA “SUL CAMPO”, CRITICHE, E UN PELO DI PASSIONE.
SONO DIVERSI GLI SPUNTI CHE ARRIVANO DA UN’ATTENTA LETTURA DEI COMMENTI ALL’ARTICOLO PRECEDENTE. SUGGERIMENTI PREZIOSI CHE SAREBBE BENE CHI DI DOVERE CONSIDERASSE.

Per la serie “non si finisce mai d’imparare” mi sono copiato e incollato i commenti arrivati da voi al seguito dell’editoriale d’agosto. Questo perché li ritengo pieni di spunti da prendere in considerazione, avendo la sensazione che i “commentatori” siano persone che di corse rosa ne masticano o ne hanno masticate tante. Spunti preziosi, anche per le basi (promozione degli eventi, serietà delle protagoniste) su cui si è creato il mini-dibattito sulle cose buone, e non, del “movimento” ciclistico rosa.
Certo, in qualche momento spunta un qualche termine un po’ forte, ma forse perché portatore di una passione molto viva, o che molto viva lo è stata.
Difficile che cicliste oppure organizzatori si prendano la pazienza per una lettura delle righe lasciate dai commentatori. Ma si leggono esempi che hanno effettivamente portato benefici e vantaggi agli ambienti presi a modello.
Come scrissi proprio a fine dell’editoriale d’agosto; “… lasciamo perdere il discorso del voler fare grande il ciclismo delle ragazze, e cominciamo con il cercare di renderlo migliore. Chi ci lavora, chi lo racconta, chi lo rappresenta con il proprio lavorar di gambe.”
Critiche fatte in questo modo, con le contrapposizioni tra i pareri certo, ma equilibrate e propositive, sono una di quelle cose che sarebbero le basi per rendere migliore un giocattolo che spesso avanza in modo ancora zoppicante.
Quindi un ringraziamento per l’attenzione (penso d’aver superato ogni record sul numero di commenti, per un’articolo sul ciclismo femminile in questo sito), sperando che le vostre idee possano arrivare là, dove nessuno è mai giunto prima.
(Star Trek docet)

domenica 1 agosto 2010

Agosto; l'editoriale.


GLI AVVENIMENTI PRINCIPALI DEL MESE APPENA PASSATO ERANO DUE. DEL TOUR SE NE SONO LETTE DI TUTTI I COLORI. DEL GIRO-DONNE POCO O NIENTE, MA ORMAI E’ ABITUDINE.
ABITUDINE CHE DIPENDE ANCHE DALLE OCCASIONI GIOCATE MALE.

L’impressione è che il ciclismo rosa sia seguito molto meno di quanto gli appassionati delle corse delle ragazze dicano o scrivano. Ma dall’ambiente stesso sono pochi gli sforzi per provare a dare un giro di vite al “movimento” rosa, per quella che è la promozione al pubblico. Hai voglia che l’atleta di primo piano vada in tivù (avvenimento mooolto raro), a dire; “Ehi, guardate anche noi!” se poi si sprecano occasioni. Poi anche la base di tutto, le cicliste, potrebbero aiutare ad attirare quel che serve per farsi sentire; i soldini. Come fai ad interessare il pubblico? Ti apri ad esso!
Presentare il Giro d’Italia solo agli addetti ai lavori è stata un’occasione giocata male per far conoscere il ciclismo rosa al pubblico. Il ciclismo femminile vuole veramente farsi conoscere, o è una frase messa lì per attirare attenzione? Avvicinalo alla gente tanto per cominciare, poi stai tranquillo che gli sponsor ci pensan loro ad avvicinarsi quando sentono odor di business.
Le foto che ormai riempiono il web (su Facebook a quintali), dovrebbero fare posto al ciclismo raccontato. Il ciclismo è diventato sport nobile, l’altro è la boxe, grazie ai racconti dedicati agli atleti. Nessuna disciplina ha mai avuto scrittori così famosi, come lo sport del ciclismo per farsi conoscere. Si lavori in questo senso anche con le ragazze. Quanti appassionati di ciclismo femminile sanno chi era Alfonsina Strada? Forse nemmeno tante cicliste. Non è sufficiente una foto per raccontare tutto quello che c’è intorno. Ed è un peccato, perché il ciclismo dell’altra metà del sellino ha diverse cose che varrebbe la pena raccontare.
Le atlete possono fare la loro? Possono regalare un po’ di pazienza in più verso la loro professione, visto che praticare ciclismo con serietà sfiora la professione. Con questo, è sbagliato andare a pretendere che una persona viva 23 ore su 24 per la bicicletta. Ma se in gara non ne azzecchi una, prima di cambiarti dopo aver finito la tua corsa, meno corse verso il telefonino per l’SMS e “lavora” altri dieci minuti a scambiare due parole con il diesse. Col tempo si migliorerebbero così le atlete, quindi il modo di correre, quindi ecco una qualità delle corse più alta.
Sperare che il ciclismo femminile diventi importante, vuol dire accettare che tra il pubblico e le atlete si materializzino quelle centinaia di transenne che i maschietti hanno sempre intorno. Lo vogliamo veramente così importante? Prima di farlo diventare grande, iniziamo con il renderlo migliore. Quest’anno al Giro si sono visti spogliatoi improvvisati a bordo strada, perché le ragazze potessero cambiarsi. Robe da matti!
Situazioni come queste (viste a Biadene dopo la crono del Giro), dovrebbero anche essere dette e resi note. Ma non per cattiveria. Per il motivo che altrimenti tutto viene preso così com’è, andrà sempre bene, e le cose che puoi rendere migliori con poco resteranno sempre lì, mentre quelle che non funzionano idem. Quindi anche chi del ciclismo rosa ne scrive spesso perché ha l’occasione di seguirlo di qua e di là, può fare la sua parte, ma se si raccontano solo le cose che funzionano si finisce con il suonarsela e cantarsela.
Credo che queste saranno le ultime righe che il sottoscritto metterà su questo sito, per quest’anno, sull’altra metà del sellino (anche se ci sono i Mondiali, dove l’FCI davanti alle tivù tornerà a voler bene alle ragazze, specie se porteranno ancora medaglie!). Come scritto poco sopra, lasciamo perdere il discorso del voler fare grande il ciclismo delle ragazze, e cominciamo con il cercare di renderlo migliore. Chi ci lavora, chi lo racconta, chi lo rappresenta con il proprio lavorar di gambe.

giovedì 15 luglio 2010

Giro-Donne 2010; lente d'ingrandimento.


Mara Abbot (USA Nazional Team) con Emma Pooley a ruota (Cervelo Test Team) verso Livigno (8^ frazione).

UN SORRISO GRANDE COSI’ E IL GIRO VESTE I COLORI STARS & STRIPES. CON LA FIRMA DI MARA ABBOTT CALA IL SIPARIO SU UNA GRAN CORSA, CON I SUOI COLORI (MA POCO AZZURRO), I SUOI UMORI E QUALCHE CREPA.
CON UN ARTICOLO DI DIMENSIONI MOSTRUOSE, ANDIAMO DUNQUE; “A RECUPERAR CONCETTI” (Lorenzo Roata, 9^ tappa Livigno – P.so Stelvio)

LIFE IN THE FAST LINE!; La osservi e ti chiedi se pesa di più lei o la sua bicicletta. Poi ti dici; “Beh, se riempio le due borracce, forse stiamo a pari!”, ma quando la strada sale vedi coi fatti cosa voglia dire avere chili in meno da portar con sé. Non che sia un esempio di robustezza fisica che le nostre ragazze debbano prendere come riferimento, anzi. Fatto sta che Mara Abbott ha sfruttato appieno proprio queste qualità, quando la Forcola, prim’ancora il Bernina e il giorno dopo lo Stelvio, le hanno dato la possibilità di portare a casa la corsa più importante del calendario. Due giorni, 162 chilometri in totale per prendersi la classifica, strapazzare quasi tutte le migliori, suonare la carica e vestire in rosa per la vittoria del 21° Giro femminile. La vittoria della Abbott vale un sacco, in virtù della lista partenti che Muggia dava al pubblico all’inizio di luglio. Le migliori c’erano tutte, regine “vecchie” e regine nuove, altre in odor di principessa ma tempo dovranno aspettar ancora, per cavalcare verso il castello delle vittorie. Nel complesso è stata una gran corsa, visto che nei momenti importanti delle giornate di gara, la capitane o le gregarie di lusso erano presenti. Quindi dal punto di vista della qualità in corsa, centro pieno. E allora fermiamoci un momento, riempiamo l’ideale borraccia del ricordo e sediamoci; “A recuperar concetti.”, come Don Lorenzo ci consigliò nella cronaca della 9^ frazione. Mentre un’americana, con un sorriso grande così, vestiva di rosa.
WONDER WOMAN; Ina Yoko Teutemberg è stata la prima regina di questo Giro. Quando si mettono in fila consecutivamente Trieste, Riese Pio X, Biadene (crono individuale!) e Lendinara, ma dove vuoi andarmi ancora figlia d’un papà innamorato di John Lennon? E, più che altro, perché non chiedi in giro dove vorrebbe mandarti Giorgia Bronzini, che per due volte ti è arrivata vicina, ma non abbastanza per levare il grido della gioia suprema? Clima di gran battaglia al Giro (e che caldo, ragazze mie!) tanto che il secondo giorno mi finite per terra con un botto da paura, nel dì della brava Grete Treiler di “patron” Brunello, che s’agita come un ragazzino al suonar della campanella dell’ultima tornata. Ma niente, tu regina della ruote veloci non accetti spettacoli oltre al tuo. E Don Lorenzo non può esimersi dal chiamarti; ”…nostra ideale Wonder Woman!” dopo la vittoria di Lendinara.
L’OLANDESE VOLANTE; sapendo di chi si va a parlare, sbagliato non sarebbe scrivere che Elena Berlato ha vinto la maglia ciclamino (la ventiduenne della Top Girls ha chiuso la generale al 10° posto). Ma la verità racconta che Marianne Vos ha corso un Giro da protagonista, anche se nel finale la sua classifica è andata letteralmente in pezzi, chiudendo al 7° posto conclusivo. La fuoriclasse olandese porta a casa le classifiche di miglior giovane e quella a punti, contornate da due vittorie di giornata sui traguardi di Pettenasco e Gallarate, portando la maglia rosa in due tappe. Era nelle previsioni un calo per lei nelle grandi salite, certo è che pigliare quasi 10 minuti in 2 giorni è stato un vero disastro.


Per Miss Gruppo un Giro in cui si sperava qualcosa di più.

AZZURRO SBIADITO; “Cerco Tatiana tutto l’anno, e all’improvviso eccola qua”. Per metterla sulla canzonetta. Certo è che, a parte poche nostre ragazze, Casa-Italia è stata una melodia con alcune stecche. Partiamo dalle note positive. L’iridata di Marostica ha corso un Giro in prima fila, attaccando quando aveva il terreno per farlo, ed è arrivata a un passo da quella vittoria di tappa che sembra destino non voler farsi mai acchiappare, chiudendo il Giro al 3° posto. Una gran brava Guderzo, che ha chiuso a 3 minuti dalla Abbott, che forse ha un po’ deluso le attese nella fornace a cronometro di Riese, ma che si è fatta valere nelle tappe dove le strade salivano. Nota negativa, quelle che le arrivano davanti cambiano, e la Tati è sempre lì “tra color che son sospese” come direbbe il sommo. Brava la Berlato, a cui si è accennato prima, anche se lei la attendiamo lassù, con le più forti, tra un paio d’anni.
Le altre italiane sono state come mangiare pollo freddo e riso in bianco su di un piatto di plastica. Brava la Giorgia Bronzini, che non ha vinto tappe, ma almeno può vantare due secondi posti dietro alla Wonder Woman teutonica della Columbia. Ci si attendeva di più dalla Baccaille; miss gruppo non è mai arrivata tra le prime tre, nonostante fresca di secondo titolo tricolore in linea. Sarà mica che col maturar di carriera, mi diventa più atleta da corse di un giorno, tenendo conto che le sue firme più importanti le ha messe sull’albo d’oro del Liberazione di quest’anno, e negli ultimi due Campionati Italiani? Ancor meno vista la Cantele, se non nelle immagini che aprivano le sintesi televisive. Nel complesso continua la crisi di risultati del ciclismo italiano nella corsa di casa. Nel 2009 una sola vittoria di tappa (Cantele), 4 piazzamenti a podio e nessuna italiana nelle prime 5 della generale (l’angelo azzurro si classificò al 7° posto). In questo Giro solamente 4 i piazzamenti nei podi di giornata, nessuna vittoria, almeno la Guderzo tiene a galla la barca con il 3° posto finale. Ma se guardiamo le classifiche dei due ultimi Giri femminili, sembra una corsa estera.
LEGIONE STRANIERA; in dieci giorni di corsa, per un’avulsa Claudia Hausler nessun piazzamento con le prime. Guardando la generale sembra autrice di una bella corsa, visto il 4° posto conclusivo. Ma se vediamo la corsa dello scorso anno, l’impressione è che la Hausler quest’anno abbia sofferto la presenza della Pooley in formato “Trentino”, gara dove lo scricciolo inglese era uscito vincitore. La Pooley è andata in “tilt” nella 5^ frazione dove ha faticato a tenere le ruote migliori. È rinata due giorni dopo con l’arrivo a Livigno e si è confermata nella piazza d’onore per l’arrampicata sullo Stelvio. L’impressione è che la ragazza sia arrivata al pieno della forma, due settimane troppo presto. Chi ha fatto un grande Giro è stata la tedesca Judith Arndt, che vanta 2 secondi posti, 4 terzi posti ed il 2° posto finale della classifica. Per continuità è stata forse la migliore, tenendo conto che è stata presente anche in azioni d’attacco. Se una ciclista meritava una vittoria, la trentacinquenne della Columbia era la prima della lista.
Una menzione per Evelin Stevens, americana ventitreenne che corre con l’HTC Columbia è che ha vinto in maniera splendida la Como – Albese con Cassano, per Grete Treier (Michela Fanini) che ha provato il colpo gobbo nell’arrivo da solleone di Riese, e un saluto per Martine Bras, olandese della Gauss RDZ, che nella 6^ tappa è uscita di strada in discesa schiantandosi contro una casa, ma per fortuna niente di serio.
GOD SAVE THE QUEENS; dopo il ritiro delle tre vecchie (vecchie?) regine del gruppo – Luperini, Ziliute e Brandli – lo scorso anno, questo potrebbe essere stato l’ultimo Giro per Edita Pucinskaite. Se così fosse, tanto di cappello all’unica ciclista che attualmente è riuscita a vincere Tour (quando era il Tour), Giro e Mondiale. Comunque, già da due anni a questa parte, ci si accorgeva che era iniziato un normale ricambio generazionale. Speriamo che la Pucinskaite resti nell’ambiente, visto che è una delle poche donne che hanno dimostrato interesse verso la realtà delle bici in rosa, anche con uno sguardo ai problemi e le mancanze che gli girano intorno.
RAI TV E ALTRO…; il caldo africano è stato devastante per la carestia di pubblico a bordo strada. Anche nelle tappe venete, la presenza di pubblico ha patito molto il termometro che puntava in alto. A Biadene di Montebelluna si è corsa la cronometro individuale, e le temperature erano insopportabili. Ragazze stracotte all’arrivo, e nessuno spazio per loro nel dopo tappa. Peccato che 200 metri dopo l’arrivo, un’edificio con parcheggio largo e vuoto poteva essere messo a disposizione delle squadre. Tenendo conto che lo sponsor principale del Giro, aveva il suo nome scritto in bell’evidenza all’esterno di questa struttura, forse bastava poco per evitare che tante ragazze si siano dovute svestire sopra un marciapiedi o, peggio, sedere per terra sul bordo di una stradina laterale. Questa è la corsa numero uno del calendario, ma continua ad esserlo per la qualità delle cicliste che la corrono. Il resto rimane ancora indietro.
La tivù di stato ha fatto un buon lavoro. Avendo Roata al microfono, c’è l’assicurazione che la classe non manca quando il suo microfono è acceso. La voce, ormai storica, del Giro-Donne ha poi sfoggiato – almeno nella due giorni trevigiana – dei sandali alla francescana da urlo. Le sintesi televisive erano essenziali, forse delle interviste fatte alla partenza prima del via ci sarebbero state bene (fino a due stagioni fa le facevano), anche se solitamente ne sono state mostrate sempre alla fine. Una proposta; via Martinello e, se si ritira, un microfono per Edita!




Ok Lorenzo, fatta anche questa!

lunedì 5 luglio 2010

Giro-Donne 2010; servizio speciale 2^e 3^ tappa


Ma andate a vedere che cos'è una ciclista, in un mondo ancora schifosamente maschilista!

IL SOLE CALDO, UNA FATICA DANNATA, LE BELLE CICLISTE, I ROSSI DISCRETI, LA MAGLIA ROSA, I “MI AVETE CHIUSO LA STRADA?... MI FA PASSARE?”, LA TATIANA STRACOTTA DAL CALDO, I SANDALI DI DON LORENZO…;
2^ e 3^ TAPPA DEL GIRO-DONNE 2010, A MODO MIO.

(SCUSATE LA LUNGHEZZA, SE VI STUFATE LO CAPISCO)

Che vuol dire esser una ciclista oggi? Come vorrei chiederlo a ragazze che si danno al ciclismo. Ma non ad una ciclista della domenica. Ma ad una che lo fa per lavoro (perché questo è il ciclismo). Quante storie potremmo tirar fuori dal racconto con una di loro? Mi piacerebbe poter avere una ciclista 30 minuti tutta per me (e non pensate male, almeno stavolta)
SACILE – RIESE PIO X, SABATO 3 LUGLIO;
Riese Pio X mi riaccoglie dopo poco più d’una settimana. Stesso parcheggio, stesso posto per l’arrivo della corsa. Stesso caldo?; macchè! Peggio ancora; un forno a cielo aperto! È la tarda mattina quando faccio un primo giretto per curiosare. Gran lavoro degli uomini di fatica, qualche foto e via a cercare un posto per il pranzo. Ad un incrocio mi fermo perché un signore mi chiede informazioni sul dove può trovare le tappe della corsa. Gli dico dove sta l’arrivo, gli spiego che faranno 3 giri prima della volata, e l’orario previsto per l’arrivo della carovana. Vuoi perché la gente ha fretta o chissà cosa, una signora anziana mi ferma tre passi dopo e mi domanda che corse sono, a che ora passano e se la strada è chiusa. Rispondo per quello che posso e tanti saluti. Giusto? Sbagliato!
Mentre saluto la vecch…l’anziana signora, un’altra donna mi da un leggero e breve colpo di clacson, si ferma vicina con l’auto e chiede (a me!): “Senta, mi fate passare? Avete già chiuso tutto laggiù in fondo?” avevo due possibilità; gli racconto una balla e le dico “vada pure che se passa piano non ci son problemi, casomai chieda ai colleghi (colleghi?) che credo la faranno passare!” o le spiego che non sono dell’organizzazione. Scelgo la prima e W il ciclismo!
Dopo aver chiesto consiglio a due abitanti di Riese, trovo anche il posto per pranzare; senza infamia e senza lode, anche come prezzo, il pranzo va via bene, com’anche il quarto di rosso. Ora mi trovo al dopo pranzo e il sole t’ammazza. Riaccendo il cellulare all’uscita della trattoria, e trovo due messaggi dell’amico Alessandro; è al mare e lì le sgnacchere non mancano. Io sto a Riese, fa un caldo boia e non c’è un’anima. C’è un gatto; è all’ombra di un albero che mi guarda pacifico. Mah!....
Ecco l’approssimarsi della carovana; sono quasi le due e s’alza un lieve brusio d’emozione tra i pochi astanti; mi pare strano visto che la Guderzo non è ancora passata. Resta una sola persona che può in questo; Lorenzo Roata, dall’altra parte della strada appoggiato ad una transenna, parla con due colleghi sudato da far spavento, tracanna in dieci secondi netti una bottiglietta da mezzo litro. Ai piedi eleganti sandali in stile frate francescano. Don Lorenzo sparisce per apparire 20 minuti dopo per le interviste, rimesso a nuovo, cambiato di camicia, aria da boss, occhiali da sole, e con un sigaro toscano che fa più fumo di un motore che scoppia alla seconda di Lesmo. Praticamente non vedi lui, vedi il fumo.
Con il primo passaggio della corsa ci sono più cicliste che spettatori, con il secondo stavamo quasi in pari, con il terzo a pari non ci siamo arrivati e il sole ti spacca. Al primo passaggio Miss Gruppo (Monia Baccaille) ci regala un’istante di poesia con la cerniera abbassata due dita in più delle colleghe.
Al secondo passaggio suona la campana e Brunello Fanini in piena linea d’arrivo s’agita sbracciandosi al passaggio di una sua ragazza in testa; Uè Brunello, guarda che manca ancora un giro! Al terzo con la volata, arriva la Toitemberg che non può alzare le mani sulla linea d’arrivo, tanto è tenace la Bronzini seconda. Proprio la Giorgia, ormai siamo alle premiazioni, vince la sua tappa, regalando i suoi fiori a una persona anziana in carrozzina con cui fa anche una fotografia; maglia rosa!
Passo indietro; ma dove stavano le altre, che dopo il gruppetto delle prime non arrivavano più? Arriva la notizia; caduta rovinosa dopo il triangolo rosso. Arrivano tutte a gruppetti. Se non ci fosse stato l’annullamento automatico dei tempi a tre chilometri dalla fine, la Guderzo avrebbe pigliato quasi un minuto dalla Toitemberg!
Arriva Miss Gruppo che pedala con una gamba sola, l’altra è dolorante. Poi si sente il nome della Gilmore (te pareva?!), e tante altre con ginocchia sanguinanti. Alla sera si vedranno le immagini in tivù; un botto pazzesco, con una decina di ragazze per terra, ed il gruppo spaccato in due. Ultime foto, e l’attesa per il giorno dopo, che viene dato ancora più caldo.

BIADENE DI MONTEBELLUNA, DOMENICA 4 LUGLIO;
Giornata stracalda; arrivati a 4 chilometri da Biadene, per poter parcheggiare nel posto migliore possibile, mi accodo alla Columbia delle varie Cantele, Teutemberg, Arndt che, incrociate ad un bivio, stanno provando squadra al completo il percorso. Metto le 4 frecce, e approfittiamo dell’occasione potendo così fare manovre strappa patente agli incroci, dove ci fan passare fermando il traffico per loro (e per noi attaccati pacifici dietro). Le seguo fino oltre al traguardo, così passiamo dove non si potrebbe e parcheggio con comodità a 200 metri dopo l’arrivo.
Tante, troppe ragazze, non usano il casco nel riscaldamento (Guderzo compresa); il caldo non giustifica la stupidità. Dopo aver passeggiato un po’ per il paese, arriva mezzogiorno e una pizza ci fa compagnia. Intanto la corsa è già iniziata. Aiutate dall’arrivo in leggera pendenza, le ragazze filano come missili. Verso l’una e mezza andiamo ad appostarci dopo l’arrivo per poter fotografare i momenti del riprender fiato per le atlete. Don Lorenzo si fa vedere con gli stessi sandali del giorno prima, la Pucinskaite è una chiacchierona che non la finisce più, altre cicliste stracotte dal caldo cercano l’ombra degli alberi e lì si incontrano in tante perché gli alberi sono pochi. Arrivano le ultime, e poi via verso il podio.
La Guderzo passa il tempo facendo due chiacchiere con uno spettatore, che le aveva detto di passar loro la bottiglia dello spumante dopo la premiazione; “No, no, me la tegno e me la bevo pian, pian…” ditemi se non è stupenda ‘sta ragazza!! Poi tutti a sacramentare perché si devono fare le presentazioni, ma, come il girono prima, la Vos non c’è. Arriva al limite della multa (io gliela farei!), e tutte le migliori delle classifiche sotto il tendone a raccontarsela. La Guderzo è cotta più delle altre, e parla più con il pubblico che con le varie Vos, Teutember, Wild, Arndt (l’inglese serve, Tatiana!) e finalmente foto una dietro l’altra. Ma ormai è tempo di andare.
Prima di tornare verso l’auto ci fermiamo ad un bar. Iniziano ad arrivare i tifosi e i famigliari dell’angelo azzurro, anche loro in cerca di refrigerio. Fuori c’è Marianne Vos sola soletta che aspetta l’ammiraglia nel marciapiede all’esterno. Meno male che arrivano in fretta sennò la raccoglievano con la cannuccia. Tempo due minuti, noi intanto siamo seduti pacifici e roventi ad uno dei tavoli, e chi ti spunta? Ma chi se non LEI col suo bel borsone gigante che entra nel locale. Spiacente Tatiana ma sono troppo cotto per fare due parole. Una foto volante con un ragazzino, e se ne scappa nei servizi per cambiarsi. Quando esce risponde alla richiesta se vuol fermarsi e bere qualcosa di fresco con un chiaro; ”No, par carità…” Dal viso è in fase di scioglimento totale e non vede l’ora di farsi una doccia (o farsene un’altra…).
Quando saliamo in macchina Biadene è rovente e deserta. Prima di immettermi nella strada, incrocio i famigliari dell’iridata e parlo un minuto per chiedere della classifica e della forma della “tosa” marosticense. Ciao Biadene, ciao marca trevigiana, ciao Giro. Ci vedremo nel 2011? Forse no, visto che gli organizzatori vogliono alternare sud e nord, un’anno a me l’altro a te. Ma anche stavolta è stato bello, anche se chi organizza poteva con poco far di più. Ma questa è una vecchia storia, su cui magari si tornerà.

venerdì 25 giugno 2010

Dal vostro inviato...


Se una foto vale 1.000 parole, questa ne vale 2.000.

QUEL CHE LA TELEVISIONE NON RACCONTA, E CHE A VOLTE VIENE CERCATO DALLA CURIOSITA’ DELLA PASSIONE. COME IL DIETRO LE QUINTE DI UNA GIORNATA AL CAMPIONATO ITALIANO (GARE FEMMINILI).

CIAO RIESE; Riese Pio X mi accoglie con un sole che preannuncia una giornata bella calda. Dopo aver cercato un posto macchina facendo avanti e indietro tre volte (per il Giro saran dolori trovar parcheggio), eccomi di buon passo verso la zona arrivo. La prova Juniores donne è in pieno svolgimento ma si vede che si tratta di cicliste giovani. Pochi giovanotti e tante famigliole che fanno su e giù lungo il marciapiede che affianca il rettilineo d’arrivo (e partenza…).
Le prime ragazze ritirate sono sedute sui muretti. Una di loro è stata battuta dal mal di schiena. Potrebbe avere carriera breve, speriamo di no; auguri. Un’altra siede pacifica e silenziosa su un muretto basso. Sembra aspettare, ma chi non si sa. Alcuni spettatori le chiedono come mai si è ritirata. Intanto, tutti aspettano la volata della corsa; delle ragazze distribuiscono centinaia di bicchieri di tè freddo (uno sponsor molto noto nelle gare ciclistiche). Lo faranno per tutto il giorno. I Led Zeppelin, tramite altoparlanti, sono la colonna sonora di quei momenti.
PIU’ RISPETTO PER LE CICLISTE!; Arriva la campionessa italiana a cronometro juniores, ora anche in linea. Arrivo in solitaria, e applausi meritati. Podio, medaglie, maglia tricolore e presa per i fondelli; l’inno italiano viene irradiato forse per un quarto di quella che è la solita durata; ridicolo, assolutamente ridicolo. Un momento così sentito come salire sul podio, indossare la maglia tricolore e ascoltare l’inno nazionale. Un’emozione tarpata sul nascere; inaccettabile. Come ancora più antipatico vedere che quel momento è stato castrato senza remore, perché i vari sindaci, presidente di questo, assessore di quest’altro devono salire sul palco per l’ennesima fotografia. Bravi, complimenti, ed andatevene a quel paese pagliacci vestiti a festa. Voi che la fatica l’avete fatta per salire i sei scalini che portano al palco. E questo teatrino è stato ripetuto per la premiazione delle donne elite. Ma andate a vedere cos’è una ciclista!
MA QUANTI BEI GIOVANOTTI!; Si arriva a mezzogiorno, nell’aria si annusa qualcosa di diverso. Infatti cominciano a spuntare come funghi tanti giovanotti in fascia d’età 25 – 35; combinazione, di lì a 10 minuti ecco le prime ragazze per la prova elite. Ma pensa! Tra fotografi, motociclisti e ragazzi che non c’entrano un’accidente, l’ormone maschile si espande nell’aria senza complimenti. “Ciao, come stai?... che mi dici?.... ti è arrivata la foto?.......” ma che gentili noi maschietti!
A proposito; se vi dicono che il ciclismo fa bene alla cellulite – messaggio per le donne che leggeranno – sappiate che un po’ ve la raccontano, soprattutto a guardare certi retro-coscia di diverse atlete. Arrivano le big; sua maestà Guderzo pedala pacifica, ripasserà con due ruote per la sua bici (Speriamo siano le sue!!). La forte Giorgia Bronzini è ancora in bermuda, e si coccola un cagnetto che tiene in braccio mentre passeggia lungo il rettilineo d’arrivo. La Cantele ha l’aria annoiata, pedala avanti e indietro in ciabatte (!). Spunta una grande ex; Diana Ziliute più che altro per chiacchierare con quasi tutte.
ALLORA SI PARTE?; Intanto il tempo passa, anche troppo. Tutte le concorrenti iniziano a fare avanti e indietro perché non trovano la zona del foglio firma; ce l’hanno a pochi metri e ci passano davanti di continuo! Intanto lo speaker recita; “Preghiamo le concorrenti di iniziare l’avvicinamento al palco per le foto delle rappresentanti regionali, grazie” come si allontana il microfono dalla bocca...; “qualcuno va a dirgli che si muovano, o no? La finiscono di fare quel che gli pare, che tra 15 minuti si deve partire?” Stupendo. La Guderzo è di buon umore, come sempre o quasi. Alla partenza (per ultima!) le scappa un; “Ohh! Dove andate? Pianoo!!)
VAI MONIA!; all’inizio del primo giro, già una fuga. Nel gruppo ecco la reazione all’ultimo chilometro del passaggio, viene annunciata una forte accelerazione; “Gruppo allungato!! La campionessa del mondo è uscita dal gruppo!!). infatti l’angelo azzurro passa come un jet rasente alle transenne. Bucherà nello stesso giro! Ma è solo l’antipasto per le fiamme azzurre. Nell’ultimo giro iniziano ad accalcarsi tutti i fotografi; “stai basso, che mi copri!” “ e dove mi metto? Me la fai tu la foto?” e tutti discorsi così. Ecco la volata; Mania Baccaille vince con una volata da oscar sul gruppetto di fuggitive. Qualche minuto dopo ecco il grosso del plotone. La Guderzo passa il traguardo a braccia alzate; la notizia delle compagna vincente è arrivata. Che la festa cominci.
CIAO RIESE; ormai sto raggiungendo la macchina. Mentre salgo noto una ciclista che cammina pacifica in cerca di qualcosa o qualcuno, zainetto in spalla. Guarda qui, guarda là… È dall’altra parte della strada. Nessuno la degna di uno sguardo, la calca è lontana. Mi pare di conoscerla; Eva Lechner. Ciao Eva, ci vediamo al Giro?

domenica 13 giugno 2010

LEALI......A TUTTI I COSTI?



UN MOMENTO DI RELAX IN UNA CALDA DOMENICA, SFOGLIANDO UN QUOTIDIANO SPORTIVO DOPO UNA MATTINATA IN SELLA. ECCO LA PAGINA SUL CICLISMO; MI RACCONTA CHE…

Per chi non lo sapesse, da pochi giorni è iniziato il Giro-Bio. Il vecchio Giro d’Italia dei dilettanti, simpaticamente soprannominato Giro-Baby. Corsa ciclistica lunga una decina di giorni da dove, solitamente, escono i campioni del domani. Che Dio li aiuti!
La squadra ciclistica Lucchini-Unidelta è stata espulsa dalla manifestazione perché, in un’operazione di controllo avviata dalla Procura di Padova, presso diverse sedi (tra queste l’abitazione di Bruno Leali, Team Manager), sono stati trovati medicinali, integratori, farmaci vietati e siringhe.
Bruno Leali ha detto (non posso copiare dalla Gazzetta Sportiva perché la riproduzione è riservata) che queste porcherie le teneva nello zaino pronte all’uso, ma che aveva intenzione di usarle solo dopo essersi fatto fare una ricetta dal medico sociale. Leali era consapevole anche di non poter tenere queste medicine, ma l’ho ha fatto per poter “intervenire rapidamente.” Capirete che queste ultime due parole, sono inaccettabili (come se il resto fosse acqua di rose).
Il Giro-Bio è un’idea pensata per far diventare la carovana un’enorme carrozzone controllabile su diversi aspetti. I ragazzi mangiano insieme, dormono insieme in caserme dimesse oppure collegi ora vuoti perché chiuse molte scuole, fanno i massaggi assieme, ecc… Che i controlli nell’ambiente dei dilettanti siano troppo pochi, è storia che va avanti da anni. Come nel ciclismo amatoriale, sembra che il doping esista solo tra i professionisti. Ora che si è aperta questa ennesima fogna, la speranza è che i controlli vengano moltiplicati a velocità del fulmine, ma come capita di solito in occasioni come queste, chi aveva porcherie nascoste le avrà già fatte sparire nello scarico (e non penso sia solo un modo di dire!).
Tanti ex ciclisti del periodo ’80 e ’90 hanno convissuto con il doping, quando non fattone uso. Tanti si sono tappati le orecchie o il naso, cercando di farsi gli affari propri per non inguaiarsi in rogne più grandi di loro. Altri invece hanno deciso che il ciclismo di ieri, è l’unico modo di far andare avanti il carrozzone di oggi. Spremuti loro nel ciclismo di 20 anni fa, spremiamo i ragazzi di oggi. Se oggi un genitore decidesse di bucar le gomme alla bici di suo figlio dodicenne per non fargli frequentare l’ambiente ciclistico, chi gli darebbe torto? La colpa è di tutti? Per il doping proprio per niente, perché il generalizzare vuol dire alzare quel polverone di frasi fatte che permette ai falsi di nascondervisi dentro; la colpa è di persone false e disoneste, degli ancora troppi “Leali” che spargono marciume tra i giovani. Troppi ex degli anni ’80 e ’90 sono riusciti a salire sulle ammiraglie in questi anni.
La gente che ha vera passione per lo sport od il ciclismo sa apprezzare anche chi pedala a 25 di media, e non che viaggiano come motorini a 18 anni. Se credono che noi appassionati vogliamo ogni anno il record per salire sull’Alpe d’Huez o sul Croce d’Aune, sui 200 stile libero, sui 400 metri ad ostacoli, non è così. Lo sport continua ad ammazzarsi da solo; continuerà così o si stancherà?

lunedì 24 maggio 2010

Che ciclismo...siamo?


Un piatto di pasta e via; ciclismo morto e sepolto?
(foto; M. Corso)

IL CICLISMO E’ UNO SPORT SANO (punto di domanda).
COM’E’ IL CICLISMO D’OGGI A LIVELLO AMATORIALE, QUELLO DEI CICLISTI E CICLISTE DELLA DOMENICA, GUARDANDO RIVISTE E PUBBLICITA’ SPECIFICHE?

Avete mai provato a seguire con una certa attenzione le pubblicazioni o le pubblicità della stampa specializzata, per quanto concerne il ciclismo? Per pedalare serve benzina. Ma oggi la tavola non è più parte fondamentale, visto che nell’ultima decina d’anni c’è stato un incremento enorme di integratori a base di gel, zuccheri super-concentrati, barrette, polverine, bevande. Prendiamo come esempio alcuni prodotti che non solo servono per reintegrare le sostanze bruciate dal nostro corpo durante l’allenamento, o la gara che sia. Oggi ne troviamo per il PRIMA, il DURANTE ed il DOPO lo sforzo.
Trovi il prodotto che ti da la bustina per il ferro, la bustina per il potassio, il gel iper-concentrato che in tre cucchiai ti spara nel sangue gli zuccheri (le pubblicità li chiamano “pieno d’energia pronta”, perché e meglio sorvolare sugli squilibri che si rischia di avere, se il livello di zucchero nel sangue si ritrova con troppi zuccheri di botto) che prima trovavi in mezzo barattolo di marmellata. Hai il prodotto per la resistenza, quello per l’idratazione, quello per la forza, quello per ridurre la stanchezza (e quest’ultimo mi dà pensiero). A proposito; sapete che i sali minerali hanno bisogno di alcune ore per arrivare dove la pubblicità sembra farli arrivare all’istante? E se doveste seguire i consigli delle aziende, una borraccia con il prodotto per reintegrare vi può costare quasi 3000 delle vecchie lire? Quanto vi dura una borraccia? A me un’ora circa, ma io sono uno che beve tanto.
Come vivere una corsa come la granfondo tal dei tali? Divertendoci, senza stress e con naturalità! Eh beh, certo. Allora eccovi la tabella per sapere come potete allenarvi nella settimana precedente la corsa. Chiaro che il punto di partenza è licenziarvi dal lavoro, così potete affinare la preparazione nelle due settimane che precedono l’evento. Ma mi pare giusto un minimo di rinuncia a qualcosa.
Poi, non vorrete mica lasciar perdere il mangiare? Ecco la mitica tabella per sapere cosa mangiare e in quale quantità, dalla colazione alla cena, nella settimana precedente la gara. E qui dovete dare atto che il bicchiere di latte con dei biscotti o il pane con la marmellata non sono sufficienti. Dovrete avere la spremuta d’arancia, certamente la marmellata, il pane, ma anche il tè, lo yogurt (MAGRO!! PER L’AMOR DI DIO!!), le fette biscottate (integrali mi raccomando, non vorrete mica rovinare tutto proprio lì…). Poi la corsa; 2 etti o quasi di pasta, lo yogurt, il prosciutto, la crostata e infine perché no, una barretta energetica da sgranocchiare poco prima della partenza, da mandare giù con la famosa borraccia da 6000 lire al litro.
Durante l’inverno però bisogna staccare la spina; mi dispiace ma niente bici da corsa. Fatevi una ragione e accontentatevi di questa miseria; palestra due volte a settimana, spinning due volte a settimana, 45 minuti di rulli 2 volte a settimana. Niente bici da corsa; Mountain Bike sempre almeno due volte a settimana.

sabato 1 maggio 2010

Maggio; l'editoriale.







Tornano le strade bianche (foto in alto; N. Da Rold, foto sotto; archivio) con la Toscana e Plan de Corones, ma soprattutto torna lo spettacolo più bello del Giro d’Italia; l’Italia del Giro.

PER LA 93^ VOLTA, TORNA IN MEZZO A NOI LA CAROVANA DEL GIRO. UNA CREATURA CHE COME NESSUN’ALTRA E’ UN’INVOLONTARIO E SCONFINATO SPECCHIO DELLA NOSTRA STORIA. PARTICOLARITA’ DI QUESTA EDIZIONE, UNA GIORNATA DI STRADE BIANCHE.
COM’ERA AI TEMPI DI UN CICLISMO PANE E SALAME, E NON SOLTANTO COME MODO DI DIRE.

1° MAGGIO; MANCANO 7 GIORNI ALL’INIZIO DEL GIRO D’ITALIA
(E 62 PER QUELLO FEMMINILE)

Gino Bartali sta scollinando su un Gran Premio della Montagna. A quel tempo si chiama Traguardo della Montagna. Oggi è, semplicemente, il “GPM”; mentre Gino transita non ci sono transenne, nemmeno in prossimità della linea bianca che segna la fine della faticosa salita. La gente, tanta, è talmente vicina che Gino potrebbe metter loro una mano un tasca. Su una casa che fiancheggia quel traguardo provvisorio, ci sono almeno una quindicina di persone. Ma non su di un terrazzo o nel giardino; si sono sistemati in piedi sul tetto. Stacco.
Marco Pantani è inseguito dal progresso del 21° secolo; telecamere, motociclette, automobili, macchine fotografiche. Il ciclista si alza sui pedali dopo aver “calato un dente”. Lo fa per scavare ancora distacco da chi, dietro, lo insegue. Da chi lo rincorre su quel trespolo d’alluminio e carbonio, che inizia e finisce con una ruota. La strada è di vecchio asfalto. Nella vallata a fianco la neve s’intravede a chiazze, negli anfratti dove il sole fatica a posarsi. Stacco.
La giornata è incorniciata da un cielo azzurro-primavera perfetto. Una signora dai capelli color neve batte le mani a dei giovani e colorati giovanotti che le passano davanti pedalando ventre a terra. L’erba a bordo strada è verde e già alta. La donna è seduta su una sedia sul ciglio della strada. Davanti ha un tavolo con qualche bottiglia di vino, del pane, del formaggio. Stacco.
Alfredo Binda è fermo a bordo strada con una ruota forata. Nonostante sia uno degli assi del ciclismo mondiale è solo, senza persone attorno. Ha tolto la ruota per sostituire il tubolare bucato e si appresta a ripartire. Ma prima di rimettere la ruota, chiuderla e risalire in sella, il pneumatico della bici va sistemato per bene. Tiene le gambe divaricate per usarne i piedi come appoggio per la ruota, si china su di essa e morde il tubolare per accomodarlo perfettamente nella sede del cerchio. Stacco.
Un gregario sta pedalando dopo essersi fermato a una fontana. Ma non l’ha fatto solo per se stesso. La maglietta è mezza trasparente da tanta acqua si è gettato addosso per rinfrescarsi. È dovuto ripartire in fretta. Pedala con una sola mano a stringere il manubrio. Il suo movimento è scomposto nel mulinare le gambe. La mano sinistra guida la bicicletta, la destra sostiene un secchio pieno d’acqua. Stacco.
Juan Manuel Santiesteban è un ciclista della KAS, ed è steso di schiena in mezzo alla strada. Le strade che sullo sfondo regalano l’Etna come spettacolo della natura, quel giorno regalano l’immagine della morte. Il ragazzo è sull’asfalto, esanime. La testa è piegata verso la spalla sinistra. Dalla nuca esce una scia di sangue che ha già camminato per più di due metri sull’asfalto. Stacco.
Il gruppo deve transitare poco sotto la vetta del Monte Grappa, la montagna Sacra alla Patria. Ci sono un gruppo di persone che lo hanno salito in bicicletta, e da alcune ore stanno aspettando. Hanno parlato di ciclismo, ciclisti, fatiche, pedalate fatte, e di quelle da fare. Stanno bevendo un bicchier di vino, scattano qualche foto per ricordo. Stacco.

Il Giro d’Italia 2010 sta dunque riempiendo le borracce della passione. Dopo le allarmanti, ma non nuove, notizie che riguardano il cancro del doping arrivate poco prima delle classiche del nord, la carovana si rimette in marcia. Facilmente gli appassionati non mancheranno di parlare di questa cosa tra di loro. Le “vittoriose sconfitte” – come le battezzammo l’anno scorso – che coinvolgono il ciclismo continuano, e se all’inizio dello scorso anno scrivevamo della necessità di punizioni equilibrate (basta con i due pesi e due misure!), altrettanto importanti sono i tempi per le decisioni. Con tutte le persone che, a quanto si è letto, dovrebbero essere coinvolte, c’è la possibilità che mentre Davide Cassani parlerà della classifica generale del Giro, Francesco Pancani stilerà l’elenco di quelli che in giornata sono stati da tal giudice. Prepariamoci a un Giro corso sulle strade, e discusso negli uffici della procura mantovana. Sarà questo un Giro tra i più brutti, per lo spirito che aleggerà nell’aria? L’unica cosa certa è che i primi a non meritarcelo saremmo proprio noi appassionati.
Dissolvenza.