Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
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martedì 12 luglio 2016
E tocca tenersi una roba del genere?
Erano diversi anni che il Giro femminile non veniva preso a calci in questa maniera dalla RAI, che come fa un passo avanti forse per ‘par condicio’ ne ha fatto subito uno indietro.
Inizio da una cosa positiva: la new entry Giada Borgato come spalla tivù di Piergiorgio Severini, che ci consente di
sentire i nomi delle atlete straniere che non vengono storpiati, che parla italiano e non un qualcosa che tenta di assomigliarli del tipo; “Uniti Stati America”, che in pratica non dice le fesserie che diceva Sgarbozza. Niente più angolino all’ora di cena per il Giro-Donne, che almeno aveva un suo orario di messa in onda e quindi una sua “dignità televisiva”, chiamiamola così, all’interno del palinsesto. La RAI sceglie il ‘traino’ del Tour, ma con risultati semplicemente irritanti. Prologo di Gaiarine: 40 minuti di ritardo per la messa in onda, tanto che va in seconda serata. Prima frazione, Gaiarine-San Fior: sintesi cortissima perché “la RAI tiene molto al ciclismo femminile” come dice ogni benedetto mese di maggio Suor Alessandra al suo proCESSO del Giro. Seconda frazione, Tarcento-Montenars: intervista per Elisa Longo Borghini ‘tagliata’ in maniera indecente a fine sintesi. Quarta tappa, Costa Volpino-Lovere: sintesi ben stringata, tanto che in due minuti di servizio siamo già ai meno 9 dalla fine. Impossibile seguire una corsa ciclistica in questa maniera. Sesta tappa, Andora-Alassio: Francesco Pancani annuncia la imminente ‘finestra’ in diretta del Giro femminile, e visto che il Tour (badate bene la strana casualità) ha un ritardo sulla tabella orario di almeno 30 minuti, linea alla coppia Severini/Borgato. La “diretta” è un bidone perché siamo sempre a una sintesi che salta di palo in frasca, e l’unica diretta è quella relativa al commento dei due telecronisti, ma le immagini sono sempre registrate. È infatti cosa nota che le tappe del Giro-Donne terminano spesso a metà pomeriggio e non certo nel tardo quest’ultimo. Una balla, e confezionata anche male, credendo (o fermamente convinti?) che il telespettatore sia imbecille. Mi ricorda qualcuno…… Non è finita. Ultima tappa in quel di Verbania Pallanza. Quella che chiude il Giro femminile, quella che riguarda la consacrazione sportiva della vincitrice: in 5 minuti si passa dalle firme delle atlete alla partenza ai saluti e ai ringraziamenti dei telecronisti. Nessuna intervista, nemmeno alla vincitrice. Uno schifo. La corsa più importante del calendario rosa UCI che viene trattata come fosse una trasmissione in replica che fa da tappa-buchi tivù alle sei di mattina. Qualcuno alzerà la voce o tutti zitti?
lunedì 21 marzo 2016
Ma che bello il ciclismo femminile (se ce lo fan vedere)
Venti minuti di trasmissione – ovviamente registrata – per raccontare il Trofeo Binda 2016 che si è corso domenica 20 marzo. La seconda corsa rosa per importanza che abbiamo in Italia dopo il Giro-Donne. Questo l’immane sforzo della RAI cha ha permesso di seguire a colpi di singhiozzo la netta vittoria dell’iridata Elizabeth Armitstead della Boels Dolmans. Peccato che tra cicliste non partite casa influenze di stagione e altre ritirate causa caduta la gara abbia perso per strada molti nomi importanti. Resta il dubbio che se ci fossero state comunque tutte, il ‘taglio’ della messa in onda non sarebbe cambiato molto. Sintesi tivù che come da tradizione salta di palo in frasca, con ‘buchi’ di oltre 50 chilometri a botta, e con il nuovo supporto tecnico di Monia Baccaille che al microfono affianca Piergiorgio Severini. L’ex tricolore avrà bisogno di tutta la stagione per sapere come districarsi davanti al video, ma perlomeno dovrebbe sapere di cosa parla, a dispetto di Sgarbozza che dopo anni ancora non sapeva come pronunciare i nomi delle cicliste, o coniando frasi del tipo “….atleta della Uniti Stati America!....”. Interviste alle protagoniste nemmeno a parlarne, e quindi godiamoci il ciclismo femminile targato RAI, ricordandoci di sorseggiare qualche caffè durante la trasmissione.
lunedì 26 ottobre 2015
Le nostre ciambelle senza il buco
Gli italiani migliori del 2015? Aru, Longo Borghini e Nibali. Poi magagne pesanti anche sul ciclismo amatoriale e delusioni di corsa che non hanno scuse. Mentre i telecronisti RAI inneggiavano a Nibali dicendo che l’Italia tornava a vincere una classica monumento dopo diversi anni, dimostravano quanta considerazione c’è in Italia per il ciclismo femminile, non ricordando la vittoria di Elisa Longo Borghini al Fiandre. Lei, Elisa, c’è sempre, come c’è stato Adriano Malori, come non c’è stato Diego Ulissi, che per mesi ha potuto pensare solo al Mondiale per poi ritrovarsi a correre una gara anonima e deludente. Brutte storie emergono dal settore ciclismo dopato, visto che la metà dei dopati prò 2015 (una dozzina il totale) trovati positivi dall’UCI sono roba nostra. A livello generale in Italia, cioè considerando i ciclisti della domenica e i professionisti, gli amatori sono l’80% di tutti i dopati italiani. Tra gli uni e gli altri spunta la fine veramente cretina di Paolini che ha buttato nel water tonnellate di elogi, e speriamo che su di lui ci venga risparmiata una specie di operazione recupero d’immagine, sapendolo grande amico del CT Cassani, che a lui non avrebbe mai rinunciato. D’altronde va detto che se sei un ex dopato hai ottime possibilità di avere successo come preparatore ciclistico. Santambrogio e Riccò si sono messi a fare i simil-preparatori-allenatori-consiglieri di ciclismo, con quale titolo non si sa. Il primo era ripartito facendo il panettiere, poi ha capito che la bicicletta era la sua vera vita, cosucce doping a parte. Riccò gira per Tenerife per accompagnare cicloturisti e amatori. Scommettiamo che entrambi hanno un buon successo? Si perché il perdonismo facile post-doping è sport praticato ad un ottimo livello nella nostra Nazione. Lo dimostrano le passerelle televisive di ex atleti con problemi doping, che hanno la possibilità di ritrovarsi davanti alle telecamere per dire cosa sia il ciclismo, come lo si deve correre, e alcuni di loro lavorano anche come esperti e commentatori tecnici. Basterebbe una ricerca nel web, nemmeno chissà quanto approfondita, per capire chi è quel tal esperto che può metter giudizio sugli atleti di oggi, tra una ripassatina di scuro per i capelli o di rasoio sulla zucca.
giovedì 1 ottobre 2015
Ottobre; l'editoriale
“Che diavolo ci fa Viviani la in mezzo?” ti domandi al penultimo giro. L’Italia delle corse di un giorno si conferma seconda forza. Forse perché non si può chiedere ad un cuoco di fare una frittata senza uova.
“Cercando il pelo nell’uovo, usciamo in maniera positiva da questo Mondiale rispetto a dodici mesi addietro. Torna la medaglia dagli Under 23, arriva anche a cronometro, la sfioriamo con le donne. Poi però ci squagliamo (ancora) coi nostri big. Stavolta le delusioni arrivano dai nomi pesanti, importanti e spesso decisivi. L’argento degli Under 23 è ossigeno puro, aria fresca dopo anni in cui si preferiva spruzzare nauseabondi deodoranti invece che aprire una finestra. L’argento di Malori è il risultato di un atleta che inseguiva da anni questi risultati, e che ha raggiunto la maturità in una squadra – ahinoi – straniera. La medaglia sfiorata dalle donne, quasi tutte – ahinoi parte seconda – tesserate con formazioni estere, è stata il risultato del trovarsi nel posto giusto al momento giusto con la ciclista sbagliata. A Giorgia Bronzini sono mancate le gambe in quei benedetti ultimi cinque chilometri per tenere il contatto con il gruppo di testa. Fino a quel momento tutto bene. La piacentina era stata sempre nel gruppo, coperta, via dal vento in faccia, ben ‘custodita’ dalla squadra. Quello che devi fare se vuoi tenere in serbo un atleta per giocarti la tua carta in volata. È stata lei la prima big ch’è mancata, ma se una tirata d’orecchi ci sta, le donne sono arrivate comunque a un metro e mezzo dalla medaglia. Fino alla volata le nostre ragazze si stavano ancora giocando il podio. Lì c’eravamo insomma, per dirla semplice. Poi arrivano le vere note dolenti. E qui ti domandi se Ulissi – mai visto se non nelle interviste – sia veramente un atleta con la testa per avere su di sé una Nazionale. Ad un tratto è arrivato il segnale che forse qualcosa non tornava poi troppo. Ti spunta Viviani, l’uomo programmato per l’eventuale volata, che deve inventarsi tappa-buchi per inserirsi nel gruppetto che stava tentando il colpo grosso quando probabilmente era, quello, il turno di qualcun altro. Probabilmente quel Nibali che prima e dopo il Mondiale spaccava il mondo nelle gare italiane. In quel momento, con Viviani a fare quello che dovevano fare altri, abbiamo bruciato la nostra carta per la volata. Ma soprattutto dopo l’azione di Elia siamo spariti, quando invece dovevamo venir fuori. Come altre volte negli ultimi anni. Dove la frittata continuano a mangiarsela gli altri.”
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