«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
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lunedì 1 maggio 2017

Maggio; l'editoriale

l rosa è colore delicato, elegante, che sa farsi notare senza essere appariscente. Cento è un numero che a volte sa farsi grande. Come una passione. Bentornato Giro.
“Nel 2009 il Giro d’Italia viveva l’edizione del Centenario. Sulle strade fu un successo mai visto. Tre settimane di strade piene, non solo sulle montagne. Otto anni dopo il Giro numero 100 spera di vivere le stesse fortissime emozioni che arrivarono alla fine del decennio scorso. Si arriva a questo 100° Giro con le fresche tristi emozioni per la morte di Michele Scarponi, e questo ricorda quel Giro del Centenario che partì dalla magnifica Venezia, a un mese dal terremoto che colpì il centro Italia. La terra è ancora tremante in quelle zone cuore d’Italia. E dal cuore d’Italia l’accostamento è facile con il cuore degli appassionati. Quando un edizione tocca un traguardo così grande – cento Giri – i nomi dei possibili protagonisti, e ve ne saranno diversi molto importanti, vengono superati dall’evento stesso. Ci sono i favoriti certo, ma quando vedi quel “100” non puoi non pensare a quello che sono stati i Giri che hanno preceduto questa centesima edizione. Cento è una parola che sembra abbracciarti. Lo fa velocemente, come un vortice che ti stordisce mentre ti stringe, ma per accarezzarti. Cento è un numero che abbinato al rosa fa sognare, fa ricordare quel che fu e quel che fummo anche noi stessi, fa stringere il cuore, magari sospirare, fa raccontare come nessun altro evento sportivo la nostra Storia, perché nessuno sport è mai stato così dipendente dalla vicinanza della gente.”

domenica 23 aprile 2017

I tanti Michele Scarponi di quasi ogni giorno

Si parlerà molto, così come si scriverà tanto ancora, della morte di Scarponi. Michele ha visto il suo tramonto finendo sulle pagine di cronaca. Quasi ogni giorno vi è un Michele Scarponi che se ne va. Sono cifre sempre preoccupanti quelle riguardanti le persone che muoiono sulla strada mentre pedalano. I dati che arrivano dall’Aci e dall’Istat scrivono di un morto ogni 35 ore negli anni dal 2012 al 2015. Dal 2001 sono morte più di 4.500 persone. Senza distinzioni di sesso ed età. La freddezza dei numeri ci trasforma da persone in cifre. Pedoni e ciclisti sono soprannominati gli utenti “deboli” della strada e nella mia città è iniziata, neanche a farlo apposta proprio il giorno della morte del ciclista italiano, una campagna di sensibilizzazione riguardo a questo tema. Le campagne però servono a poco se non vi è una consapevolezza comune su questo argomento. Molti pensano alle città intasate e quindi pericolose (più persone, più veicoli, quindi più possibilità di incidenti), ma molti incidenti gravissimi capitano fuori dai centri urbani. Quando hai davanti strade meno intasate, hai meno persone che ti attraversano la via, e anche quando hai meno ciclisti da superare o incrociare mentre fai la tua strada. La morte di Scarponi lascia sgomenti anche perché non vi è quel moto spesso di grande rabbia provocato da un utente della strada ubriaco, magari drogato, o di ritorno da una notte in bianco che lo ha stremato di bagordi. No. Vi è una gelida semplicità. Una persona stava andando a lavorare, un’altra aveva già iniziato il suo lavoro: pedalare per prepararsi al meglio nella sua attività sportivo-professionistica. Scarponi è morto in una maniera tristemente nota. Quasi quotidiana. Tanto da intristire si, ma che purtroppo ci intristisce senza stupirci.

sabato 1 aprile 2017

Ops!,....dimenticanza.

Visto che non sono mancati servizi tivù e salamecchi molto ruffiani (specie RAI) per celebrare il compleanno numero 50 di codesto amato atleta, pare giusto ricordarlo anche qui. Penso però meglio ricordarlo in maniera semplice con la copertina che più ha dato spazio al "suo" ciclismo. Ch'è poi lo stesso delle persone che lo rincorrono ansimanti per raggiungerlo con lo scopo di fare la foto ricordo per renderlo orgoglioso dell'esempio che ha dato, soprattutto ai giovani.

mercoledì 15 febbraio 2017

Il Giro d'Italia numero 90

L’abruzzese Danilo Di Luca vince il Giro numero 90, corso dal 12 maggio al 3 giugno 2007. Per festeggiare i 200 anni dalla nascita di Giuseppe Garibaldi si partì da Caprera.
Nato ciclisticamente come atleta da corse di un giorno, Danilo Di Luca vince il Giro d’Italia per la squadra Liquigas davanti all’allora giovane talento lussemburghese Andy Schleck. Con 197 corridori partiti, a Milano giungono in 141 dopo 3.489chilometri percorsi. Dopo la tappa che arrivò al Santuario di Nostra Signora della Guardia, la classifica generale faceva vestire di rosa Andrea Noè, che a 38 anni divenne la più anziana maglia rosa del Giro. Di Luca si difenderà bene dagli attacchi di Gilberto Simoni, Riccardo Riccò ed Andy Schleck. Un passo molto importante per la vittoria sarà quello della cronoscalata di Oropa vinta dall’allora tricolore a cronometro Marzio Bruseghin.
Danilo di Luca vivrà in quella vittoria il momento più esaltante della sua carriera, ma quest’ultima verrà rovinata con le traversie doping che riguarderanno lo stesso ciclista negli anni seguenti. Due i casi più gravi: la positività al Giro 2009 – chiuso al 2° posto finale – e comunicata durante i giorni in cui si stava correndo il Tour de France, e una seconda positività registrata durante un altro Giro d’Italia alcuni anni dopo. Durante quel Giro del 2007 il velocista italiano Alessandro Petacchi si vedrà togliere ben cinque vittorie di tappa, per una positività alla sostanza “salbutamolo”.

mercoledì 8 febbraio 2017

Il Giro d'Italia numero 80

Il bergamasco Ivan Gotti vince l’80° Giro d’Italia. Il ciclismo in generale inizierà a dividersi tra entusiasmi sportivi e sospetti fisiologici legati alle prestazioni.
E siamo quasi ai giorni nostri quando lo scalatore di San Pellegrino Terme, Ivan Gotti, vince il Giro del 1997. Dopo decenni in cui la corsa vedeva Vincenzo Torriani come storico patron della gara, al timone del Giro vi era ormai, da alcuni anni, l’avvocato Carmine Castellano. Tra i favoriti di quel Giro vi era lo scalatore italiano Marco Pantani, che a causa di una caduta provocata da un gatto (per altri un cane) che aveva attraversato la strada al passaggio del gruppo dovrà ritirarsi. Il corridore romagnolo vincerà il Giro successivo. Ivan Gotti, passato alla squadra Saeco – che a quel tempo poteva vantare un budget impressionate per l’epoca per una squadra italiana di 8 miliardi di lire – è leader unico. Il Russo Pavel Tonkov – che aveva vinto il Giro l’anno precedente – veste la maglia di leader per 10 giorni. Gotti ‘prende’ la rosa a Cervinia, la difende nei 40 chilometri della cronometro di Cavalese, e a nulla valgono gli attacchi del russo che non riuscirà a riprendersi il simbolo del primato.
Quel Giro partì da Venezia e fu il primo dopo che l’UCI aveva regolarizzato il limite dell’ematocrito al 50%. L’italiano Claudio Chiappucci diventa il primo ciclista, tra quelli di vertice, a dover rinunciare al Giro perché ‘segnava’ un 50,8% al precedente Giro di Romandia. Dopo dei controlli ematici effettuati in Versilia, quattro corridori vengono rispediti a casa. Siamo nel pieno periodo in cui la sostanza EPO arriva quasi ovunque. Talmente tanto che moltissimi professionisti acquistano e imparano ad usare un piccolo apparecchio a batteria chiamato semplicemente “centrifuga”. Questa viene usata per permettere al corridore di potersi auto-controllare sul fronte dell’ematocrito – a meno che non venga beccato con le mai sull’EPO – fino al famoso 50% permesso dai regolamenti. Nessuna epoca del ciclismo sarà condizionata in maniera così pesante per la sua diffusione. Soltanto dal 2000, con i nuovi controlli che arriveranno dalle Olimpiadi di Sidney, in Australia, l’EPO non sparirà ma diventerà ‘sconveniente’ riaprendo la strada alle vecchie emo-trasfusioni.

giovedì 26 gennaio 2017

Il Giro d'Italia numero 70

Nel 1987 il Giro d’Italia viene vinto dall’irlandese Stephen Roche, che nel prosieguo della stagione vincerà il Tour e anche il mondiale. Ma quel Giro passerà alla storia per “il tradimento di Sappada”coinvolgendo l’irlandese e l’italiano Roberto Visentini.
Il Giro si prepara alla svolta per diventare da grande puntamento sportivo a grande evento in genere. Nel 1987 la corsa iniziò da Sanremo per chiudersi a Saint Vincent. Una particolarità fu una crono-discesa del Poggio di 8 chilometri di lunghezza vinta da Roche per la squadra Carrera. In rappresentanza di 20 formazioni partirono 180 corridori e conclusero il Giro in 133 per 3.195 chilometri complessivi. Stephen Roche vinse la gara davanti al britannico Robert Millar staccato di 3’40” con il 3° posto dell’olandese Erik Breukink a 4’17”. Tra i partecipanti manca lo statunitense Greg Lemond a causa di un “impallinamento involontario” da parte del cognato, durante una battuta di caccia. Quell’edizione del Giro vive tutta intorno alla squadra italiana Carrera – la formazione ritenuta da tutti come la “corazzata” di quel Giro – che durante la corsa viene spaccata in due dalla fortissima rivalità che esplode tra Stephen Roche e Roberto Visentini. “Il tradimento di Sappada” diventa il ‘caso ciclistico’ più importante nella storia dei Giri d’Italia degli anni ’80. Per completezza, da qui in avanti riporto, con un volgare copia-incolla, il testo di un articolo che io stesso avevo scritto alcuni anni addietro proprio su questa pagina web, e che cercando nell’archivio – chi vuole – può ancora trovare direttamente tra gli articoli del maggio 2012. Per gli altri questa è la copia.
“Il Giro d’Italia del 1987 prevede, il 6 giugno, un’arrivo di tappa nel paese di Sappada in provincia di Belluno. La squadra Carrera gode del favore dei pronostici per la vittoria assoluta della corsa, grazie all’italiano Roberto Visentini che si dimostra competitivo per poter ripetere il successo dell’anno precedente. L’irlandese Stephen Roche è l’altro uomo di riferimento in seno alla squadra italiana, e tra i due si fa strada fin dall’inizio della stagione una diplomatica collaborazione e niente di più. Già dal periodo della Milano-Sanremo gira l’opinione tra gli esperti che “quei due” saranno difficili da mettere d’accordo. Al Giro d’Italia Visentini arriva come detentore della maglia, Stephen Roche come vincitore del Giro di Romandia, ma con una condizione in crescita. Tra imprevisti allunghi da parte di Roche, sopportati per spirito di squadra da Visentini, si arriva alla frazione del Giro che prevede la scalata del Terminillo. Boifava, Direttore Sportivo della Carrera, per allentare la tensione nel suo ambiente s’inventa l’idea di scaricare la colpa sui giornalisti, colpevoli secondo lui di fomentare rivalità. Una voce sempre più insistente racconta che Roche ha ricevuto proposte di sponsor disposti a costruire una formazione attorno a lui. La giornata del Terminillo diventa forse l’inizio dalla fine quando Roche, in rosa, allunga a una decina di chilometri dalla fine. Visentini di certo non può scattare per andare a riprenderlo, col rischio di riportargli addosso gli altri. Ma ecco scattare lo scozzese Millar. Visentini è lesto ad attaccarsi alla ruota. Ripreso Roche, l’irlandese chiede collaborazione all’italiano per allungare ulteriormente e far si che il Giro diventi una questione Carrera. Visentini però non collabora restando sulle sue. La tensione è sempre più palpabile e Boifava cerca per l’ennesima volta di limitare la tensione in seno alla Carrera, dicendo chiaramente ai due che ci si giocherà la maglia rosa nell’ultima settimana dopo aver eliminato gli altri avversari. Dopo una caduta di Roche nella tappa di Termoli, ed una grande cronometro di Visentini a San Marino – con una debacle dell’irlandese – la situazione vede l’italiano in testa con più di due minuti e mezzo sul compagno di squadra. Vista la situazione della classifica generale, ed il distacco tra l’italiano in rosa e l’irlandese, il Giro sembra indirizzato. Sembra. Siamo al 6 giugno e Sappada aspetta il Giro con un’italiano che veste di rosa. Durante le prime fasi della tappa il ciclista belga Bagot scatta e Stephen Roche si porta sulla sua ruota facendo così parte di un gruppetto. È una fuga importante. Roche ha deciso di parteciparvi, visto che della Carrera non c’è nessuno. L’irlandese non tira, perché Visentini è leader della classifica. Boifava lo raggiunge con l’ammiraglia e gli dice di rinunciare all’azione. Roche si limita a rispondere che quello che può fare è non tirare. Che siano quelli del gruppo ad andare a prenderlo. Il vantaggio aumenta, come l’imbarazzo nell’ammiraglia Carrera. Boifava decide di star zitto con Visentini per non provocare discussioni in gara, e fa tirare la Carrera per rientrare sul gruppetto di Roche. La situazione fa si che i nervi di Visentini siano tesi come corde di violino. Roche davanti continua la sua azione e il compagno in rosa, dietro, ha ormai capito l’antifona e crolla. L’italiano molla del tutto e raggiunge il traguardo con sei minuti dall’irlandese. Il palco premiazioni è gelido. I sorrisi, pochi, sono di pura circostanza. Visentini è furioso. Quando supera la linea d’arrivo fa cenno di voler andare sul palco tivù per dare spiegazioni, ma forse un’alito di buonsenso lo fa desistere subito. La sua frase rilasciata al microfono televisivo; “Stasera penso che saranno in tanti ad andare a casa!” mentre si allontana per dirigersi verso l’albergo, vale più di tanti commenti. L’atmosfera in casa Carrera è pesante provocando una vera divisione interna al gruppo, ma ormai il Giro è deciso. Visentini cadrà giorni dopo, si farà male ad un polso e dovrà ritirarsi. Il giorno seguente al discusso esito di Sappada il pubblico italiano prese di mira Roche, sputandogli addosso e insultandolo senza risparmio lungo le salite. Tempo dopo Roche dirà che l’astio tra i due nacque al Giro. Dal fatto che Visentini voleva la squadra per se al Giro, Roche compreso, ma quando fu l’irlandese a chiedere lo stesso a Visentini per aiutarlo al Tour si senti rispondere picche a questa ipotesi, perché dopo il Giro l’italiano voleva andare in vacanza. Tanti anni dopo Visentini dirà che questa cosa fu solamente un grossa menzogna, non risparmiando parole molto pesanti per l’irlandese e per altre persone che correvano e lavoravano alla Carrera. Roberto Visentini, finita la carriera nel 1990, uscì in maniera totale dal ciclismo. Stephen Roche entrò nella leggenda di questo sport in meno di tre mesi, vincendo Giro, Tour e Mondiale su strada proprio in quell’estate del 1987.”

Il Giro d'Italia numero 60

Arrivato ormai nell’epoca moderna, il 60° Giro, corso nel 1977, viene vinto dal belga Michel Pollentier. Di lì a poco inizierà la rivalità tutta italiana Moser-Saronni.
Con 140 corridori al via in rappresentanza di 14 squadre, dopo 3.968 chilometri di corsa è il belga Pollentier ad avere la meglio davanti all’italiano Francesco Moser e GianBattista Baronchelli. Quell’edizione vedrà l’iridato Maertens grande protagonista perché vincitore di sette vittorie di tappa in soli nove giorni! Maertens dovrà ritirarsi a causa di una caduta con Van Linden in volata all’autodromo del Mugello. Ma in quel periodo il ciclismo non ha dei nomi di riferimento si cui poggiare. Finiti gli anni buoni di Merckx e Gimondi, con quest’ultimo che aveva vinto il suo 3° Giro l’anno prima, con la stella di Bernard Hinault di lì ad arrivare, si cercava qualche nome che ridestasse la passione del pubblico.
Questa cosa sarebbe arrivata di lì a poco quando un affermatissimo talento italiano, il trentino Francesco Moser, avrebbe incrociato i pedali con il giovane ciclista novarese Giuseppe Saronni. Entrambi sarebbero stati gli atleti di riferimento per il ciclismo italiano fino alla metà degli anni ’80, ed entrambi avrebbero vinto quasi tutte le gare tra le più importanti. I due non si sopportavano e non mancavano stilettate o discussioni che fecero la felicità di giornali e tivù. Forse tutto questo fu provocato dal fatto che quando Moser aveva già iniziato a raccogliere vittorie importanti nella seconda metà degli anni ’70, e sembrava così ben avviato a raccogliere l’eredità lasciata da Gimondi dal punto di vista della considerazione e ammirazione del pubblico, arrivò questo “ragazzino” considerato un po’ impertinente che a soli 22 anni vinse il Giro del 1979 facendo capire che Moser avrebbe dovuto dividere la sua popolarità con il giovane connazionale.

giovedì 5 gennaio 2017

Il Giro d'Italia numero 50

La 50^ corsa rosa viene vinta da Felice Gimondi, che diverrà uno dei ciclisti italiani più celebri. In quella edizione debutta un giovane ciclista belga, di nome Eddy Merckx, che a 21 anni aveva appena vinto Sanremo, Freccia Vallone e Gand Wevelgem.
Nel 1967, difendendo i colori della squadra Salvarani, è Felice Gimondi a imporsi nella cinquantesima edizione della gara. La corsa si corre dal 20 maggio all’11 giugno, con 130 partecipanti e 70 corridori arrivati a Milano. Dietro a Gimondi chiudono l’italiano Franco Balmamion, staccato di 3’36”, ed al 3° posto Jacques Anquetil a 3’45”. Quell’edizione viene consegnata alla storia come quella dove le Tre Cime di Lavaredo vengono battezzate ”le montagne del disonore” dalla penna di Bruno Raschi. Questo succede quando la frazione che le vede arrivo di tappa viene annullata dall’organizzazione a causa della moltitudine di spinte, che quasi tutti i corridori ricevono continuamente dal pubblico assiepato a bordo strada. Se a cancellare le Tre Cime di Lavaredo ci hanno quindi pensato gli spettatori, a cancellare lo Stelvio ci pensa la neve. Gimondi aveva vinto il Tour de France l’anno precedente. Rivincerà il Giro due anni dopo e nel 1976.
Ormai il ciclismo sta uscendo dal bianco e nero. Saranno anche gli anni in cui si comincerà a parlare di doping senza più la facile ironia dei decenni precedenti, tutt’altro. Lentamente, ma continuamente, vi sarà l’evolversi di questa “piaga” sportiva che nell’arco dei successivi 30 anni assumerà proporzioni pesanti, tanto da falsare la disciplina. Il primo ciclista dopato al Giro (o meglio, trovato dopato) è il belga Victor Van Schil, gregario di Merckx nel 1968, nel 1969 sarà Merckx ad essere squalificato in maglia rosa. Seguiranno altre situazioni pesanti: Gianni Motta nel 1971 riceve 10 minuti di penalizzazione per positività alla “metil-efedrina”, nel 1985 arriva il divieto dell’emo-trasfusione usata da Moser nell’anno magico, il 1984, perchè ancora non vietata. Il pensiero principe recita; “Se non è scritto che una cosa è vietata dov’è il problema?”. Il centro di medicina sportiva di Ferrara, diretto dal professor Conconi, diventa il più famoso al mondo. Tutti i migliori ciclisti degli anni ’80 e ’90 vi passano, italiani e non. Negli anni ’90 arriva l’EPO e sarà il disastro. Il suo uso nel ciclismo sarà enorme, ma siccome all’antidoping non è ancora possibile rilevarne la presenza, per tutto il decennio molti corridori la faranno franca.
Nel 1998, due italiani Miceli e Forconi della squadra Mercatone –Uno sono espulsi dal Giro per ematocrito alto, per la stessa motivazione viene fermato Marco Pantani l’anno dopo sempre al Giro. Nel Giro del 2001, a Sanremo, i NAS e la Guardia di Finanza arrivano e perquisiscono per tutta la notte le stanze dei 143 ciclisti ancora in gara. Se ne vanno con una quantità impressionante di farmaci di ogni tipo. Il 2002 è un altro anno pesantissimo per il Giro: Nicola Chiesini è il primo ciclista arrestato al Giro, pochi giorni dopo viene rintracciato e arrestato anche Domenico Romano. Stefano Garzelli – in maglia rosa – viene espulso dalla corsa per positività alla Liegi corsa due settimane prima, ed anche Gilberto Simoni viene trovato positivo alla cocaina, che spiegherà figlia della cure del dentista per poi riuscire a salvarsi cambiando versione, dicendo che la cocaina era presente nelle caramelle di una sua zia di nome Giacinta. Gli anni successivi si passa dall’EPO alla Cera (un EPO di evoluta generazione scientifica) ma le cose non cambiano molto: Emanuele Sella nel 2008, vincitore della maglia verde con una settimana di anticipo, Danilo Di Luca nel 2009, che chiuse il Giro al secondo posto, solo per citare due casi tra i più tristi per il nostro ciclismo in quel periodo. Finche in questo decennio viene concessa l’autorizzazione a controllare vecchie fialette degli anni ’90, per capire quanto i nuovi metodi di ricerca siano validi. I risultati delle gare non possono essere più cambiati (a meno di confessione, dopo alcuni anni il reato decade), ma i risultati sono incredibili per il numero di corridori che al tempo sarebbero stati rispediti a casa, senza distinzioni tra italiani, stranieri, campioni fra i più grandi e gregari tra i più applauditi.

domenica 1 gennaio 2017

Il Giro d'Italia numero 40

Con lo svolgersi nel 1957 della sua 40^ edizione, ormai il Giro d’Italia è una manifestazione consolidata. Così come consolidata è l’Italia stessa che vive l’epoca del famoso “boom” economico.
Nelle case degli italiani iniziano ad apparire degli enormi marchingegni chiamati elettrodomestici, le strade iniziano a conoscere un fenomeno chiamato traffico, le famiglie sentono parlare di ferie d’agosto, le radio inizieranno a diventare sempre più un soprammobile nelle case delle famiglie ricche perché arrivano i televisori, le campagne si svuotano e si riempiono le fabbriche, i contadini diventano operai. In questa Italia figlia del “boom” economico all’inizio del suo esistere (e che durerà un’altra decina d’anni), il Giro viene vinto da Gastone Nencini davanti a Louis Bobet staccato di soli 19”. Al terzo posto Ercole Baldini ed al quarto il lussemburghese Charly Gaul. Corso dal 18 maggio all’8 giugno Milano è sede di arrivo e partenza. Le squadre partecipanti sono 15, i corridori al via 119, quelli che finiranno la corsa 79.
Bartali, Magni, Coppi sono ormai campioni del passato. La corsa vive il suo episodio principe in maniera curiosa. Nella frazione che aveva nel Bondone il suo teatro principale, Charly Gaul si ferma in una piantagione di uliveti nella zona della Gardesana per far pipì. Gastone Nencini non si lascia scappare l’occasione e decide di attaccarlo per portargli via la maglia rosa. Riuscirà nel suo intento e a Milano sarà l’italiano a festeggiare. Gli anni ’50 del Giro sono raccontati e conosciuti meno rispetto al decennio precedente. Forse la mancanza di assi del calibro di Bartali, Magni e Coppi porta questa tendenza. Forse anche perché sarà solo dal decennio dopo che la tivù guadagnerà spazio con la trasmissione del “Processo alla Tappa” del giornalista Sergio Wolmar Zavoli. Negli anni ’50 (per la precisione nel 1954) la RAI mandò in diretta gli ultimi 300 metri della Milano-Sanremo. Il “Processo alla Tappa” cominciò alla radio nel 1958. Quattro anni dopo (1962) diventò il notissimo programma televisivo.

Il Giro d'Italia numero 30

Nella seconda metà degli anni ’40 il Giro vive la rivalità fra Gino Bartali e Angelo Fausto Coppi. Sarà il secondo di questi a vincere il 30° Giro d’Italia nel 1947.
Il Giro comincia a diventare grande toccando la 30^ edizione. Distrutta dal secondo conflitto mondiale l’Italia si divide tra Bartali e Coppi. In quella edizione lo starter d’eccezione a Milano fu Luigi Ganna, il primo vincitore della corsa. In una delle frazioni in programma, la Perugia-Roma, i corridori percorrono il tragitto previsto pedalando molto lentamente per protestare contro la presenza, a loro dire, delle troppe strade sterrate. Cominciato a Milano il 24 maggio il Giro si chiuderà sempre a Milano il 15 giugno. Ormai diventato una corsa di tre settimane, la gara annovera 20 frazioni. I chilometri totali sono 3.843 per 192 chilometri giornalieri di media. Fausto Coppi vince con la squadra Bianchi alla media di 33,1 km/h., 2° Gino Bartali a 1’43”, 3° Giulio Bresci a 4’54”.
Una cosa che ancora contraddistingueva i Giri di quell’epoca era la carente – se non inesistente – possibilità di effettuare dei trasferimenti. Le località di arrivo delle varie tappe erano sempre i luoghi di partenza la mattina dopo. Non vi era la facilità di spostarsi da un posto all’altro come oggi, dove abbiamo giornate di corsa in cui i chilometri di trasferimento a volte superano quelli da percorrere pedalando. L’edizione numero 30 si aprì con il lutto al braccio per la morte di Emilio Colombo, direttore della Gazzetta dello Sport dal 1922 al 1936.

venerdì 23 dicembre 2016

Il Giro d'Italia numero 20

Tenutosi dal 14 maggio al 5 giugno 1932, il Giro numero 20 viene vinto da Antonio Pesenti. Partenza e arrivo sono sempre a Milano.
Il Giro d’Italia tocca la ventesima edizione quando l’arrivo dell’ultima frazione viene raccontato alla radio, con le parole di Nello Corradi ‘voce’ dell’allora EIAR oggi RAI. Sono gli anni di Alfredo Binda e di Learco Guerra, conosciuto come la ‘locomotiva umana’. Questi vincerà ben sei frazioni su tredici totali. Pesenti, il vincitore, si aggiudica il Giro alla media di 30.5 km/h ed il distacco dall’ultimo classificato, Tullio Vincenzi, sarà di “sole” nove ore e quattro minuti. Per non danneggiare troppo le gambe dei corridori in vista del Tour de France, quella edizione della corsa rosa non presenta le grandi montagne. Antonio Pesenti, gregario di Binda, costruirà quella vittoria anche sui problemi…….intestinali di un suo avversario, il ciclista tedesco Hermann Buse.
La maglia rosa era già nata. L’anno prima venne indossata da Learco Guerra il 10 maggio in quel di Mantova. Le tappe a cronometro invece sarebbero arrivate soltanto l’anno successivo, quando si sarebbe svolta una prova di 62 chilometri, da Bologna a Ferrara, vinta da Guerra. Sempre l’anno dopo il Giro avrebbe iniziato ad assegnare il GPM (Gran Premio della Montagna). Sarà Alfredo Binda ad indossare quella che oggi è la maglia azzurra. L’Italia sta vivendo il momento centrale dell’epoca fascista. I chilometri totali furono 3.525 per una media giornaliera di 271 chilometri al giorno. i partecipanti furono 109, i corridori che conclusero della edizione furono 66.

sabato 17 dicembre 2016

Il Giro d'Italia numero 10

A causa della Grande Guerra, il decimo Giro d’Italia arriva solo nel 1922. Il vincitore è Giovanni Brunero. La stella del ciclismo è Costante Girardengo.
Un secolo addietro il mondo del ciclismo viveva sotto le insegne di uno dei più grandi ciclisti di ogni tempo: Costante Girardengo. Il suo periodo migliore abbracciò tutti gli anni ’20. Va ricordato che il Giro e la carriera di Girardengo – con relativo e potenziale palmares – patirono tre anni di non svolgimento, a causa della Prima Guerra Mondiale. Il Giro cresce tra le macerie di un Italia devastata dal conflitto bellico, e cresce tanto da costringere la Gazzetta dello Sport a dover depositare il marchio Giro d’Italia, causa il sentore di altre iniziative simili in arrivo. La 10^ edizione si corre dal 24 maggio all’11 giugno, i corridori alla partenza sono 75, termineranno il Giro in 15. Le tappe sono 10, partenza e arrivo sono a Milano, i chilometri totali sono 3.095 per una media di 309 chilometri a frazione. Giovanni Brunero vince per la squadra Legnano alla media di 25.8 km/h, il secondo classificato è Bartolomeo Aymo staccato di 12 minuti e mezzo, l’ultimo è Romolo Valpreda staccato di quasi un giorno: 23h 38’14”.
Quella edizione del Giro fu prodiga di discussioni. Brunero, poi vincitore, sostituì una ruota in maniera irregolare nella prima frazione: Milano-Padova. Arrivò al traguardo con 17’ minuti di vantaggio. La Giuria squalifica il corridore, ma consente allo stesso di correre “sotto giudizio” la tappa successiva. Tutti aspettano la decisione della UVI (Unione Velocipedistica Italiana) e viene deciso che il ciclista può continuare la corsa, con una penalizzazione in classifica di 25 minuti. Questa decisione fa imbestialire le formazioni Maino e Bianchi, che si ritirano dalla corsa. La prima squadra è capitanata da Tano Belloni, la seconda da Costante Girardengo. Senza più questi due campioni in gara, la vittoria di Brunero diventò così meno difficile da portare a casa. In quegli anni un giovane ciclista iniziava a farsi conoscere. Soprannominato “Il trombettiere di Cittiglio”, stata iniziando l’era di Alfredo Binda.

domenica 11 dicembre 2016

Il primo Giro d'Italia

Nel cuore della notte del 13 maggio 1909, sono le 2:53, prende il via il primo Giro Ciclistico d’Italia. I partenti sono 127 e si parte da Milano.
Il primo Giro d’Italia è vinto da Luigi Ganna, ciclista originario della frazione di San Cassiano. La classifica generale è a punti e Ganna vincerà quella prima edizione pedalando su di una “macchina” Atala del peso di 15chilogrammi. La bicicletta del primo vincitore del Giro ha il rapporto unico, il pignone fisso e il suo bel fanale. Il Giro si chiude con una volata vinta dal ciclista romano Beni. A fare da cornice in quella volata, oltre al pubblico di incuriositi spettatori, sono presenti a bordo strada 230 lancieri con i loro cavalli. A causa della grande bagarre del momento gli animali si spaventano ed uno di loro, impennando, travolge il ciclista Rossignoli.
Le tappe di quel Giro furono otto, la gara si svolse dal 13 al 30 maggio, partenza e arrivo si tennero a Milano, dei 127 partiti ne arrivarono 49, la media di Luigi Ganna fu di 27.2 km/h, il tempo impiegato dal vincitore fu di 89 ore, la frazione più corta fu quella finale da Torino a Milano di “soli” 206 chilometri, i chilometri totali furono 2.448. La media fu perciò di 306 chilometri per tappa. Come si evince dalla data di partenza a quella di chiusura e dal numero di tappe, le frazioni non si correvano ogni giorno.Quando parte il primo Giro d’Italia (1909) la Gazzetta dello Sport esiste da 13 anni (3 aprile 1896). La sua nascita arriva dalla ‘fusione’ giornalistica tra due periodici: “La Tripletta” di Torino e “Il Ciclista” di Milano. Vi lavorano 5 persone, costa 5 centesimi, esce due volte alla settimana. Il primo numero vende 20.000 copie, il suo colore cambierà diverse volte: verde all’inizio, bianca successivamente, poi gialla, ritorna verde, fino al 1899 quando diventa la ‘rosea’ in maniera definitiva.

venerdì 28 ottobre 2016

Il basso profilo RAI e Gazzetta

Senza pretendere Venezia come nel 2009, per essere la 100^ edizione del Giro d’Italia – gara che nel 2017 sarà l’evento ciclistico più importante, dato lo speciale traguardo raggiunto come numero di edizioni – la Gazzetta e la RAI hanno mantenuto quel che si chiama un basso profilo. La tivù di stato da un paio d’anni a questa parte tratta la presentazione della corsa rosa con servizi veloci come una volata, stabilendo forse un record con il minuto (se non meno) di collegamento con il CT Cassani, al TG sportivo delle 18:30, che ha fatto in tempo a dire giusto delle due cronometro e del doppio Stelvio, poi saluti veloci e buonasera. Il tutto chiaramente nella fase finale del programma, non sia mai. La Gazzetta dello Sport – i cui giornalisti sono quasi scomparsi dal proCESSO alla tappa, dove fino a pochi anni fa recitavano parte importante come frequenza – ha dedicato alla presentazione dell’evento Gazzetta più importante dell’anno nientemeno che 4 pagine, di cui una con un articolo su Coppi e Bartali per scrivere cose lette centinaia di volte sui due campioni del nostro ciclismo. Interviste ai protagonisti? Ce n’erano? Se un lettore avesse dovuto basarsi a quello riportato dal giornale, erano presenti soltanto Aru e Nibali. Con tutto il rispetto per gli ex Indurain, Gimondi, Basso, Moser, non vi erano altri corridori in attività presenti in sala? Nessun diesse? Non è mancato un articolo del direttore della rosea, Andrea Monti, appassionato di ‘pezzi’ che a ogni presentazione sfiorano il copia-incolla. Nemmeno a pagina 2 troviamo molto dal punto di vista tecnico, con Ciro Scognamiglio che spiega ben poco, e allungando il brodo citando di chi era presente in sala tra presidenti di questo e quest’altro (Di Rocco, Malagò), ex ciclisti, e una menzione al Signor Mediolanum per ricordarci di come storia e tradizione abbiano colorato di azzurro la maglia verde per onor di assegno staccato. Meno male ch’era la presentazione del Giro numero 100. Dal 101 dovremo prepararci a cercar notizia tra le ‘brevi’ della cronaca milanese e nei TG delle 23?

mercoledì 1 giugno 2016

Giro 5: Trentin brucia un Moser 'vittima' del ciclismo d'oggi?

Tanti anni fa, ha un gruppo tecno-pop tedesco di nome “Kraftwerck” diede alle stampe musicali una canzone intitolata “We are the robots”. Giovedì 26, tappa numero 18, la più lunga del Giro con 244 chilometri e arrivo a Pinerolo. Vince Matteo Trentin, dopo aver ‘fucilato’ Moreno Moser a 250 metri dal traguardo. “Non ho visto Trentin arrivare” spiegherà Moser nel primissimo dopo-tappa. Il trentino della Cannondale ha fatto riferimento all’aver perso l’auricolare dall’orecchio nel finale di corsa. Moser è rappresentante di quella ormai 2^ generazione ciclistica che corre in maniera praticamente radio-comandata. Ma non è possibile giustificare questa disattenzione con l’inconveniente unito all’apparecchio radio scollegato. Sarebbe bastato girare il capo un solo secondo e forse l’istinto del corridore avrebbe acceso nelle sue gambe quella reazione ch’è costata una possibile vittoria. Radio o non radio un’occhiata veloce devi darla.

giovedì 15 ottobre 2015

Basso saluta il gruppo

Una carriera nata sotto l’insegna del talento, dell’essere predestinato. Proseguita con la squalifica per l’Operation Puerto, continuata con la rinascita sotto la mano di Aldo Sassi. In mezzo due Giri vinti, anche se dai sapori ben diversi l’uno dall’altro.
Con la nascita del Giro 2016, il ciclismo ha ricevuto i saluti e baci da parte di Ivan Basso, che abbandona l’attività come ciclista professionista. Non lascerà il ciclismo, lo seguirà con un altro ruolo. La carriera di Basso è finita forse con una stagione di anticipo a causa del tumore ad un testicolo scoperto al Tour, ma lo stesso varesino non ha nascosto che pensava di poter essere più competitivo, anche se in un ruolo di gregario. Parte che aveva iniziato a ricoprire da quest’anno a favore di Contador. Basso ha vinto due Giri. Il primo (2006) viene incorniciato dai veleni e dai sospetti – fatti in diretta televisiva nell’allora primo dopo tappa – da parte di Gilberto Simoni, scalatore trentino, vincitore di due Giri d’Italia, ciclista fermato al Giro del 2002 per doping per via di: 1) prima versione; le cure del dentista 2) seconda versione; le caramelle alla coca della zia Giacinta. Grazie alla provvidenziale zia ne uscirà scagionato. Peccato, vedendo le notizie più attuali, che Luca Paolini non abbia delle zie che si chiamino Giacinta. Tornando a Basso, il varesino rinasce agonisticamente dopo due anni di squalifica per via della nota Operation Puerto. Passa da Bijarne Riis ad Aldo Sassi e al centro Mapei, da un ex ciclista che veniva soprannominato “Mister 60%” quando correva, ad un preparatore che faceva del lavoro duro la sola e unica regola per avere risultati. Basso torna nell’autunno del 2008 e convince più di quello che ci si attendeva. Al Giro 2009 termina la corsa sul gradino più basso del podio, dopo le squalifiche post-Giro di Pellizotti e Di Luca. Alla Vuelta, corsa tre mesi dopo, chiude al quarto posto. Da questi risultati si evince che le qualità dell’uomo da grandi giri non si sono perse, e si confermano ulteriormente quando il Giro 2010 viene vinto senza discussioni, e questo successo non fa che far riflettere sul fatto che Basso ha perso per questioni doping i due anni forse migliori della sua carriera, ed il Tour avrebbe potuto essere veramente vinto. Professionista maniacale, preciso, organizzato, Basso è stato importante riferimento per Vincenzo Nibali, quando i due anno corso – e vinto – con i colori dell’oggi scomparsa Liquigas.

lunedì 5 gennaio 2015

Cerchi un lavoro sicuro? Opinionista ciclistico in tivù: fatti avanti!

Sono il tramite catodico e giornalistico tra noi comuni mortali seduti in poltrona, e i protagonisti dell’evento sportivo. Integerrimi professionisti del microfono o della penna, che fanno dell’imparzialità professionale il loro inno.
Mentre fior di opinionisti continuano a menarla con il fatto che l’UCI deve difendere le corse storiche dall’invasione in calendario di corse più giovani che rendono la stagione senza fine solo per soldi, RCS (leggi Gazzetta) lancia un nuovo evento ciclistico che si terrà alla fine della stagione, con una mini corsa a tappe ad Abu Dhabi (4 tappe), nel cuore di quella che oggi è la terra più ricca sfondata del mondo. I ciclisti non si annoieranno nei giorni precedenti l’evento; 4 ottobre 2015 Giro di Lombardia, 5 ottobre presentazione Giro 2016, la sera stessa si parte per Abu Dabhi e vi si arriva la mattina dopo. Il giorno dopo presentazione delle squadre e quindi la gara da giovedì a domenica. Settimana piena insomma. Il Giro di Lombardia non sarà più la corsa considerata come la chiusura della stagione (anche se già quello dell’Emilia lo corrono dopo). Ci aspettiamo quindi che la Gazzetta (mamma di Tirreno, Sanremo, Giro, Lombardia) venga un po’ messa in croce. Quando il Tour era l’unico grande giro ad avere la cronosquadre, i giornalisti italiani criticavano i francesi e continuavano a menarla con il discorso che la prova a squadre falsava la classifica. Quando una decina di anni addietro anche il Giro (per avere l’allora CSC di Riis e Basso) introdusse la cronosquadre, la squadriglia ‘menante’ del fior di opinionisti si ridusse misteriosamente. Quando negli anni ’90 il Tour faceva spesso delle partenze dall’estero quasi una tradizione, i giornalisti italiani esaltavano il Giro tutto nazionale. Adesso che il Giro sta imitando da anni la gara francese, la stessa epidemia ha colpito ancora e da tempo i nostri leggendari opinionisti, che ora esaltano il pubblico estero e le accoglienze che all’estero ricevono. Quando l’UCI introdusse, pochi anni fa, il divieto per gli atleti di usare medicinali o prodotti di recupero tramite iniezioni, per evitare che qualcuno invece dei sali sbagliasse casualmente la sacca – quasi trasparente nel contenuto – e si ficcasse in vena quelle dove il contenuto era color vino rosso di aspetto leggermente denso (quindi facilmente confondibili), un’allora noto opinionista RAI, vincitore di 2 Giri, ex ciclista di Telekom (Ullrich), Discovery (Armstrong), Astana (Vinokurov) ed LPR (Di Luca), e protagonista di episodi di pesante amnesia ciclistica – causati dal feroce virus denominato “Convocazione presso la Procura Antidoping del Coni” – disse che era una decisione assurda, venne confortato in quel pensiero da una nota giornalista televisiva, nota per l’ampio respiro professional/umanitario, soprattutto nel dare risalto alle figure di ex ciclisti italiani che hanno chiuso le loro carriere con patteggiamenti per magagne doping. Insomma, ci aspetta in poltrona un’altra stagione entusiasmante!