«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

sabato 9 novembre 2013

Il ciclismo davanti al caminetto (2^ p.)

MANCHEREBBERO SOLO DEI TIZI CON LE ORECCHIE A PUNTA O UN ALTRO CHE DICE; “SIGNOR SGARBOZZA, QUATTRO DA FAR RISALIRE”, POI CI SAREMMO ANCHE. SE NON FOSSE CHE OGGI VIGE UN CICLISMO SEMPRE PIU’ IMPOSSIBILE.
Avete mai visto quelle scene, solitamente rappresentate in qualche film di fantascienza, dove dentro spaziosi saloni poco illuminati da tenui luci verdognole ci sono esseri umani rinchiusi magari da tempo dentro grandi campane trasparenti che li conservano negli anni? E c’è lo scienziato lucidamente pazzo che spiega cosa sono quelle cose che altri visitatori stanno guardando? Mica serve andare in un set cinematografico per queste cose, e nemmeno aspettare il futuro con tutto il suo progresso. Torniamo sulla Terra e immaginate dei ciclisti apparentemente dormienti stesi su dei lettini con una scatola di plastica trasparente che rinchiude perfettamente il capo, e che respirano ed inspirano grazie ad un tubo flessibile in plastica del diametro di circa 3 centimetri. Questo flessibile inizia dalla scatola-contieni-cranio e finisce dentro una sofisticata apparecchiatura elettronica, a sua volta collegata ad un PC che registra in tempo reale i dati che vengono raccolti respiro dopo respiro. Questo poco prima di una corsa, mica nel periodo invernale quando sugli atleti si susseguono test e prove fisiche d’ogni tipo. La macchina in questione si chiama Metabolimetro ed è uno degli ‘attrezzi di lavoro’ dei medici che oggi lavorano del ciclismo di alto livello. Un metodo medico/tecnologico/scientifico che serve a capire il grado di affaticamento raggiunto dall’atleta, e quale debba essere la dieta migliore per quest’ultimo nei giorni di corsa che ancora seguiranno. E così – mentre con il tele-trasporto il signor Sgarbozza fa puntualmente incazzare il Comandante Picard perché continua a far riapparire i componenti dell’Enterprise nei cessi della nave invece che nella sala preposta – si può capire come la fatica del ciclista non sia più calcolata solamente mentre pedala. Tutto questo perché oggi il ciclista non ha praticamente pause.
Durante il Giro d’Italia del 2011, la squadra ciclistica Radio Shack ha fatto duemilacinquecento chilometri per trasferimenti vari (alberghi, zone di partenza). Aggiunti agli allora 3.500 pedalati la cifra complessiva è impressionante quando coperta in sole 3 settimane. Non è un dato secondario che oggi il ciclista trovi nei trasferimenti una fonte di stanchezza molto forte. Del resto gli organizzatori dei Grandi Giri devono rispettare tempi stabiliti da contratti meramente commerciali (leggi: televisione). Le frazioni non devono mai arrivare prima delle 17:00 pena una probabile carenza di spettatori davanti la tivù. Per questo le tappe oggi partono raramente prima delle 11:00 del mattino. Si può (forse) partire prima solo in caso di tappe che prevedono almeno 200 chilometri, con 3 o 4 montagne lungo il percorso. I lussuosi autobus che oggi hanno in dotazione tutte le squadre di alto livello danno un buon comfort grazie a una o due docce a disposizione, possibilità di bere qualcosa di caldo nelle giornate fredde, sedili molto comodi, un minimo di angolo cucina per dare qualcosa da mettere sullo stomaco ai ragazzi (riso e patate lesse sono presenti a carriole nel primo dopo-tappa di alcune squadre). Ma quando ti devi fare un’ora di bus tra strade trafficate e di montagna non è poca cosa in un’economia di sforzo globale lunga 22 giorni. Fino a venti anni addietro i ciclisti riuscivano ad arrivare negli alberghi nel tardo pomeriggio, mentre oggi arrivarci alle 19:00 è già una vittoria. Ormai è la prassi vedere i capitani e gli uomini comunque considerati di punta, che godono del privilegio di poter fare prima i massaggi, e finire la cena quando altri compagni di squadra si sono appena accomodati a tavola. Insomma, se siete al rientro dopo una giornata appresso il Giro sul Passo del Cassani, e quando arrivati a casa vi sedete in poltrona giusto in tempo per guardarvi TGiro, forse chi vedete pedalare nelle immagini tivù non si è seduto in poltrona così tanto tempo prima di voi. Con buona pace del signor Sgarbozza e delle bestemmie del Comandante Picard in dialetto Klingon.

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