Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
sabato 5 gennaio 2013
Il ciclismo che vorrei....
Il ciclismo non è soltanto quello che vive sotto la luce dei riflettori. Sfruttando il contributo di alcuni appassionati e praticanti, il sottoscritto fa il lavativo e sta a guardare (sono quindi pronto per la politica?). Ho chiesto loro se volevano scrivermi quale ciclismo vorrebbero. Visto ch’è iniziato il periodo di “par condicio” anche il sottoscritto l’ha applicata; due “bikers” e due stradisti: Andrea e Antonella per le ruote grasse, Filippo e Lele per quelle fine. Non ho fatto domande pensate, precise, specifiche. Tutto a “ruota libera” su quello che è un semplice schietto pensiero sul ciclismo che si vorrebbe trovare (o ritrovare), o far trovare agli altri. Roba pane & salame insomma. Come piace a me. E se piace pure a voi, meglio. Tutti e 4 gli autori sono nella lista dei link a destra di questa Home Page. Antonella con http://antoincristi.altervista.org/, Andrea con http://oltrelostacolo.blogspot.com/, Lele con http://lelef14.blogspot.com e Filippo con http://34x26.wordpress.com/.
Essendo arrivata prima (per lei abitudine…) come velocità nella “spedizione” dell’articolo, Antonella apre gli interventi, toccando l’argomento di un’ambiente sportivo che si augura guadagni in onestà sportiva dicendo che… “Il ciclismo che vorrei forse resterà solo un’utopia perchè purtroppo non si vuole cambiare. Intanto bisognerebbe cominciare con una reale parità di diritti tra atleti uomini e donne fin dalle più piccole cose ad esempio una obbligatoria divisione di categoria per le donne, un adeguamento premi a quelli maschili, dei controlli antidoping seri e rigorosi anche per le donne in giusta percentuale ecc ecc… Poi, fermo restando che cercare di migliorare la prestazione sportiva esiste dal tempo dei tempi, in questi ultimi decenni le cronache ormai hanno evidenziato un sempre più largo uso di sostanze chimiche anche a discapito della propria salute. Entrare nella psicologia dell’atleta che ne fa uso è alquanto difficile perché, specialmente nella MTB, anche gli Elite ben remunerati sono pochissimi per cui qual’è la vera motivazione? Non posso credere che sia solo il salame della premiazione, ma potrebbero essere solo problemi psicologici molto importanti. La soluzione potrebbe essere fare dei VERI controlli soprattutto tra gli amatori in competizioni di poco conto magari prima di eventi importanti e dare delle pene realmente severe e giuste. Mi piacerebbe vedere più lealtà sportiva, meno sorrisi artificiosi, meno lustrini, meno cinismo, ma un sano agonismo, meno spintoni in gara per la 325 posizione, meno balle sui km di allenamento tipo “ad agosto ho raggiunto i 22.000 km” oppure non mi alleno mai per poi sfrecciare in solitaria al traguardo (in quest’ultimo caso l’antidoping dovrebbe essere obbligatorio). Vorrei vedere una unica federazione con un unico Campionato italiano per le varie discipline non inflazionando così le varie maglie tricolori europee o mondiali, con meno spreco di soldi e di “Generali” che si spartiscono il bottino. Vorrei informazione mediatica all’altezza della competizione, chi non è capace che vada a commentare “La prova del cuoco” o il “Prezzo è giusto” e informazione equilibrata tra sport (NON SOLO CALCIO), aprire un giornale sportivo e leggere anche quante volte ha fatto la pupù Balottelli non mi interessa. Mi piacerebbe rivedere biciclette fatte completamente in ITALIA. Vorrei che sparissero C.O. “senza fini di lucro” che hanno sovvenzioni regionali/provinciali che alla fine organizzano solo per puro guadagno personale. Vorrei vedere più giovani che crescono in questo sport di fatica ma sempre bellissimo insegnandogli che vincere non è tutto.”Anche Filippo pone spesso l’accento sul ciclismo vissuto a livello agonistico, e su come lo vorrebbe interpretato da corridori e organizzatori. E poi pensa alla bici anche come veicolo, e non solamente come attrezzo agonistico. … “Vorrei una stagione ciclistica corsa in 8 mesi invece che in 12 – Vorrei che la culla del ciclismo fosse l'Europa e non la Cina o la Russia – Vorrei che il Giro fosse corso da grandi campioni come qualche anno fa e non da scarti e corridori a fine carriera – Vorrei che l'antidoping fosse onesto con tutti e dicesse finalmente che non ce la fa a stare al passo con il doping – Vorrei che i corridori facessero outing sul doping quando corrono e non a fine carriera, come va di moda ora – Vorrei gli stessi controlli antidoping in tutti gli sport e non solo nel martoriato ciclismo – Vorrei veder nascere un nuovo Paolo Bettini o un Francesco Moser – Vorrei una società a misura di bicicletta, con vere piste ciclabili, e non aborti di marciapiedi con due righe di vernice – Vorrei che il petrolio finisse domani e che tutti gli automobilisti finissero con il culo per terra.. o sopra una bici – Vorrei che tutto andasse più piano, che le distanze si accorciassero e che tornassimo a imparare a gustare il tempo che abbiamo”
E visto che una volta pedalare voleva dire spostarsi fisicamente da un posto all’altro (oggi lo spinning ci permette di fare come quelli che discendono da una scala mobile che intanto sale) Andrea sfrutta le sette note per far partire la melodia di un pensiero che scrive di vecchio ciclismo e vecchi ciclisti…. "Turn the page" (volta la pagina) cantavano i Metallica - nella cover di una canzone di Bob Seger - e questa canzone l'ho sempre associata al ciclismo e alla vita. Di voltare pagina il ciclismo ne avrebbe veramente bisogno, quelle pagine di un libro antico che meriterebbero ben più delle mani unte di chi non paga giusto rispetto e tributo a chi quel ciclismo l'ha scritto e a chi continua a scriverlo con impegno, passione e sacrificio. E se le pagine principali le scrivono i grandi autori ecco che noi, gli amanuensi del pedale, provvediamo ad arricchirlo di piccole miniature personali. "Here I am, on the road again, there I am, up on the stage there I go, playin' star again, there I go" (eccomi qui, ancora sulla strada, sopra il palco, a fare ancora la star vado). Mormoro le parole, mentre con l'autobus mi dirigo al lavoro e come tanti ciclisti mi sento un pò campione, di me stesso perlomeno, quando tra mille sacrifici strappo qualche ora al ritmo frenetico, di lavoro e famiglia, e mi ritrovo ancora una volta sulla strada. Un campione come tutti del campionato della vita, che ci vede tutti partecipare e mai vincere. "You're a million miles away, every ounce of energy, you try and give away as the sweat pours out your body”, (sei lontano milioni di miglia, cerchi di dar via ogni goccia di energia e il tuo corpo versa sudore). Canto nella mia mente, mentre il mio sguardo attraverso il vetro e si posa sul Carega lontano e penso che il sudore siano un po’ come lacrime che il corpo versa in nome di una passione che a volte crea e distrugge i suoi stessi miti, in nome di una ragione che non capiamo o molte volte non vogliamo vedere, noi stessi figli illegittimi di un’ipocrisia nascosta nelle pieghe del nostro sport. “Turn the page”. Dovremmo proprio voltare pagina ma il libro è sempre più logoro anche se, nonostante tutto, resiste perché c’è sempre qualcuno che si sforza di ripulirlo dalle macchie fatte dalla chimica sportiva, di dare una sistemata alle sue pagine strappate o stropicciate. "Here I am, on the road again, there I am”. L’autobus prosegue e penso che anch’io quest’anno volterò pagina nel mio piccolo, nel rispetto del mio mezzo secolo di vita che mi vede sempre più vicino ad un ciclismo diverso, forse immaginario e mai esistito, e con sempre più tenerezza guardo a quei settantenni e più, che su bici e con indumenti molte volte d’antan, partono allegri e sorridenti in sella alle loro vecchie bici. Quando ci parlo, sorridono e mi dicono che perdiamo troppo tempo dietro pesi e cambi, colori e tempi. Chissà se anche loro hanno avuto il nostro stesso disincanto, hanno provato la delusione nel sentire notizie riguardanti chi fino a poco prima avevi pensato fosse un vero campione, se hanno trattenuto come noi le lacrime quando Pantani vinceva il Tour e il Giro o quando - parafrasando i Nomadi – il vuoto gli toglieva tutto e il gioco finiva. Forse avranno pianto per Coppi nella gioia e nel dolore e forse loro non sono altro che noi stessi tra vent’anni e più, anche loro una volta giovani pieni di testosterone, a testa bassa e con le mani sul manubrio ed ora a lì a guardare la strada, con i loro pochi capelli bianchi al vento, sorridenti, e noncuranti delle meccaniche celesti del ciclismo odierno. "Here I am, on the road again”. Ed eccomi ancora una volta sulla strada, sentiero o bitume che sia, lontano dalle politiche del ciclismo, da commentatori tv e giornaliste pseudo - sportive che ti allontanano da una diretta tv o che a volte ti obbligano a togliere l’audio, dall’ipocrisia di ciclisti sporchi con i quali a volte magari hai pure pedalato e che si avvelenano per la corsa del paese. L’autobus prosegue la sua corsa, in lontananza vedo ancora il Carega baciato dal sole di mattino d’inverno e penso ai giri che ho fatto e che farò, cibandomi di ricordi e di uscite future. “Turn the page……”
Mentre diventa un’ancor più marcato ciclismo dei sentimenti quello espresso da Lele (Raffaele? Gabriele? Daniele?, non saprei in verità) che salendo in sella racconta che ciclismo vorrebbe, cercando di raccontare il proprio…. “Il ciclismo che vorrei... Mi si è chiesto di parlare del ciclismo che vorrei. Rispondo con il ciclismo che pratico personalmente, fatto di Pace, di Gioia e di Amore. Una pacifica Passione, un pacifico Agonismo sono la base, per affrontare mitiche imprese, superare se stessi, e, se ci è concesso anche gli altri. Per vincere ci vuole anche un bel po’ di sana cattiveria, sempre nel rispetto degli avversari. Bisogna metterla in ogni pedalata, in ogni respiro in ogni sguardo in ogni movimento: ciò è veramente possibile solo se la base è serena e pulita. E’ bello fare l’impresa, è fantastico vincere, ma spesso ci si dimentica che è soprattutto con noi stessi che dobbiamo ottenere questi traguardi. Il ciclismo è Gioia. Gioia di avere la fortuna, le doti, le possibilità, il tempo di praticare questo splendido e duro sport, che rinforza cuore, mente e fisico. Oggi più che mai, è diventato molto più “facile” praticarlo, la tecnologia ci ha messo a disposizione attrezzature che solo vent’anni fa erano impensabili, che ci rendono la vita molto più semplice in ogni stagione, su ogni terreno. Sembrerà banale ma mi capita di osservare che molte volte tutto questo, lo diamo per scontato. L’Amore verso un mezzo, semplice, sano e pulito: la bicicletta, il futuro dell’umanità. Ce ne sono di svariate tipologie, la sostanza è sempre quella. Ognuna ci permette di inoltraci nello spazio intorno a noi velocemente, di esplorare il mondo, di osservare la natura con calma senza veli, di coglierne tutti i dettagli. Ho iniziato a praticare questo bellissimo sport da piccolo per imitare le imprese in tv. Ora che sono cresciuto, ho capito che il Ciclismo non è un semplice sport, è una filosofia di vita. Avere la possibilità di pedalare quotidianamente, da soli o in compagnia, è un atto di Pace, di Gioia e d’Amore.” E con la parola Amore si chiude questo chilometrico articolo che spero sia stato di compagnia a chi legge. Non ho voluto scrivere la mia idea sul ciclismo preferendo il coinvolgimento di altre persone, che credo abbiano reso così meno noioso un sito scritto sempre dalla stessa persona. Come scritto all’inizio, se qualcuno di voi vuole raccontarci il ciclismo che vorrebbe, e quindi aggiungersi ai quattro bloggers da me contattati, lo faccia nei commenti. Potrà solo arricchire il sentimento ciclistico di questo articolo. Un ringraziamento a Lele, Filippo, Antonella e Andrea.
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