Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
giovedì 21 febbraio 2013
"Salve Marco, che aria tirà lassù? Perchè quì...."
“Caro Marco, tu non mi conosci, e nemmeno io ti conosco se non tramite le notizie che giornali e telegiornali riportavano di te quando da vivo correvi. Non sono un’amico perché non ti ho mai frequentato come persona. Ma non disperare, perché sappi che quaggiù, dopo la tua morte, tutti sono diventati tuoi amici. Anche quelli che tra dirigenti, giornalisti leccapiedi, ciclisti che con te correvano o ti avevano conosciuto, sponsor, si erano spostati come le acque del Mar Rosso dopo la tua sospensione sportiva del 1999 per non rimanere appestati. Hai talmente tanti amici che, appena nei mesi successivi la tua morte, gli scaffali erano pieni di libri su di te. Non credo sia vero che tu eri una persona chiusa, perché ognuno di questi libri reclamizzava una sua verità su di te, e non parliamo dei giornalisti (anche tra quelli che il ciclismo manco lo seguivano ancora) che ti conoscevano meglio dei tuoi amici veri. Quindi con qualcuno parlavi. Ogni anno è una sequela di; ““Marco era così, Marco è stato questo, Marco è stato quest’altro, Marco mi diceva, Marco di sopra, Marco di sotto”. Ti piangono con tono di voce sommesso, triste, malinconico. In mezzo a tutti questi tuoi amici non mancano gli autori di puntuali articoli a ricordarti annualmente, che scrivono di dolore profondo, senso di mancanza di “un qualcosa” che non sanno descrivere (ma non erano amici tuoi?), tutte cose che solo i tuoi familiari possono aver conosciuto. O almeno pensavo io, finché non sapevo che avevi più amici tu che non un campo di calcio i suoi fili d’erba. Ti dirò che tutto questo loro andare a ricordarti con così tanta enfasi, mi puzza sempre più di un tentativo di farsi perdonare come appartenente (o appartenenti) a quel mondo che ti ha sfruttato fino al midollo (organizzatori, giornali e giornalisti, sponsor), che ogni volta aprenti bocca su di te danno il via a tonnellate di frasi strapiene di insopportabili attestati di stima che, ma tu pensa, dopo la tua morte sono fioccate da ogni dove. Ah, senti. Sai che Cipollini era pieno fino alle orecchie quando correva? Dopo la tua morte si diceva quasi disperato. Con lui anche tanti altri. Te l’ho detto, non so lassù che aria tira, ma qui adesso sei pieno di amici. Sarà per questo che sei morto solo. Per Amstrong fanno casino anche quando si soffia il naso. Anche lui imbrogliava. Strano che per Cipollini tutti zitti. Sarà che si son dimenticati? Possibile. Gli italiani che hanno pigliato squalifiche non ci sono mancati in questi anni. Anche se qui si cerca di far passare solo Armstrong come imbroglione, e credo che prima o poi diranno che mangia i bambini. Un po’ come te nel ’99. Certo, mica possiamo pretendere che Suor Alessandra e compagnia blaterante in tivù si ricordino di tutti, specie se italiano. Di piangerti però se ne ricordano sempre. E stando a come ti raccontano, credimi se ti dico che questi qua ti conoscevano meglio di tua madre. Beh senti, io ti saluto. Ho paura che tra un’anno tutti questi amici faranno qualcosa per ricordarti ancora. Se darai di stomaco non preoccuparti. Credo che idealmente saremo in due. Ciao.”
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