Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
lunedì 25 aprile 2016
Il 'motorino', questo sconosciuto (o no?....)
Prima con piccoli sporadici sospetti, sensazioni, poi con stralci di filmati video che arrivano nel web, finché spunta l’atleta che cerca di fare la turbata (a un Mondiale per di più!) e adesso ecco la tecnologia che si dichiara pronta a beccare ogni tentativo di frode. Stavolta il doping non è biologico ma meccanico, e si tratta del famigerato motorino nascosto nel telaio della bicicletta. Spettro delle ultime stagioni, il sospetto esplose lungo uno dei muri di un Fiandre vinto da Cancellara, dove il fuoriclasse elvetico fu autore di un’accelerazione spaventosa, e la storia si irrobustì nei sospetti con la ruota posteriore di Hesjedal che girava e girava e girava, con la bici del canadese stesa sull’asfalto, causa caduta ad una Vuelta di pochi anni fa. In conclusione i sospetti su biciclette che sono state usate in corsa alla Settimana Coppi&Bartali e Strade Bianche. Hai poco da girarci attorno sul fatto che questa tecnologia, seppur avanzata, forse da un pezzo gira per le strade tra i ciclisti, e di sicuro certe strumentazioni UCI – telecamere termiche – arrivate da poco ed atte alla scoperta di questi prodigi tecnologici, non sono appannaggio di ogni organizzatore di gare professionistiche minori o amatoriali. Speriamo bene, ma ricordiamo che l’anti-doping, per trovare l’imbroglio, doveva per forza arrivare sempre un minuto dopo per sapere cosa e dove dovesse cercare la cosa che non doveva esserci.
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giovedì 31 marzo 2016
Aprile; l'editoriale
“Pare che questa volta la disgrazia sia capitata senza delle colpe veramente imputabili a qualcuno. Pare che la parola ‘disgrazia’ stavolta possa veramente trovar posto. Pare ci siano troppi ciclisti in corsa e allora riduciamoli. Pare che invece siano le moto a essere troppe, ma non è questo. Pare piuttosto che sia necessario partire dal sapere chi guida i veicoli perché il loro comportamento a volte è pericoloso. Pare che però nemmeno questo è il giusto registro perché le gare di oggi sono tirate fin dalle prime battute e quando devi rimontare pare sia sempre più difficile perché in pochi minuti devi essere due chilometri più avanti. Pare che non sia facile perché oggi le strade sono più pericolose perché vent’anni fa non avevi spartitraffico e rotonde in questa quantità. Giornalisti, addetti ai lavori, ciclisti, dirigenti vari hanno già emesso non solo le sentenze ma anche le soluzioni, le alternative, le cose da fare. Pare abbiano tutti le idee chiare. Antoine Demoitiè era nato a Liegi nell’ottobre del 1990.”
lunedì 21 marzo 2016
Ma che bello il ciclismo femminile (se ce lo fan vedere)
Venti minuti di trasmissione – ovviamente registrata – per raccontare il Trofeo Binda 2016 che si è corso domenica 20 marzo. La seconda corsa rosa per importanza che abbiamo in Italia dopo il Giro-Donne. Questo l’immane sforzo della RAI cha ha permesso di seguire a colpi di singhiozzo la netta vittoria dell’iridata Elizabeth Armitstead della Boels Dolmans. Peccato che tra cicliste non partite casa influenze di stagione e altre ritirate causa caduta la gara abbia perso per strada molti nomi importanti. Resta il dubbio che se ci fossero state comunque tutte, il ‘taglio’ della messa in onda non sarebbe cambiato molto. Sintesi tivù che come da tradizione salta di palo in frasca, con ‘buchi’ di oltre 50 chilometri a botta, e con il nuovo supporto tecnico di Monia Baccaille che al microfono affianca Piergiorgio Severini. L’ex tricolore avrà bisogno di tutta la stagione per sapere come districarsi davanti al video, ma perlomeno dovrebbe sapere di cosa parla, a dispetto di Sgarbozza che dopo anni ancora non sapeva come pronunciare i nomi delle cicliste, o coniando frasi del tipo “….atleta della Uniti Stati America!....”. Interviste alle protagoniste nemmeno a parlarne, e quindi godiamoci il ciclismo femminile targato RAI, ricordandoci di sorseggiare qualche caffè durante la trasmissione.
martedì 1 marzo 2016
Marzo; l'editoriale
”Il ciclismo non è la mia vita, è la mia passione”. Ognuno ha il suo senso della misura, ma molti lo stravolgono convinti nel loro io che pur avendo tutto non è – e forse non sarà – mai abbastanza.
“Alla fine di questa stagione lo svizzero Cancellara si ritirerà quasi certamente. Uno degli atleti più forti dell’ultimo decennio, trentaquattrenne, vincitore di diverse classiche storiche, diverse volte re del cronometro. Si ritirerà perché non sente più la possibilità di essere ai vertici come prima, e perché i doveri di papà incombono. La sua frase è riportata in un intervista della nuova rivista (per l’Italia) “Cyclist – The thrill of the ride”, che arriva nelle nostre edicole con questo mese di marzo. Il senso della misura è una cosa soggettiva. Se ti accontenti di quello che hai puoi essere visto come una persona che non vale molto, perché non vuoi osare nel tuo quotidiano e hai paura di fare sbagli. Se non ti accontenti puoi essere visto come una persona che sembra ingorda verso tutto quello che ha intorno, rappresentando l’egoismo duro e puro. Il senso della misura lo puoi trovare rappresentato nella persona che ha un lavoro, e se ne cerca un altro (magari a nero) per alcuni mesi, giusto il tempo per mettere insieme trecento euro in più al mese, che diverranno la bici da sogno di lì a poco tempo, mentre il tetto di casa è mezzo marcio, ma sotto quel tetto hai una bici che costa come una discreta utilitaria usata, e pare sia quella la cosa che conta. Oppure il senso della misura è quello di Fabian Cancellara, che pare aver capito che la passione è una cosa che trova posto dentro una scatola chiamata vita, e non il contrario. Se così sarà, se Cancellara non sarà uno Schumacher, un Armstrong, un Cipollini, gente del torno-non-torno-torno-non-torno che non accettavano un vivere quotidiano fatto di quella normalità chiamata portare mio figlio a scuola, ricordarmi di comprare due scatole di piselli al supermarket, cambiare la lettiera al gatto e passare in farmacia per mia suocera, allora questo ragazzone svizzero ci mancherà ancor di più. La stagione riparte. Divertitevi.”
sabato 20 febbraio 2016
"Non sempre si vince, ma si può sempre correre bene con dignità"
Cinque anni e due mesi addietro moriva Aldo Sassi, ucciso da un infarto nei mesi in cui stava lottando contro un tumore al cervello. Aldo Sassi è la persona che aveva fatto del Centro Studi Mapei il cuore della sua passione professionale. Un centro di altissimo livello dove, tra le migliaia di atleti ed atlete che vi si appoggiavano, entrarono anche Ivan Basso e Riccardo Riccò. Sassi era certo che Basso poteva tornare ad alto livello e così fu, riuscendo a rivincere il Giro d’Italia nel 2010, successivo alla squalifica doping per i grossi guai scatenati dalle sacche di sangue dell’Operation Puerto, caso che scoppiò nel 2006. Basso si affidò a lui nel 2007, chiedendo di poter essere seguito nel suo “come back” ciclistico. Fu un caso senza precedenti per il fatto che mai, prima di allora, un atleta di così alto livello e talento ciclistico si affida ad un allenatore vero. Fu il calcio al formicaio, tanto che a Castellana la fila si allunga. Vi giungono anche Cunego e Riccò; il primo per capirci qualcosa, dopo alcune stagioni in cui la sua preparazione variava ogni anno, tanto da non raccapezzarcisi più, il secondo per riuscire a riemergere dal fango del doping. Doping su cui ricadrà, e l’unica cosa buona è che Sassi se n’era già andato, per risparmiare a quest’ultimo una delusione che sarebbe stata amarissima da sopportare. Aldo Sassi è il primo ad entrare nelle università italiane a insegnare ciclismo. Una cosa che molti suoi colleghi mal sopportano, non tenendo conto che si parlava di una persona che aveva conoscenze sull’allenamento che stavano facendo scuola. Uno che non si accontentava di basarsi sull’esperienza, ma vi aveva unito competenza estrema. Se conoscete persone che vi fanno una testa così con discorsi interminabili su allenamenti forza/resistenza, sulle salite “di forza”, che vi rompono le balle con discorsi infiniti sull’acido lattico, sul sovrallenamento, chiedete loro se sanno dirvi chi è stato l’uomo che ha concepito, perfezionato e approfondito più di chiunque altro queste cose.
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lunedì 1 febbraio 2016
Febbraio, l'editoriale
“Ti fa bene, stati a contatto con la natura, ti diverti…..” e chi più ne ha più ne metta. Ma che in bicicletta puoi farti male si può anche dire, senza paura di rovinare l’immagine di uno sport.
“Il mese di gennaio ha registrato situazioni ciclistiche che hanno scritto e descritto di ciclisti finiti all’ospedale, ossa rotte, terapie intensive e cose di questo tipo. Questo perché lo sport ciclistico può essere uno sport molto pericoloso. I caschi spezzati (e meno male solo i caschi) non sono però un esclusivo appannaggio delle corse professionistiche. E non bisogna nascondere la pericolosità di una disciplina cercando di girare intorno alle cose, per paura di penalizzare una specialità sportiva impaurendo ragazzi e genitori che così ‘virano’ per altri lidi sportivi. La bicicletta, come altre discipline non per forza motoristiche, può rivelarsi uno sport pericoloso. Il casco si usa, il pneumatico usurato lo si cambia, gli occhi devono essere sempre svegli lungo le strade. Consigli che sono roba dozzinale, niente di chissà quanto nuovi, anzi. Cose che si dovrebbero applicare su cento momenti che viviamo nel quotidiano. Con il ciclismo ti puoi ammazzare, come con l’automobilismo, con una caduta da cavallo, con il motociclismo, con lo sci di velocità o scivolando mentre esci dalla doccia. Un praticante consapevole di quello che fa ha più probabilità di rimetterci solo un casco e una maglietta che forse non la testa. Se invece vogliamo raccontare solo le storie del Mulino Bianco buonanotte”.
venerdì 1 gennaio 2016
Gennaio; l'editoriale
“Parliamo di una cosa di cui frega a quasi nessun appassionato di ciclismo: il ciclismo rosa. Con l’inizio della stagione 2016 il ciclismo femminile dovrebbe fare un grosso salto in avanti. Almeno questo sarebbe il progetto targato UCI che pare inizierà proprio con l’avvio di questa stagione. A casa nostra spariranno alcune (più di alcune) magagne del passato? In queste ultime tre stagioni abbiamo avuto corse che sono scomparse, altre stanno in piedi per il rotto della cuffia, altre sono state ridimensionate pur di farle a ogni costo. Questo ha fatto si che alcune gare siano state ‘promosse’ forse più per necessità di mettere in piedi un calendario decente in maniera da offrire alle nostre cicliste un minimo di giorni di gara. Nonostante i bei discorsi che ogni tanto saltano fuori, mondiale a parte non vi è nessuna corsa che in Italia venga mandata in onda con la diretta. A livello continentale le cose potrebbero forse cambiare in meglio, ma se partiamo da casa nostra la situazione vede tutte le nostre migliori atlete correre con squadre estere. La speranza è che questo rilancio, questa riorganizzazione del ciclismo femminile a livello mondiale, non crei un divario ancora più grosso”.
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