Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
giovedì 20 agosto 2015
E se la "grande famiglia" andasse in pezzi?
L’Italia ciclistica va in Spagna come nazione ciclistica leader 2015 per casi doping. Quale sarà la prossima strategia per raccontarci la storia di un ciclismo italiano più pulito e onesto?
Qualche anno fa, nella sua storica confessione doping, Lance Armstrong spiegò che nella sua EPOca ciclistica, l’EPO girava in gruppo come acqua nelle borracce o aria nelle ruote. Tempo dopo l’italiano Di Luca confessò e raccontò delle tonnellate di omertà che viveva ancora in gruppo e delle tante pratiche dopanti ancora esistenti. Sia per Armstrong che per Di Luca si mobilitò anche la tivù. Bisognava correre ai ripari prima che gli appassionati facessero due più due per conto loro, e capissero che due più due fa quattro e non quattro e mezzo come si cerca spesso di raccontare. Per il texano avvenne la resurrezione televisiva di Simeoni, invitato a parlare delle sue discussioni con l’americano quando correvano, facendo fare ad Armstrong la figura del demonio, mentre ci si dimenticava di raccontare che Simeoni era finito nelle peste perché aveva frequentato tal dottor Ferrari. Per Di Luca si scelse la linea del minimizzare le cose dette, dicendo che tutte le cose spiegate si sapevano (e quindi far finta di niente magari?), che l’abruzzese non aveva detto niente di nuovo (idem anche quì per caso?), e che l’intervista rilasciata dall’ex ciclista alla trasmissione televisiva Le Iene era figlia del rancore, e quindi Di Luca doveva essere visto come una specie di poveretto che, siccome due volte dopato, non doveva essere preso in considerazione. Caruso (Gianpaolo) è un ciclista che aveva già avuto guai per doping e fa parte di quella generazione ciclistica che viene additata come esempio per le nuove leve, perché da anni il ciclismo “è molto più pulito”.
Questa è la frase che ci hanno propinato negli ultimi anni giornalisti che bazzicano il baraccone da anni, telecronisti, commentatori ciclistici, dirigenti, atleti, tecnici e gente che non ha mai corso una gara di biciclette però bazzica l’ambiente ciclistico di alto livello senza essere sponsor, dirigente, organizzatore. Intanto abbiamo Paolini, per l’appunto Caruso, Taborre, Apollonio e Reda. Tutti ragazzini senza senso della misura e giudizio? Per niente: Paolini va verso i 40 anni, Giampaolo Caruso 35. Due atleti che sono dei Nazionali. Quali saranno le reazioni dell’FCI? Vi sarà la solita linea dura delle chiacchiere con il CT o il Presidente di turno che si diranno amareggiati, sorpresi? Si appoggeranno alla tivù per lanciare l’ennesimo messaggio di biasimo e severità, magari assieme a giornalisti che diranno con tono severo e ad alta voce il famoso; “è ora di finirla!!”? Salterà fuori il vecchio giornalista che parlerà di ciclisti ‘vittime’ di un sistema? Si preferirà il silenzio? Se Caruso è stato vittima di un sistema, casomai lo è stato di un sistema anti-doping perfezionatosi nel tempo. Per il resto la si finisca di propinarci la solita storia delle “cose belle che ci piace raccontare”, solo per continuare a difendere più il proprio posto di lavoro, la propria posizione agli occhi dei cosiddetti potenti, che la specialità sportiva che si dice di amare, e raccontare solo le cose che funzionano per non finire nella lista dei giornalisti indesiderati. Basta con la storia della “grande famiglia del ciclismo” sbandierata ad ogni benedettissimo Giro d’Italia per tre settimane. Persone che consapevolmente difendono gente indifendibile, raccontandoci solo le cose belle di questa benedetta “grande famiglia”, continuando con il cercare di raccontarcela come gli fa comodo, invitando puntualmente ad un microfono gente che dovrebbe parlare davanti al registratore di una Procura prima che davanti a una telecamera, aiutando il ciclismo così ad andare in pezzi ancor più velocemente, e credendoci una massa d’imbecilli pronti a credere alle favole della Ciclo-Peppa Pig di turno.
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