Per anni in questo spazio web scrivevo (a modo mio) di ciclismo, da luglio 2017 è solo uno spazio di lettura. I motivi li trovate nel primo articolo qui sotto.
«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.
domenica 7 marzo 2010
Pedalando...
QUESTA E’ LA STORIA DI UN MIO GIRO IN BICI VERSO IL PASSO CROCE D’AUNE. FU IL GIORNO IN CUI INCONTRAI IL GUARDIANO DELLA MONTAGNA. PEDALANDO IN UNA TARDA MATTINA DI FEBBRAIO, IN CUI IL TEMPO SI FERMO’.
Il ciclismo a volte è un’emozione divisa tra poesia e vere e proprie fesserie. Salire verso il Passo Croce d’Aune a fine febbraio – praticamente zero gradi o pochi di più – è più da seconda di queste. Anche se l’inverno tempra le ossa, l’insanità mentale del sottoscritto non fa complimenti.
Salivo verso il Passo per la prima volta quest’anno dal versante più morbido, anche se sapevo che non avrei raggiunto la vetta vera e propria, vedendo le strade ancora molto invernali. Pedalata pesante e una strana sensazione intorno mi facevano compagnia. Mi aveva già visto, ma non me n’ero reso conto. Ero entrato nel regno. Pedalare su quelle strade a fine febbraio, era come ritrovarsi in un posto fuori dal mondo. Salivo faticando e tutto intorno era silente, immobile, come in attesa di qualcosa. Sembrava che la natura intorno nemmeno respirasse. Gli alberi erano degli scheletrici osservatori, dei morti apparenti. Quello che mi dava una strana emozione, quasi di paura, era che non sentivo le voci che il bosco di solito regala a chi l’ascolta. Sentivo il crepitìo leggero provocato dalle ruote della bici che passavano sopra la sabbia gettata con il sale per il ghiaccio invernale. Arrivato qualche chilometro più su, appena percorso un tornante, eccolo; il guardiano mi aveva trovato ed il tempo si fermò.
Il vento è il guardiano della montagna. Ognuna ha il suo. Egli nasce dal mare e poi viaggia per le valli in cerca di una vetta che lo voglia come guardiano. La montagna mi aveva sentito arrivare. Per questo mi aveva mandato la sua sentinella. Il vento iniziò a girarmi intorno. Mi scrutava, mi sfiorava spingendomi un po’ di lato ma mai forte. Stava pensando se spazzarmi via dal mondo con un suo misero colpo di tosse. Il vento è invisibile, ma è talmente gigantesco, enorme, mostruoso nelle dimensioni, che può spazzarci via con niente. Stava pensando cosa fare di me. Lo sentivo sfiorarmi il viso: “Chi sei uomo?” mi sospiro a un’orecchio, facendomi sentire un brivido. Mi mandò addosso un soffio gelido. Voleva provocarmi. Sapere con chi aveva a che fare. Continuava a passarmi vicino e a ripetere la stessa frase; “Chi sei uomo?”
Poi me lo sentii in pieno viso. Non lo vedevo ma sapevo che in quel momento mi stava guardando in faccia. Io pedalavo sempre, ma distolsi lo sguardo dall’invisibile creatura. Ad un tratto sparì. Non lo sentii più vicino a me. Tutto calmo. Ma sapevo dov’era andato. Non mi aveva abbandonato. Era salito in vetta, per dire alla montagna chi era che stava salendo senza aspettare le brezze giovani di marzo. Marzo è il mese preferito dal vento, perché viene raggiunto dalle correnti giovani. Quelle che si muovono senza una direzione, e fanno dispetti agli uomini facendo volar via cappelli, giocando con i loro capelli scompigliandoglieli. Ma sono venti ragazzini, e per questo amano giocare con i bambini. Con gli aquiloni corrono insieme a loro per i prati, o fanno girare delle ventole colorate messi sui passeggini dei bambini più piccoli, per farli sorridere contenti.
D’improvviso mi sentii spingere leggermente. Il guardiano era tornato. Ma era diverso da prima. Mi aiutava a salire. Probabilmente la montagna mi aveva riconosciuto, e aveva detto alla sentinella che poteva star tranquilla. Allora non si comportava più come prima. Non mi spintonava, ma lo sentivo passarmi leggero sui fianchi. Era il segno che voleva farmi compagnia. Il vento mi accompagnò finché la salita finì. Poi se ne andò, doveva continuare il suo lavoro di controllo.
Mi fermai per mangiare qualcosa. Non c’era un’anima in giro. Il bosco stava sempre zitto. Mentre mi preparavo a scendere notai in cielo delle nuvole che profumavano di neve e freddo. Grandi e quasi in fila, arrivavano da est verso le cime delle vette a nord. Quelle nuvole avanzavano lentamente, come se volessero arrivarmi sopra senza farsi vedere. Sembravano soldati che cercavano di aggirare il nemico e sorprenderlo senza farsi vedere. Erano proprio questo; gli ultimi soldati del Generale Inverno. Volevano prendermi di sorpresa, ma non ci sono riusciti. Sono sceso subito e mentre arrivavo quasi in fondo, notavo che quei militi del cielo non erano riusciti a raggiungermi. Il vento li aveva affrontati disgregandoli. Senza troppo aspettare, il sole si fece rivedere quando arrivai nella piana da dove ero salito. Sentii un’ultimo breve colpo di brezza mentre mi allontanavo definitivamente; era il vento che mi aveva raggiunto. Mi aveva voluto dire grazie a modo suo, per essere passato a trovare lui e la montagna così presto rispetto al solito.
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2 commenti:
Eppure quando si osa troppo, e sempre, il guardiano ti si fa costante nemico, ti sfida.
Io, ne sono un esempio; le ultime 4 uscite, chiamarlo vento è riduttivo!
Quassù è pure gelido!
(che palle)
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