Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
mercoledì 4 dicembre 2013
Il ciclismo davanti al caminetto (5^ p.)
LA BICI STA DIVENTANDO PIU’ PRESENTE NEL NOSTRO QUOTIDIANO? EVVIVA! MA CHE NON DIVENGA UNA SORTA DI ‘FIGHETTI PRODUCTIONS CITY ENTERTAINMENT’.
Seguendo, lavorando, collaborando (ed a volte sacramentando) per questioni ciclistico/ambientali con altre realtà associative – per menzionare quelle più note FIAB e WWF – la bicicletta prende spesso il ruolo di protagonista, quando le nostre rispettive agende di lavoro (chiamiamole così per darci più importanza di quel che è) s’incrociano per questo o quel progetto. Tutta roba che, come i pedali e le ruote, gira e rigira intorno al veicolo bicicletta. Che si siano vendute più biciclette in questi due anni è cosa buona, basta che non si usi questa notizia in maniera meramente propagandistica, come troppo spesso è capitato in quest’ultimo anno. Con la crisi paurosa del settore automobilistico – tradotto; soldi che mancano nelle tasche – e con il prezzo ulteriormente maturato dal carburante in questi ultimi cinque anni, questo ‘sorpasso’ non era un traguardo così impossibile da raggiungere. Fatto sta che la bici ha guadagnato punti anche a livello urbanistico, ma purtroppo questa situazione sta sviluppando in questi ultimi anni un mercato che in molti casi è dell’inutile acquisto. Sono tornate di moda (brutta parola) le biciclette ‘nude’ con il vecchio freno a pedale. Ridotte all’essenziale – e che è meglio usare dopo un pelo di pratica per la funzione frenante – costano come un ciclo munito di ogni accessorio, alcune anche di più grazie a pubblicità mirate ad una clientela ‘under 30’ sfoggiando magari marchi che storicamente con la bicicletta hanno condiviso ben poco.
Se questa visione della bicicletta inizierà ad irrobustirsi dal punto di vista dell’immagine (scorrazzare pedalando in un mondo ovunque strapieno di macchine ti fa certamente notare), c’è il rischio che tra quattro o cinque anni garage e cantine inizino a riempirsi di questi veicoli oggi alla moda. Con il risultato che però nello scantinato non trovino poi spazio, perché già occupato da una vecchia parente. Difatti è impressionante il numero di vecchie biciclette che – con 30 o meno euro di spesa – potrebbero tornare efficienti com’erano un tempo. Il Corsera del novembre 2008 riportava che in quel periodo tra Mountain Bike – tantissime quelle comprate nuove e poi nel concreto usate davvero poco, per la felicità dei portafogli che un bel giorno sono stati aperti più per moda che non per vera necessità – bici della mamma, bici del papà e vecchie e gloriose Graziella, il numero di biciclette dormienti ed impolverate in cantine o garage italiani sfiorava la trentina di milioni di esemplari. A pensarci un momento è un numero spaventoso, anche se di queste un 30% fossero inutilizzabili. Questo perché siamo una Nazione di ciclisti della domenica. La faticata in bici è lo svago del giorno di festa o del giorno di vacanza in cui vogliamo sentirci diversi dal solito (forse più giovani?). Tra il 2000 ed il 2008 la benzina è quasi raddoppiata, ma solamente adesso stiamo pensando a riusare le gambe. Perché stiamo coltivando un pensiero ecologista? Diciamo più che altro che stiamo vicini alla canna del gas.
Volere la bicicletta ‘del momento’ da poter sfoggiare tra le gambe – non il massimo dell’eleganza nel dirlo, ma se ci pensate è proprio così – può dare soddisfazione. Ma ragioniamo se (senza ricorrere a mezzi del 15’/18’) possiamo ritrovare e rinvigorire la vecchia bici che abbiamo sotto un lenzuolo appoggiata al muro del garage, che sfioriamo ogni giorno quando mettiamo la macchina nel box, e che da due anni notiamo grazie ad un pezzo di ruota sgonfia con le ragnatele tra i raggi, che spunta da quel lenzuolo troppo corto per coprirla interamente. Chi scrive a volte si sposta ‘urbanamente’ con una vecchia bicicletta anni ’80 (nella foto), la cui sella – cambiata due anni fa perché quella vecchia faceva schifo a guardarla da com’era ormai ridotta – vale tutto il resto della bici stessa. Ruota posteriore rigorosamente scentrata, com’era regola ‘non scritta’ per quel tipo di bicicletta in quegli anni. La ruggine non manca, il cambio (un glorioso 4 marce) meglio usarlo solo quando veramente necessario, il tutto accompagnato da un vecchio portapacchi con molla appena dietro la sella, mentre i freni sono auto-urlanti. Questo veicolo credo stia insieme per volere dello Spirito Santo e di certo non mi fa figo da come sta ridotta. L’importante è che questa riscoperta del velocipede non sia strettamente legata al mezzo ‘in’, altrimenti rischiamo di ritrovarci con una mentalità a tempo determinato, e gli unici che alla lunga ne avranno tratto un concreto vantaggio saranno stati i negozianti.
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