«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

giovedì 1 aprile 2010

Aprile; l'editoriale.


ANCHE QUEST’ANNO TANTI DILETTANTI PASSATI PROFESSIONISTI; E’ GIUSTO ASSECONDARNE IL TALENTO COSI’ FACILMENTE?
POI IL CICLISMO ROSA, CHE – PRIMA DELLA BELLA VETRINA DI CITTIGLIO – HA LASCIATO PER STRADA UN’OCCASIONE D’ORO PER AVVICINARE DI PIU’ GLI APPASSIONATI.

1° APRILE; MANCANO 38 GIORNI ALL’INIZIO DEL GIRO D’ITALIA
(E 92 PER QUELLO FEMMINILE).

Quest’inverno sono stati una trentina i “ragazzini” che in Italia sono diventati professionisti. Ormai vedere un dilettante farsi i suoi tre anni per maturare senza fretta, sta diventando sempre più una rarità. Ciclisti di grande talento trovano e mettono in atto scappatoie – legali, va detto – che permettono loro di salire sul treno della massima categoria ciclistica, senz’altro aiutati da qualcuno dell’ambiente (procuratori?), che capisca di leggi, leggine, leggette. Mi pare che un dilettante debba farsi almeno due anni nella categoria inferiore. Ma a volte avere talento è già il lasciapassare sufficiente, per trovare una furba strada in discesa verso la grande avventura nel gruppo dei grandi.
Chi si ritrova spesso in braghe di tela, per via di queste possibilità d’accesso al grande sogno per il ragazzo dilettante, è il Direttore Sportivo. Esso si vede arrivare in squadra uno juniores che ha un grande talento, ma non riesce a farlo maturare con la giusta pazienza, che già glielo portan via dopo che magari lo ha fatto lavorare e migliorare. Così, quando è momento di raccogliere dall’orto, la verdura è finita sul tavolo di altri. Che la possibilità di guadagnar soldi sia la molla più forte per il giovane, è comprensibile. Ma maturare non vuol dire solo saper quando scattare, e quando succhiar ruota. Maturare è anche ragionare con la testa. Poi non lamentiamoci se tra i professionisti si intravedono giovani talenti che hanno fretta di vincere ed imporsi ai vertici. E sentire come capiti che, se qualcuno fa loro una mezza critica, rispondano per le rime come se non avessero niente da imparare. Non che all’Italia manchi un settore dilettantistico con la qualità; di quella ne abbiamo da regalarne. Ma sarebbe interessante sapere quanti dei dilettanti passati professionisti negli ultimi 3 o 4 anni, sono ancora in gruppo.
Nell’altra metà del sellino invece, le cose vanno avanti con regolarità. Ma l’idea che si abbia timore o poca voglia di lavorare con scrupolo per accrescere la notorietà del ciclismo rosa, ogni tanto ritorna. Occasione da non perdere, ma che persa forse lo è stata, la presentazione del Giro-Donne 2010 in provincia di Treviso (Caerano San Marco). L’appuntamento però era aperto solamente agli addetti ai lavori. Così si combina poco.
Avere la presentazione della gara più importante al mondo del calendario femminile, nella provincia più ciclistica d’Italia, in una regione tra le più ciclistiche in assoluto, poteva essere l’occasione per mettere in piedi un momento calamitante per tutti gli appassionati. Avvicinare la gente al movimento rosa, vuol dire avvicinare il pubblico a bordo strada. Di riflesso anche gli sponsor aumenterebbero le loro attenzioni (leggi; soldi), e tutto l’ambiente ne avrebbe dei vantaggi. Invece niente.
Un conto è la manifestazione che non ha necessità di crescere – come il Giro dei maschietti – ma quello femminile dovrebbe approfittare di occasioni come quella avuta a fine febbraio nel trevigiano. Un progetto che viene condiviso con il pubblico, attira la simpatia di quest’ultimo. Altrimenti la gente, come mi ha scritto una persona che su queste cose parla con competenza; “si rompe”. Non credo che il ciclismo femminile possa crescere più di tanto. Non riempirà mai le strade, in una società dove la donna viene considerata un giorno all’anno a mazzi di mimosa. Ma come vogliamo interessare il pubblico? In TV il ciclismo femminile è una specialità di serie C, e nella carta stampata poco di più. C’è internet, che è ottimo perché quasi gratis, ma servirebbe un po’ il coraggio di “uscire” dal web.
A Sanremo (in occasione della gara maschile), c’è stato un’appuntamento pubblico per promuovere il ciclismo femminile. Organizzato dal gruppo di “Ciclismo in Rosa”, è stata una buona idea. Ma queste cose dovrebbero essere fatte dai dirigenti del movimento. Per questo, la presentazione del Giro-Donne era un’occasione da sfruttare per farsi sentire e vedere direttamente dal pubblico, (che risponde se motivato e soprattutto informato; vedi il Trofeo Binda a Varese) e non solo da addetti ai lavori e sponsor vari. Inutile chiedere al pubblico di seguire anche le fatiche in sella delle nostre ragazze, per poi non approfittare di occasioni come quella, persa, a Caerano San Marco.