«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

giovedì 23 luglio 2015

Nel periodo 'giallo' un po' di rosa.

Il Giro-Donne numero 26 ha regalato una corsa più equilibrata nelle sue forze in campo. Nella prima parte l’Italia ha rialzato la testa con due vittorie di giornata, ottenute prima con Barbara Guareschi sul traguardo di Lubiana, seguita nella 4^ frazione da Annalisa Cucinotta sull’arrivo di Pozzo d’Adda. Già con questi due risultati, tenendo conto delle precedenti edizioni, il bilancio ‘nostrano’ risulta positivo. Però quando nella seconda metà la corsa si è indurita nelle sue altimetrie, quando le tappe hanno smesso di essere solo traguardi di giornata ma riferimenti per la generale, quando insomma le migliori hanno iniziato a spingere sui pedali per giocarsi il Giro, le nostre non hanno più conquistato posizioni sul podio. Tralasciando il prologo di Lubiana, una prova-vetrina di 2 chilometri, le otto tappe restanti davano complessivamente 24 posti sul podio. Le cicliste italiane hanno occupato le posizioni sul podio di giornata 6 volte, concentrate in tre frazioni (Guareschi nella 1^, Scandolara e Cecchini nella 3^, Cucinotta, Marta Bastianelli e ancora Cecchini nella 4^). Poi nelle frazioni 5,6,7 e 8 (più la 2^) tanti saluti, visto che siamo tornati ad un Giro decisamente estero. Insomma, quando il Giro è iniziato veramente le nostre hanno segnato il passo. La classifica generale ha ormai trovato in Elisa Longo Borghini la migliore delle nostre. Nella prima metà della corsa Elena Cecchini ha confermato che il suo secondo tricolore consecutivo è ben portato, rispetto ai risultati modesti delle ultime campionesse nazionali. Sul piano della visibilità il Giro sembra ormai essersi assestato a corsa riempi-palinsensto. La RAI ha ormai confezionato un pacchetto standard rodato, che però continua a dare considerazione sotto-zero alla gara nelle settimane precedenti. La speranza di una diretta televisiva sembra lontana anni luce, nonostante gli orari consentirebbero un tentativo. Solitamente infatti le frazioni partono in tarda mattina e giungono all’epilogo a metà pomeriggio, mentre il Tour de France prima delle 17:15/17:30 non supera quasi mai la quotidiana linea d’arrivo. L’apporto di Sgarbozza è comico da un lato ed irritante dall’altro, pensando a gente che deve lasciar spazio a un pensionato che non sa leggere nemmeno i nomi quando glieli scrivono sotto al naso, o sentirlo parlare di una Van Der Breggen che; “…spinge un 53/17!”, quando un chiaro e lampante primo piano televisivo fa vedere senza dubbio che la ciclista spinge la cara e vecchia trentanove denti. Megan Guarnier ha vestito la maglia per diversi giorni. Ha vinto la Gaiarine – San Fior di Sotto (2^ tappa) e messo via 4 secondi posti per raccogliere più abbuoni possibili, scaricando sui pedali un bel carattere sul discorso di non voler mai mollare. La vincitrice, Van Der Breggen, ha messo a segno il colpo decisivo nella cronometro, e proprio nella prova contro il tempo si poteva vedere di come diverse atlete abbiano una forte carenza su quello che è la specialità della cronometro sistemate quasi alla meno peggio e regalando alcuni colpi di pedale non troppo efficaci. La prova contro il tempo è stata decisiva per la classifica, tanto che l’americana Abbott questa volta non ha trovato abbastanza terreno per recuperare i secondi persi. La scalatrice aveva vinto i suoi due giri precedenti riunendo il massimo risultato con il minimo sforzo: una tappa per prendere la maglia, quella dopo per chiudere il discorso. Stavolta un percorso difficile solamente nella sua seconda metà, con la crono nel mezzo, ha fatto forse saltare i conti del due più due fa sempre quattro. La questione ciclistico-matematica conteneva un’incognita, di cui si è scoperto il valore soltanto all’ultimo momento.

venerdì 17 luglio 2015

Quando il doping non fa notizia, ma le giornate storte si.

La debacle agonistica di Nibali al Tour ha dunque richiesto nientemeno che la presenza del manager del siciliano al salotto RAI per il Tour. Manager che il giorno prima era intervenuto al telefono alla stessa trasmissione. Un tempismo perfetto quanto inutile nella presenza, perché vai a sapere che risposte ciclistiche possa dare un manager, quando manco in Astana sanno il perché Nibali abbia patito così tanto i Pirenei. Un pomeriggio con chiacchiere continue sul ciclista isolano, e discorsi triti e ritriti all’infinito. Ma il salotto ciclistico RAI ha deciso che una giornata storta di Nibali valesse un pomeriggio a parlare di Vincenzo, mentre non sarebbe stata invece una brutta cosa se qualcuno avesse fatto una bella chiacchierata su Francesco Reda, 32 anni, ciclista del Team Idea, una formazione Continental. Sono quelle squadre che hanno poche possibilità di mettersi in evidenza sui palcoscenici importanti, e stessa cosa dicasi per i loro corridori. Reda aveva ben impressionato molti al Campionati Italiano – vinto da Nibali – cogliendo un inaspettato secondo posto conclusivo. Il ciclista è stato trovato dopato con una sostanza chiamata ‘darbepoetina’ una parente dell’EPO. Questa medicina stimola la produzione di globuli rossi agendo sulle cellule del midollo osseo. Di queste cose non vale la pena parlare nei salotti RAI, perché al telespettatore bisogna raccontare i ‘casi’ Nibali, mentre per parlare di doping ci sarà sempre tempo. Intanto i ciclisti – le famose ‘vittime’ – continuano a far male a se stessi e alla disciplina che praticano, aiutati da salotti tivù dove dei casi doping non vale la pena parlare. Meglio chiamare un manager e parlare del contratto di Nibali, o di una vittoria di Moser al Giro d’Austria, che di un ciclista italiano che si è dopato. Così aiutiamo veramente il ciclismo. Non parliamone, così la gente crede alle storie di Suor Peppa, e tutti noi vivemmo felici e contenti.

domenica 12 luglio 2015

"Orgogliosa di quel che ho fatto!"; Anna Van Der Breggen regina rosa 2015

“Anche oggi è stata una frazione faticosa. Io dovevo fare il possibile per difendere la mia maglia rosa, e devo ringraziare ancora le mie compagne di squadra. Per me è davvero importante scrivere il mio nome sull’albo del Giro. Ho dovuto difendermi anche su queste salite finali, e la maglia rosa mi rende veramente orgogliosa di quello che ho fatto”. Parole tutto sommato semplici quelle della regina del Giro-Donne 2015. E così alla fine tutto si è deciso nella Verbania-San Domenico di Varzo di 93 chilometri. Tutti aspettavano l’attacco dell’americana Mara Abbott e così è stato, ma la classifica si era già pesantemente delineata nella cronometro del giorno prima (Pisano-Nebbiuno di 22 km.), dove Anna Van Der Breggen (foto; pedalerosa.it) ha lanciato l’acuto decisivo che le ha dato la vittoria del Giro-Donne 2015. La vittoria della rappresentante dello squadrone Rabo-Liv ha fatto vedere che con una cronometro vera, dove vi è una distanza che richiama al ‘fondo’ dell’atleta, la classifica è aperta a più atlete che possono dire la loro, anche se non scalatrici. È stato un Giro che, senza Marianne Vos, è apparso più equilibrato, un po’ più italiano nella parte iniziale rispetto al solito, un Giro che ha messo ancora come migliore delle nostre Elisa Longo Borghini; “Sicuramente senza la mia sciatalgia credo che avrei potuto giocarmi, non dico la vittoria ma un posto sul podio. Nonostante abbia avuto qualche problema ho dimostrato di poter restare davanti. Quando mi sono lamentata per il male, mio padre mi ha detto che era mio dovere onorare la corsa, allora ho provato comunque. Non ci sono riuscita come avrei voluto, però è andata così”. Mara Abbott ha dato tutto nell’ultima tappa, ma ormai era tardi. Anche se la maglia rosa ad un certo punto ha alzato bandiera bianca, è bastato salire con regolarità e il distacco di 55” accusato all’arrivo non ha scalfito i 2’ e mezzo che aveva alla partenza dell’ultima frazione. TAPPE NUMERO 6 E 7; Le frazioni decisive per il Giro si aprono con una vittoria storica della giapponese Mayuko Hagiwara della Wiggle-Honda. Uscita da un gruppetto di sette fuggitive, tra cui la Berlato e la Gillow, la giapponese esce dal gruppetto e saluta tutte a 25 chilometri dall’arrivo facendo sua la Tresivio-Morbegno di 103 chilometri, davanti alla Guarnier e alla Moolmann. La classifica generale vede sempre la Guarnier in rosa, maglia che la stessa manterrà anche alla fine della frazione numero sette (Arenzano-Loano di 90 km.) dove chiuderà ancora al secondo posto di giornata. Una tappa, quest’ultima, che vede la vittoria forse più bella di questo Giro, con l’azione eclatante di Lucinda Brand, olandese della corazzata Rabo-Liv. L’atleta scatta a 50 chilometri dalla fine scendendo dal Naso di Gatto e inizia una specie di cronometro individuale che lascia a oltre due minuti le inseguitrici (tutta gente di primo piano). Nella seconda e conclusiva discesa non sbaglia una curva e guadagna ancora. Mettiamo in chiaro una cosa; se fosse stata un’italiana a vincere in questa maniera ne avrebbero parlato tre giorni e tre notti. Lucinda Brand dopo la vittoria ne parla con giusto entusiasmo; “Una grande giornata. Sono arrivata alla fine e ho dato tutto quel che avevo. Un grazie devo darlo alla mia squadra. Per me è stata una specie di impresa, perché sono riuscita a mantenere il vantaggio nel finale, e sono davvero felice” TAPPE NUMERO 8 E 9; con i 22 chilometri a cronometro la Van Der Breggen da una botta decisiva alla classifica. Un Giro non così cattivo nella prima metà, regala infatti negli ultimi giorni una classifica generale abbastanza ravvicinata tra diverse protagoniste. La Van Der Breggen vince contro il tempo davanti la Guarnier (davvero brava, in rosa per diversi giorni) e la Moolmann. Con questo risultato la Van Der Breggen sentiva già profumo di rosa; “Io spero che domani (domenica n.d.r.) riuscirò a volare sull’arrivo finale del Giro. Sono davvero felice, e devo dire grazie alla mia squadra per quello che ha fatto fino a questo punto del Giro, e domani cercherò di dare il meglio di me.” Fatto sta che all’inizio di questo articolo vi è la fine di questo Giro numero ventisei.