«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

lunedì 23 novembre 2015

Il ciclismo davanti al caminetto (3^ p.)

Visite mediche specialistiche, programmazione degli obiettivi stagionali (di cui avevo già scritto un anno addietro o forse due), ma sulla strada come si allenano i pro a inizio stagione? Allora, giusto per dare un’idea……
I professionisti stanno gonfiando le ruote della loro bici. Per chi di bicicletta ci vive il lavoro riparte. Vediamo se mi riesce di scrivere qualcosa, senza annoiare troppo, per quella che è una parte della preparazione fatta sulla strada. Un discorso che prende come base il professionista, ma che sempre più spesso (con lati negativi e positivi) è diventato riferimento anche per l’eroico ciclista della domenica che deve allenarsi per le sue corse con proporzioni di “carico”, che mi auguro siano ben diverse. Tecnologia e allenamenti “alla vecchia” convivono da tempo. E se ci sono sistemi di allenamento uguali sulla carta, ad un tratto questi raggiungono un bivio e variano a seconda del tipo di atleta; uomo da classiche o da grande giro? Che sia l’uno che sia l’altro, oggi ci si fonda spesso sui numeri magici di sistemi elettronici (SRM per citare il più noto) che aiutano il ciclista. Spesso il professionista non ama pedalare sempre sotto controllo costante, ma lo strumento tecnologico serve invece molto al preparatore atletico per capire quali sono le condizioni del “motore” che sta seguendo. Nel periodo invernale – che per un professionista dura il mese di novembre – la palestra può fare la parte del leone e alcuni fanno solo quello, magari con tre sedute a settimana e un po’ di corsa a piedi (non troppa) per tenere come si dice un minimo di fiato. Capita spesso che le prime faticate vengano fatte con il rapporto fisso. Due ore, anche tre se si fa solo quello, per ritrovare quel po’ di agilità dopo che il mesetto di palestra ha fatto perdere indurendo un po’ i muscoli. L’agilità è certo più facile trovarla con i lavori “dietro motore” (anche se sono molto comodi da questo punto di vista, sconsiglio il seguire i TIR sulla Statale) e i professionisti la usano anche dopo un allenamento normale sulla lunga distanza: 150/170 chilometri a vento in faccia, e poi si “attaccano” alla motoretta per un altra oretta (meglio la motoretta perché fa rima, ma potere provare anche con un’Apecar e poi fatemi sapere). Questo per toccare i 200 chilometri senza sfasciarsi troppo le gambe e stancare troppo il fisico già nel periodo invernale. Atleti da gare a tappe cercano le salite lunghe (10 – 12 km.) per curare il famoso “fondo” ma alcuni preferiscono allenarsi ad un ritmo di pedalata più alto, concentrandolo in ascese di 6 – 8 chilometri, con qualche allungo ogni tanto per coltivare un po’ di esplosività.
Certamente va considerato che se si abita al nord è meglio evitare salite che portano ai mille e passa metri nel periodo ancora invernale. Questo è il periodo dei raduni collettivi dove, visite mediche e consegna vestiario a parte, i vantaggi sono più di tipo psicologico che di preparazione. Si cerca di costruire il famoso spirito di squadra e di capire che tipo di gamba si ha. Per fare la gamba si deve lavorare e anche in questo caso vi sono delle differenze. Se la stagione sta iniziando si lavora sodo per due giorni ed il terzo è il giorno di “scarico”. Quando più avanti la forma sarà più in palla (e il fondo sarà irrobustito) si lavorerà per tre giorni e il quarto si tirerà il fiato. Che non vuol dire passare la giornata all’osteria (se volete provare provate, poi fatemi sapere come va), ma alcuni pedalano ugualmente per poche ore, due o tre, rapporto leggero senza esagerare per la felicità dell’amatore che quel giorno potrà pedalare col campione senza (speriamo) rischiare l’infarto. Oggi vengono svolti dei test, delle prove su strada che si chiamano di “valutazione funzionale”. In linea di massima il professionista ne fa uno al mese, già dal primo mese di lavoro per capire come sta veramente. Difficile che capiti nei primi due mesi di allenamenti, la prova del “lungo” non viene fatta solo per la preparazione alla stagione. Alcuni professionisti la fanno prima di una gara dal chilometraggio impegnativo, quindi può capitare a marzo come a settembre. È un allenamento massacrante che ti svuota in maniera pesante. La durata va dalle 6 alle 7 ore, ma non a ritmi blandi. All’interno vi sono salite che vengono affrontate anche a ritmi medio-alti con magari un finale “dietro moto” per allungare ulteriormente e sciogliere un po’ la gamba. Tutte queste cose sono dipendenti da tanti fattori: la forma fisica del momento, il tipo di atleta di cui si parla (Sanremo, Mondiale, Lombardia o grandi giri?), per quando l’atleta vorrà/dovrà essere al top della forma, il clima in cui ci si allena (Groenlandia o costa ligure?), percorsi scelti (Polesine o Selva di Val Gardena?) e se durante l’inverno l’atleta è stato professionista anche giù di sella. Non so se riuscirete a diventare grandi emuli di uno Sgarbozza o di un Cassani. Sperando che non diventate mai come il primo, per il secondo la prima cosa è rifornirsi di dosi industriali di scurente per capelli. Buon lavoro sulla vostra bici, ma ricordate di farlo cercando di divertirvi dannazione!

sabato 14 novembre 2015

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

Il ciclista, il diesse, il medico, il meccanico, il massaggiatore. Un tempo una squadra ciclistica viveva principalmente su queste persone (e sullo sponsor che ci metteva i soldi). Non da oggi nello sport, anche ciclistico, è arrivata la Psicologia nello Sport. Il ciclismo di altissimo livello non ha più a che fare coi buoni sentimenti, a meno che questi non siano portatori automatici di risultati di rilievo, possibilmente vittorie. Le cifre oggi necessarie per tenere in piedi una squadra ciclistica di alto livello sono impressionanti. Con che cosa ci si può dover ritrovare a che fare oggi? Con argomenti che 20 anni addietro sarebbero sembrati esagerati, e che sono spesso malvisti dai vecchi tecnici d’ammiraglia. Vi sono aspetti che non sono mai spariti, e anzi sono stati migliorati e approfonditi. L’allenamento di un tempo era composto da ore su ore di bicicletta, anticipate da dosi abbondanti di pastasciutta e una bistecca di abbondanti dimensioni. Il tutto seguito da una mezz’ora di massaggi, con il campione di turno che chissà come mai riceveva sempre dieci minuti di massaggio in più rispetto al gregario. Ma qui siamo all’aspetto fisico del faticare. Oggi anche nel ciclismo l’aspetto mentale trova il suo spazio, con la Psicologia dello Sport. Allora ecco che arrivano termini nuovi o che si sentono raramente. Si sente parlare o si legge di “stile attentivo” composto da due “dimensioni”: la sua ampiezza e la sua direzione. Attorno a questo troviamo metodi per allenare il “focus attentivo” nello sport, in questo caso guardando alla specialità ciclistica. Tutto questo condito da esercizi per sviluppare l’abilità nel concentrarsi aiutati da tecniche di rilassamento per trovare la “sintonizzazione” con il corpo. Ora divertiamoci con alcuni ‘paroloni’ che detti in inglese fa più figo di quel che sei e allora li uso anch’io: Mental Training (allenamento mentale), Focusing (focalizzazione della concentrazione), Goal Setting (formulazione degli obiettivi), Imagery (abilità immaginativa). Tutto questo seguito dalle sopraccitate tecniche di rilassamento, dal saper affrontare gli stati d’ansia pre-agonistici, dalla gestione delle situazioni di stress e anche la comunicazione. Tutte queste cose a cosa sono finalizzate? Su due piedi uno pensa; “A friggerti il cervello” forse si, ma nel contempo anche a costruire l’atleta per vincere o per fare vincere. Allora ecco che s’inizia a focalizzare la concentrazione agli obiettivi nel ciclismo (o della specialità sportiva che si pratica). Vi è il livello teorico (come identificare il mio obiettivo?) e quello pratico (come raggiungerlo?). Vi è poi un lato che viene toccato e accompagnato da un altro bel parolone: psicosomatica. Qui si entra nel campo delle emozioni e quindi si entra in valutazioni che sono soggettive e possono avere diversi modi per trovare uno sfogo. Da un Cadel Evans che accettava tutto con una calma spesso esemplare a un Riccardo Riccò che lanciava la sua bicicletta come fosse spazzatura oltre la linea d’arrivo per un inconveniente meccanico. Il ruolo dell’allenatore resta sempre importante, ma quando si devono affrontare impegni sportivi dove la pressione sa essere molto pesante, si scopre che saper parlare alla persona prima che all’atleta aiuta a fare la differenza nei momenti difficili. Nei momenti dove tutto funzione, tutti sanno cosa dire. Oggi il ciclismo è anche saper usare la parola, saper ascoltare veramente, saper capire che parole usare quando si parla ad un gruppo di atleti e quali siano quelle giuste per la singola persona. Anche questo, oggi, è il ciclismo.

domenica 1 novembre 2015

Novembre; l'editoriale

Che Italia sarà quella della prossima generazione? Per forza diversa. Mentre l’altra metà del sellino ha ormai intrapreso la strada estera.
“La prossima generazione italiana di ciclisti professionisti vivrà una dimensione quasi dimenticata per noi nella categoria elite. Perché per la prima volta da molto tempo forse avremo uno stuolo di gambe giovani che non partirà più con l’idea – che ci siamo portati appresso per due decenni – di essere i rappresentanti del movimento numero uno al mondo. I nostri che inizieranno la loro avventura professionistica non avranno più appresso un pedigree di alta rappresentanza ciclistica. Non guarderanno le altre Nazioni dall’alto in basso. Vi è chi lo ha capito da un pezzo, visto che nel settore femminile quasi tutte le nostre migliori ragazze sono tesserate per squadre estere. I motivi sono più d’uno, con quello economico purtroppo sempre presente, ma non solo. Barbara Guarischi è una ciclista di lecco (anche se nata a Ponte San Pietro nel bergamasco), ha 25 anni, correva con la Velocio-Sram. Ha vinto la medaglia d’oro nella crono-squadre elite ai mondiali di Richmond. Corre all’estero come Giorgia Bronzini, come Elisa Longo Borghini, come Silvia Valsecchi, come Tatiana Guderzo, insomma la famosa ‘crema’ del nostro pedale rosa. Le sue parole, rilasciate ad un giornalista della Gazzetta nei giorni iridati, dicono tanto in poche righe; ‘Mi dispiace dirlo, ma all’estero entri in un altro mondo. Impari molto di più che in Italia e le tue qualità riescono ad emergere. Devi pensare soltanto ad allenarti, fare attenzione a mangiare nel modo giusto, e concentrarti sulle tue corse. Al resto pensa lo staff. Mi dispiace che la Velocio chiuda un ciclo, ma ho già firmato un contratto per restare all’estero’.”