«Non ho mai potuto fare il dirigente sportivo perché nel nostro Paese la competenza nello sport è un elemento di destabilizzazione». Pietro Paolo Mennea.

giovedì 20 agosto 2015

E se la "grande famiglia" andasse in pezzi?

L’Italia ciclistica va in Spagna come nazione ciclistica leader 2015 per casi doping. Quale sarà la prossima strategia per raccontarci la storia di un ciclismo italiano più pulito e onesto?
Qualche anno fa, nella sua storica confessione doping, Lance Armstrong spiegò che nella sua EPOca ciclistica, l’EPO girava in gruppo come acqua nelle borracce o aria nelle ruote. Tempo dopo l’italiano Di Luca confessò e raccontò delle tonnellate di omertà che viveva ancora in gruppo e delle tante pratiche dopanti ancora esistenti. Sia per Armstrong che per Di Luca si mobilitò anche la tivù. Bisognava correre ai ripari prima che gli appassionati facessero due più due per conto loro, e capissero che due più due fa quattro e non quattro e mezzo come si cerca spesso di raccontare. Per il texano avvenne la resurrezione televisiva di Simeoni, invitato a parlare delle sue discussioni con l’americano quando correvano, facendo fare ad Armstrong la figura del demonio, mentre ci si dimenticava di raccontare che Simeoni era finito nelle peste perché aveva frequentato tal dottor Ferrari. Per Di Luca si scelse la linea del minimizzare le cose dette, dicendo che tutte le cose spiegate si sapevano (e quindi far finta di niente magari?), che l’abruzzese non aveva detto niente di nuovo (idem anche quì per caso?), e che l’intervista rilasciata dall’ex ciclista alla trasmissione televisiva Le Iene era figlia del rancore, e quindi Di Luca doveva essere visto come una specie di poveretto che, siccome due volte dopato, non doveva essere preso in considerazione. Caruso (Gianpaolo) è un ciclista che aveva già avuto guai per doping e fa parte di quella generazione ciclistica che viene additata come esempio per le nuove leve, perché da anni il ciclismo “è molto più pulito”.
Questa è la frase che ci hanno propinato negli ultimi anni giornalisti che bazzicano il baraccone da anni, telecronisti, commentatori ciclistici, dirigenti, atleti, tecnici e gente che non ha mai corso una gara di biciclette però bazzica l’ambiente ciclistico di alto livello senza essere sponsor, dirigente, organizzatore. Intanto abbiamo Paolini, per l’appunto Caruso, Taborre, Apollonio e Reda. Tutti ragazzini senza senso della misura e giudizio? Per niente: Paolini va verso i 40 anni, Giampaolo Caruso 35. Due atleti che sono dei Nazionali. Quali saranno le reazioni dell’FCI? Vi sarà la solita linea dura delle chiacchiere con il CT o il Presidente di turno che si diranno amareggiati, sorpresi? Si appoggeranno alla tivù per lanciare l’ennesimo messaggio di biasimo e severità, magari assieme a giornalisti che diranno con tono severo e ad alta voce il famoso; “è ora di finirla!!”? Salterà fuori il vecchio giornalista che parlerà di ciclisti ‘vittime’ di un sistema? Si preferirà il silenzio? Se Caruso è stato vittima di un sistema, casomai lo è stato di un sistema anti-doping perfezionatosi nel tempo. Per il resto la si finisca di propinarci la solita storia delle “cose belle che ci piace raccontare”, solo per continuare a difendere più il proprio posto di lavoro, la propria posizione agli occhi dei cosiddetti potenti, che la specialità sportiva che si dice di amare, e raccontare solo le cose che funzionano per non finire nella lista dei giornalisti indesiderati. Basta con la storia della “grande famiglia del ciclismo” sbandierata ad ogni benedettissimo Giro d’Italia per tre settimane. Persone che consapevolmente difendono gente indifendibile, raccontandoci solo le cose belle di questa benedetta “grande famiglia”, continuando con il cercare di raccontarcela come gli fa comodo, invitando puntualmente ad un microfono gente che dovrebbe parlare davanti al registratore di una Procura prima che davanti a una telecamera, aiutando il ciclismo così ad andare in pezzi ancor più velocemente, e credendoci una massa d’imbecilli pronti a credere alle favole della Ciclo-Peppa Pig di turno.

mercoledì 19 agosto 2015

Ancora doping, ancora ciclisti, ancora Italia.

La Wada (World Anti-Doping Agency) è un brutto cliente. Gente con le palle quadrate che a differenza dell'FCI, e a volte l'UCI, ti sta dietro finchè non ne puoi più. Lance Armstrong ne sa qualosa. Adesso la Wada può controllare urine e sangue, anche se questi sono stati prelevati diversi anni prima, fino a dieci. Stavolta è Gianpaolo Caruso il ciclista positivo all'EPO. La sua provetta era del marzo 2012, e la differenza l'ha fatta un metodo di controllo più sofisticato che ha fatto scoprire il marcio. Dopo Luca Paolini al Tour, sempre uomo Katusha, un'altro dei bravi ragazzi di Suor Peppa De Stefano si dimostra tutto fuorché bravo. La domanda è; se questa provetta è del marzo 2012, il ragazzo ci ha presi per il sedere fin da quel tempo? E se questo nuovo sistema di controllo doping è così efficace, dobbiamo attenderci molte altre sorprese? E quando la finiremo di dare retta a gente che dai pulpiti televisivi continua a definire i ciclisti come vittime?

lunedì 3 agosto 2015

Continua il momento 'positivo' del nostro ciclismo.

È un’Italia ciclistica che non molla, che vende cara la pelle, e che tirando fuori le palle riesce a confermarsi ai vertici mondiali in fatto di marciume targato 2015. Siamo al momento la prima Nazione al mondo per dopati prò’ in questa stagione. Un dato che chiaramente non deve trovare esagerata diffusione tra gli appassionati, sennò gli sforzi degli addetti ai lavori di raccontare il ciclismo come fa comodo a loro risulterebbero vani, quindi meglio rompere le balle con le chiacchiere sul contratto di Nibali che con il vice Campione d’Italia beccato dopato. Però il ciclismo di casa nostra non vuole mollare, per far capire agli appassionati che non vuole arrendersi, per continuare la grande tradizione italiana che nel periodo anni 80’ e 90’ (oppure leggi Conconi/Ferrari) ha visto la sua sublimazione massima che ha fatto scuola nel mondo. Il GS Androni Sidermec si è auto-sospeso per un mese dalle corse, a causa della positività di due suoi atleti trovati positivi a giugno: Davide Apollonio (EPO) e Fabio Taborre (FG-4592, un farmaco simil’EPO). Se le contro-analisi diranno che i due atleti non sono dopati tutto bene, se invece verranno confermati i risultati delle prime analisi l’Androni si riserva di denunciare per danni d’immagine i due ciclisti. Il ciclismo italiano non è allo sbando come molti scrivono. È invece ben vivo e nel suo sangue scorre potente la voglia di rivincita. Se poi questa grande rivincita ha come costo il continuo prenderci in giro va bene lo stesso, perché comunque la “grande famiglia del ciclismo” è sempre pronta al perdono. Quello che pensiamo noi cosa conta? Dopotutto il biglietto mica lo paghiamo per andare a vedere le corse di ciclismo, quindi che diavolo abbiamo di lamentarci?